ELEZIONI. IL CONVITATO DI PIETRA.

di Roberto Pecchioli

 

Si avvicina il 4 marzo, data delle elezioni politiche. E’ già iniziata la fiera delle promesse e degli slogan. La consueta cena delle beffe, il cui esito è scontato: passata la festa, gabbato lo santo, ovvero il cittadino elettore. Sui muri è già comparso qualche manifesto di grandi dimensioni. Uno sembra riassumerli tutti per pochezza e astrattezza: il faccione da buon vecchio zio saggio di Pietro Grasso, il simbolo di Liberi e Uguali (un nome, una contraddizione), la frase, vero compendio di vuoto pneumatico, Per i molti, non per i pochi. Leggeremo ed ascolteremo anche di peggio, nei prossimi cinquanta giorni, da ogni settore politico. Il marketing, tuttavia, e l’intero circo elettorale non possono far dimenticare la presenza di un convitato di pietra.

Nella leggenda di Don Giovanni, il seduttore di Molière, Tirso di Molina e del capolavoro musicale di Mozart, il convitato di pietra è il Commendatore, padre di una delle donne ingannate ed abbandonate, da lui ucciso in duello. Egli ricompare sotto forma di coscienza morale: la sua voce solenne e terribile interrompe la risata di Don Giovanni, anticipando il tragico finale: “di rider finirai pria dell’aurora. Ribaldo audace, lascia ai morti la pace. “Il convitato di pietra delle elezioni, nonché della politica tutta, è il Potere, quello vero, il dominus.  La finzione, sempre meno creduta, è che i parlamenti esercitino la sovranità e i governi ne eseguano la volontà proveniente dal popolo.

I fatti smentiscono clamorosamente il falso costrutto ad uso dei gonzi; la realtà riprende il sopravvento, e non c’è bisogno neppure di aspettare l’esito della conta dei voti. La politica, ossia lo spazio pubblico, la polis è debolissima, impotente dinanzi allo strapotere delle centrali finanziarie industriali e tecnologiche trans e multinazionali. Gli Stati, e la stessa Unione Europea, sono sempre più il semplice luogo di ratifica di decisioni altrui, le classi politiche mediocri aggregati di funzionari esecutivi di oligarchie estranee ai popoli. In numero crescente, i destinatari dell’imbroglio hanno capito, evitando di partecipare come figuranti alla rappresentazione.

La campagna elettorale non è ancora iniziata e già si avvertono segnali sinistri: il primo, il più assordante, riguarda le promesse, sempre più mirabolanti, sempre meno realistiche. L’altro, meno avvertito, è il suono della retromarcia di partiti e movimenti che dovrebbero incarnare il dissenso, il cambiamento, la discontinuità. Gigino De Maio, con il suo cappottino, i capelli scolpiti e l’eloquio da liceale alla ricerca del bel voto, ha già messo da parte l’eventualità di uscire dall’euro e tutto il suo messaggio è il richiamo all’onestà, che non è una politica, ma una condizione. La sinistra, archiviata la difesa dei poveri, si limita a proposte che sembrano più un dovere d’ufficio che un programma di governo, come l’abolizione delle tasse universitarie e la revisione del jobs act.

La stessa Lega sta rapidamente abbassando i toni barricadieri e sovranisti. Ha già accettato la compagnia dei corsari centristi, acchiappavoti clientelari al soldo di qualunque bandiera governativa al grido di Franza o Spagna purché se magna, sta lasciando passare anche il messaggio che la legge Fornero magari cambierà, si vedrà come, ma non sarà abrogata. Silvio dixit, e nel consiglio d’amministrazione del Centrodestra il voto del Cavaliere pesa assai, specie dopo la ritrovata armonia con il partito popolare europeo e i favorevoli commenti dell’Economist, voce del Convitato di Pietra. Quanto alla rinegoziazione dei trattati dell’Unione Europea, la sovranità monetaria, l’abrogazione del pareggio di bilancio e la deroga dei vincoli di spesa (fiscal compact), non (più) pervenuti. Qualche urlaccio sull’immigrazione e i rimpatri dei clandestini, ma anche il Matteo lombardo neo patriottico sembra addomesticato. Un altro miracolo sulla via di Arcore, probabilmente.

