Coronavirus e bioterrorismo. La minaccia biologica.

di Roberto PECCHIOLI

 

Il caso della pandemia di coronavirus proveniente dalla Cina scatena preoccupazioni, diffonde timori ancestrali e dà la stura a ogni ipotesi. L’allarme delle autorità locali è scattato con colpevole ritardo, non si sa con esattezza il numero delle persone colpite e il numero dei decessi; la circostanza che nella zona della città di Wuhan, epicentro del contagio, operi un laboratorio chimico riservato genera sospetti. Qualcuno pensa addirittura a un episodio di guerra asimmetrica per via biochimica, altri propendono per una “fuga” del virus da quel laboratorio o da un altro. Comunque sia, il ritardo delle autorità cinesi resta irresponsabile, così come la scarsità di informazioni credibili. L’unica certezza è che ci viene nascosta almeno una parte della verità. I cinesi non avrebbero isolato un pezzo di nazione con decine di milioni di abitanti se i dati veri fossero quelli ufficiali. Tenuto conto delle dimensioni geografiche e demografiche del Dragone, si tratterebbe di un’influenza leggermente più acuta di altre.

Evidentemente non è così. In attesa di capirne di più, vale la pena alzare lo sguardo oltre la presente epidemia e tentare di capire di più su un tema oscuro e misconosciuto: la guerra biologica e il bioterrorismo. Sappiamo che gli Stati vi investono somme ingenti e utilizzano le migliori intelligenze scientifiche in campo militare e strategico. Non è una novità: da sempre si è cercato di sconfiggere il nemico per via chimica. Avvelenamento di pozzi, tentativo di indurre pestilenze e altre pandemie fanno parte della storia – segreta e non – di tante guerre in ogni tempo. La differenza con il passato è la potenza straordinariamente superiore dei mezzi tecnici odierni, che fanno impallidire la guerra con gas nervini – la terribile iprite della prima guerra mondiale, responsabile della strage orrenda dei poveri fantaccini in trincea nel Belgio e nel nord della Francia – o il gas Sarin diffuso da terroristi nelle città e nelle metropolitane giapponesi.

La “strana polmonite” denunciata dopo settimane dai sanitari municipali di Wuhan sarebbe dovuta all’assenza di igiene nel mercato di animali vivi della città. In due settimane, il governo cinese ha condiviso la sequenza del genoma del virus, il che consente ai laboratori di tutto il mondo di studiare il virus, sviluppare test per rilevarlo, trattamenti o vaccini. Ciò significa, al di là della drammatica contingenza, che l’espansione di conoscenze, procedure, tecnologie e materiali nel campo della microbiologia determina una vera e propria rivoluzione. Stiamo vivendo un rapidissimo sconvolgimento biologico, simile per imponenza e velocità ai progressi fulminei dei pionieri dell’informatica che hanno condotto in pochi anni alla quarta rivoluzione industriale e al potere di Silicon Valley. E’ un fatto politico e strategico non meno che scientifico.

Da parte sua, il virus ha impiegato solo un mese per percorrere milioni di chilometri attraverso 27 paesi e ha dimostrato che viviamo sotto una costante minaccia biologica. Al di là della memoria delle lettere con l’antrace, che ha esteso la paura del bioterrorismo negli Stati Uniti nel 2001, la possibilità di una guerra biologica si unisce alla minaccia naturale rappresentata da malattie emergenti come Ebola, Zika, influenza aviaria.

La scienza è riuscita a sequenziare i virus, ma anche a manipolarli, mutarli e svilupparli sinteticamente. Il caso più eclatante è quello del vaiolo, riprodotto in laboratorio nel 2017 dal canadese David Evans. Una delle malattie più letali della storia – si stima che abbia ucciso 300 milioni di persone nel solo XX secolo -, considerata ormai sradicata dagli anni Ottanta del secolo XX grazie al vaccino. Evans è riuscito a sintetizzare il virus in laboratorio e ha pubblicato le risultanze sulla rivista scientifica “aperta” Plos One, Il suo lavoro, a disposizione di tutti, ha suscitato l’allarme della comunità scientifica: con soli centomila dollari di investimento e in sei mesi, ha realizzato la ricetta per porre fine al mondo e l’ha resa accessibile a tutti.