Come volevasi dimostrare, il Convitato di Pietra ha vinto prima del fischio d’inizio. I pilastri della società, Forza Italia e Partito Democratico, grideranno più forte alle rispettive curve di tifosi (meno tasse e rivoluzione liberale da un lato, Europa, riformismo economico light, pubblico impiego e diritti civili gli altri) e tutto continuerà come prima. Del resto, tale è la ratio della legge elettorale scritta a quattro mani, con la partecipazione dei leghisti e dei numerosissimi gruppi e gruppetti parlamentari di ventura specialisti nel cambio di maglia. Il Rosatellum, dal nome del deputato triestino che ne è stato l’ispiratore, è infatti una costruzione perfetta, dal punto di vista del Potere. Paradossalmente, favorisce la stabilità, ovvero l’immobilismo tecnocratico guidato da Bruxelles, Francoforte e dai mercati finanziari. Sconfigge l’inganno maggioritario, quello in cui la minoranza vince, ma non permette la rappresentanza reale delle idee e degli interessi, tra collegi uninominali e listini di candidati preconfezionati, da scegliere a scatola chiusa tra sbarramenti percentuali di coalizione e di lista. A meno di sorprese, i vincitori in termini di voti non avranno i numeri per governare e, come nel gioco dell’oca, si tornerà al punto di partenza. Nei casinò e nella democrazia liberale, libertaria e progressista, il banco vince sempre: dà le carte, stabilisce le regole, sceglie i giocatori ammessi al tavolo.

Il Convitato di Pietra ha già ottenuto che si parli pochissimo delle vere poste in palio, anzi le ha già sottratte al popolo elettore ma non sovrano. Parliamo di euro, di debito, di mercato, di modello generale di società. Chi non è d’accordo, tace o non ha voce in capitolo.

La legislatura appena finita ha visto i governi pienamente in sintonia con l’ideologia neo liberale del Potere. Il ministro che davvero conta, Pier Carlo Padoan, titolare dell’Economia e delle Finanze, è uomo di stretta fiducia dell’oligarchia finanziaria, ex capo economista dell’OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Europeo, quelli degli Esteri sono stati fedelissimi esecutori della volontà imperiale degli Stati Uniti, la Lorenzin, ministro della Sanità, passata da berlusconiana a renziana ( non è poi un gran passo) si è distinta più per obbedienza agli interessi di Big Pharma – vedi la vicenda delle vaccinazioni – che per la difesa della salute dei connazionali.

A nostro avviso, i provvedimenti che hanno caratterizzato il disgraziato quinquennio sono stati il jobs act, la norma detta bail in che pone a carico di obbligazionisti e correntisti il salvataggio delle banche insolventi, il matrimonio omosessuale nella forma eufemistica delle unioni civili e l’eutanasia celata nelle Disposizioni Anticipate di Trattamento. La riforma del lavoro – il criptico jobs act – ha indubbiamente favorito nuove assunzioni, ponendo a carico dello Stato gli oneri relativi. Terminato l’effetto, il mercato del lavoro è tornato alla realtà degli ultimi 15 anni: precarietà generalizzata, bassi salari, caporalato legale e no, pochi diritti. Dopo il 4 marzo, siamo certi che né da destra né da sinistra – se la segnaletica politica ha ancora un significato – le cose cambieranno. Propaganda tanta, grancassa ad uso dell’elettore indeciso, ma nessuna vera riforma.

Impressiona assai che nessuno degli schieramenti che contano abbia posto nel programma l’abolizione della legge di ascendenza europoide che getta i risparmi di tanta gente nelle fauci dei banchieri incapaci o truffaldini, il bail in. Cosa fatta capo ha, evidentemente, se l’ordine viene dai superiori, cioè dal Convitato di Pietra. Analogo stupore desta l’assenza di riferimenti al tema dei cosiddetti diritti civili. Deve essere ben forte la paura del Potere se nessuno si azzarda a inserire nella propria agenda politica l’abolizione o la modifica delle unioni civili e dell’eutanasia di Stato approvata in extremis. A destra devono aver pensato meglio l’eutanasia che lo Ius Soli, ma adesso accettano tutti senza reagire una legislazione antiumana, ostile alla natura, contraria alla vita, come già per l’aborto libero, altro tabù intangibile. Ha vinto su tutta la linea il Partito Radicale, la mamma(na) d’Italia Emma Bonino, il prode Pannella esaltato dall’arcivescovo Paglia.

Scherza con i santi, ma lascia stare i fanti. Tutto va al contrario, troppe cose non si possono toccare e su questo tutti sembrano d’accordo. Ma allora, di grazia, perché e per che cosa ci chiamano a votare? Intanto, ci hanno ridotto ad accapigliarci sui due centesimi della tassa sui sacchetti della verdura, a discutere di fascismo in assenza dello stesso, mentre il festival di Sanremo fornirà un’altra eccellente arma di distrazione di massa, ben superiore al Grande Fratello Vip e al virtuoso dibattito sulle molestie sessuali.

Questo è il catalogo, ma vediamo di seguito gli argomenti veri, quelli di cui non è opportuno parlare, tantomeno per esporre una visione alternativa. I tabù del Convitato di Pietra sono il debito, l’euro, la moneta, il mercato globale, la privatizzazione del mondo, il dogma della scarsità in ambito economico, il dominio della tecnologia, il sistema dei diritti civili individuali a fini di distruzione di tutte le identità nel campo delle relazioni sociali e dell’etica. Vediamo di analizzare brevemente le questioni economiche e finanziarie che sino al 4 marzo saranno oggetto di scrupoloso silenzio, rimozione concordata o ostinata menzogna, sino alla concorde ridicolizzazione di qualunque voce dissenziente.

Un dato di fatto è la manipolazione della statistica. Affermano senza vergogna che l’occupazione è in ripresa, con numeri assoluti superiori al picco del 1977. A parte il fatto che quarant’anni fa la popolazione era inferiore – non c’erano praticamente immigrati – è molto facile drogare i dati considerando occupato chi lavora un paio d’ore alla settimana. In termini di ore lavorate, il calo resta impressionante, mentre il 90 per cento dei nuovi contratti è a tempo determinato. Nel corso dei governi Padoan (l’uomo forte proconsole del Convitato di Pietra è l’economista romano) il debito pubblico è salito di almeno cinque miliardi al mese, raggiungendo i 2.300 miliardi di euro e il 133 per cento del prodotto interno (PIL). Lavoriamo, tutti, per pagare interessi che, a seconda dei periodi, vanno dai 40 ai 90 miliardi annui. La previsione è di crescita della fattura, poiché sta per concludersi l’iniezione di denaro virtuale dalla BCE alle banche commerciali chiamata quantitative easing, con conseguente aumento dei tassi. L’acquisto dei nostri buoni del tesoro, che finanziano il fabbisogno pubblico, calerà del 50 per cento, e non sarà certo la conclamata crescita dell’1,5 del PIL a sistemare le cose.

L’euro resta troppo forte rispetto al dollaro ed è ormai chiaro a chiunque che si tratta di una valuta estera manovrata da una banca straniera, oltreché privata. Due uomini di sinistra che masticano economia, Vincenzo Visco e Stefano Fassina si sono aggiunti di recente ai sette premi Nobel e ai numerosi esperti non conformisti nel giudicare l’euro uno strumento di dominazione. Benvenuti. Risulta evidente che il limone delle maggiori tasse non può essere spremuto oltre certi limiti, per cui spuntano reputati liberisti che, dalle colonne di quotidiani nazionali di centrodestra, ripropongono la solita, drammatica ricetta: vendere il patrimonio pubblico. E’ stato ipotizzato un fondo di bilanciamento che punta ad un valore iniziale di 650 miliardi di euro – beni comuni, sangue di tutti noi – da immettere sul mercato con il doppio effetto di abbattere il debito, ergo gli interessi relativi e di migliorare il rating, ovvero il giudizio sul sistema Italia delle agenzie private – controllate dal Convitato di Pietra- Moody’s, Fitch e Standard & Poors. La privatizzazione del mondo avanza tramite rapina a mano armata a beneficio di un pugno di colossi.

Il sistema non si tocca, né si cambia né si può mettere in discussione. Tacciono in coro sull’evidente attacco del capitale francese ai “gioielli di famiglia “della nostra economia, banche ed imprese di vertice. Tacciono anche sullo scivolamento progressivo nella povertà relativa di almeno 25 milioni di connazionali, vantando il modesto recupero di reddito dei ceti medi. Nessun accenno alla perdita secca della siderurgia (il caso ILVA è sotto gli occhi di tutti) in completa assenza di una politica industriale nazionale.

Berlusconi, nei mesi scorsi, aveva lanciato una proposta intelligente, quella della doppia moneta. E’ calato il sipario, la signora Merkel, la banca centrale e i mandanti dell’Economist neo tifoso del Cavaliere non gradiscono. Eppure, come sottolineano osservatori di primo piano come il professor Nino Galloni, resiste in Italia un vasto nocciolo duro di imprese che si ostinano a non cedere, che hanno realizzato il miracolo di un aumento delle esportazioni ed ancora più incredibile, una produzione agricola ed alimentare che ha permesso di diminuire di ben 40 miliardi le importazioni relative. Tutto ciò praticamente senza Stato, con burocrazie nemiche, banche usuraie, infrastrutture arretrate (ma i grillini sono No-Tutto) e una moneta fatta apposta per impiccare il sistema produttivo con grande soddisfazione della Germania, il nostro vero competitore.

Spiega Galloni che la scommessa giusta è il recupero della sovranità nazionale, a partire dall’affiancamento alla moneta internazionale euro di una valuta nazionale. “Una moneta nazionale non è proibita dai trattati europei, perché avrebbe solo circolazione interna, ma sicuramente servirebbe per fare quegli investimenti e quelle assunzioni – dove servono- per dare respiro al paese e ripristinare quel concetto di welfare universale che ci salva dalla guerra civile”. Aggiunge sconsolato che “non esercitando più la sovranità monetaria, lo Stato si è messo nella stessa situazione di qualunque disgraziato che debba chiedere un prestito, se vuole fare investimenti. E non ne può fare di più grandi rispetto a quello che incamera con le tasse”. La lingua batte dove il dente duole, ovvero sulla vergognosa modifica dell’art. 81 della Costituzione che impone il pareggio di bilancio, nonché, ovviamente, sulla dipendenza dello Stato da banche private.

La via d’uscita esiste, poiché, se non possiamo stampare banconote in base all’articolo 128 del Trattato di Maastricht, possiamo però emettere “Statonote”, da usare per investimenti e pagare le tasse. In questo modo, si aggirerebbe anche la trappola del pareggio di bilancio. La Statonota, non essendo a debito, avrebbe lo stesso segno algebrico delle tasse, ovvero il segno positivo, permettendo una equilibrata politica di spesa per infrastrutture ed investimenti. Economisti vicini a Berlusconi, alla Lega e non pochi altri ne hanno parlato con rigore scientifico, come sa chi legge i loro accorati messaggi, ma la politica è troppo debole per ascoltare e soprattutto per proporre il nuovo all’opinione pubblica. C’è sempre il convitato di pietra, interessato a perpetuare il dogma artificioso della scarsità, simboleggiato dall’euro, una moneta straniera che, per averla, nella quantità stabilità da lorsignori e ai tassi da essi stabiliti, la dobbiamo pagare.

Di Maio si è chiamato fuori, da bravo scolaretto, Antonio Tajani, longa manus di Silvio in Europa si felicita che anche Salvini “abbia abbandonato l’idea di una ipotetica quanto irrealizzabile uscita dall’euro”. La preoccupazione principale dell’ex giovane monarchico è “l’avanzata del populismo che metterebbe a rischio la stabilità del nostro Paese”. Sempre questa dannata stabilità, la parola che significa che comandano loro a prescindere o, per ricorrere ai celeberrimi versi di Dante in bocca a Virgilio “vuolsi così là dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”.

Un altro genio, Albert Einstein, osservò una volta che non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato. Il dominio finanziario, la scarsità, il sistema del debito sovrano, il mercatismo hanno fallito, dunque vanno abbandonati. Non si può: il convitato di pietra proibisce anche solo l’accenno a possibili alternative, spegne il dibattito con l’ausilio dei soloni dell’economia accademica, quelli che falliscono da un quarto di secolo con le loro previsioni, i brillanti modelli matematici e l’ideologia neo liberista. In altre occasioni, li abbiamo definiti meteorologi del giorno dopo, ovvero signori che ci spiegano dottamente come e perché ieri è piovuto, ma non sanno indicare, al di là di paroloni e supponenza, che tempo farà domani.

Il debito, ripetiamolo a costo di indignare i seguaci della corrente, è una truffa. Intanto per le sue dimensioni, che nel mondo superano di almeno cento volte tutti i beni e tutta l’economia reale esistente. Poi perché il creditore, in larga misura, ha prestato qualcosa di non ancora esistente, il denaro creato dal nulla, di cui si attribuisce la proprietà. Infine, è un fatto storico che gli Stati non hanno mai ripagato il debito. I meccanismi furono diversi, dal più immediato, il ripudio, fino all’emissione di monete con contenuto in metallo prezioso inferiore al valore facciale, alla più moderna inflazione. Andrebbe quindi posta in discussione l’architrave del sistema che ci strozza, recuperando la sovranità monetaria e quella economica. Proposte? Denunciare come antisociale e antinazionale il divieto degli aiuti di Stato a imprese o settori produttivi, riprendere il controllo sul sistema bancario attraverso la vecchia distinzione tra banche di deposito e prestito e banche d’affari, le prime meritevoli di legislazioni che proteggano risparmiatori e investitori, le altre da lasciare agli spiriti del mercato, con buona pace del bail in.

Debito, euro, politica industriale, occupazione, privatizzazioni sono temi strettamente collegati, per affrontare i quali è necessario il coraggio di sfidare il Convitato di Pietra. La stessa diminuzione delle tasse, tanto promessa a destra, non servirà a nulla se il denaro risparmiato dovrà essere speso dalla maggioranza, i due terzi che stanno male o hanno smesso di stare bene, per pagare i servizi attualmente coperti dal residuo Stato sociale, e se il restante terzo si limiterà al consumo di beni importati, come consigliato /imposto dall’immensa macchina pubblicitaria globale.

La Cina lavora ad un immenso piano di infrastrutture che cambierà per sempre il mondo (la nuova via della seta), gli Usa tentano la reindustrializzazione con un misto di protezionismo e vasta diminuzione delle tasse, in più stanno ridiventando esportatori di petrolio. La Russia recupera protagonismo, favorita dalle immense risorse energetiche e da piani industriali volti alla ricerca. L’Europa è ferma, prigioniera della dipendenza dagli Usa, della denatalità, dell’adesione incondizionata ai dogmi di un’economia e di una finanza predatoria, dai calcoli nazionali della Germania e della Francia. L’Italia, semplicemente, non è più nulla.

Ma di tutto questo si parlerà assai poco, di qui al 4 marzo, quando, volenti o nolenti, voteremo perché nulla cambi. Senza dibattito vero, senza un confronto di progetti chiari, senza una vera prospettiva nazionale. Il Potere non vuole, i suoi funzionari e fattorini di destra, centro e sinistra si adeguano. Don Giovanni, il burlatore di Siviglia, ha smesso di essere il ribaldo audace di Mozart. Il Convitato di Pietra, nella parte del vampiro, continuerà tranquillamente a succhiare il nostro sangue. Con il consenso estorto della maggioranza, certificato dall’esito elettorale.

Roberto PECCHIOLI