Qualcosa di simile era successo qualche anno prima con gli scienziati che erano riusciti a mutare il virus dell’influenza aviaria (H5N1) – di grande letalità ma con scarsa capacità di trasmissione tra gli umani, sinché il contagio non si sviluppò attraverso i mammiferi. La ricerca era motivata dalla volontà di scoprire se i virus H5N1 fossero in grado di evolversi ed essere trasmessi tra i mammiferi attraverso l’aria. È stato sperimentato con i furetti, che replicano bene l’influenza umana, e lo scopo è stato raggiunto. Furono sufficienti solo tre o cinque mutazioni del virus. Avevano sintetizzato un virus dell’influenza aviaria molto più contagioso per le persone: il tasso di mortalità tra gli esseri umani raggiunge il 60%.

Il governo americano ha bloccato la pubblicazione dei risultati della ricerca, destinati ad apparire su riviste dell’importanza di Science and Nature, imponendo una moratoria di sei mesi che si è protratta per due anni. Tutti i tipi di indagini sui virus sono stati interrotti.  E’ stato precipitosamente predisposto un regolamento che ha limitato le indagini a doppio taglio, in grado di dare origine a virus più pericolosi di quelli iniziali. Si deve richiedere un permesso specifico e una commissione valuta “se ciò che puoi guadagnare è più vantaggioso del rischio di rendere pubbliche tali informazioni”, ammette un ricercatore. Per niente rassicurante, al tempo in cui il Dio denaro regna incontrastato. Nessuno ci protegge dai dottor Stranamore impegnati chissà dove in distopici laboratori del dottor Caligaris. Inoltre, che cosa sappiamo delle ricerche ufficiali militari e strategiche, coperte da segreto?

Quella prudente moratoria ha colpito le ricerche sui coronavirus, per cui sono pochi i laboratori che hanno accesso al virus e probabilmente si sta perdendo tempo nella predisposizione di trattamenti e vaccini. Speriamo, con una punta di orgoglio nazionale, nelle scoperte annunciate dall’istituto Spallanzani.  Ciò che rallenta alcune ricerche è il timore del bioterrorismo, poiché è elevato il rischio che determinate conoscenze siano utilizzate come armi biologiche. Un rapporto ufficiale europeo del 2018 lo afferma chiaramente: “Una delle minacce alla vita nel mondo globalizzato è la possibilità di diffusione internazionale di un agente biologico, zoonotico (di origine animale) o meno, emergente o riemergente, di origine naturale, accidentale o intenzionale”.

Come nel coronavirus, la cui origine sembra riferibile a un pipistrello o al pangolino, un mammifero squamoso diffuso in Asia, tre quarti degli agenti di malattie infettive sono di origine animale; così è per il virus Ebola, per l’HIV responsabile dell’AIDS e per la maggior parte delle influenze stagionali. Inoltre, il 60% delle malattie umane trasmissibili ha un’origine zoonotica e l’80% dei microrganismi considerati agenti di guerra biologica o bioterrorismo sono agenti zoonotici.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha indicato ben 29 agenti biologici viventi utilizzabili a fini bioterroristici.  Di questi, i 12 più pericolosi sono noti come la “sporca dozzina”. La metà sono agenti zoonotici: antrace, peste, vaiolo, ebola o febbre sono alcune delle minacce considerate più importanti, a cui si aggiunge l’influenza. La più grande minaccia sono i virus dell’influenza, tra cui alcuni noti, come l’influenza aviaria. L’OMS stima che una pandemia globale potrebbe causare 700.000 morti ogni anno.

Uno studio ufficiale intitolato Bioterrorismo: aspetti pratici, spiega l’enorme potenziale di un attacco di bioterrorismo. “Se un aereo diffonde sotto forma di aerosol 50 kg di spore di Bacillus anthracis (antrace) a 6.600 piedi di altezza (circa duemila metri) su una popolazione di 500.000 abitanti in condizioni meteorologiche adeguate, significherebbe l’infezione di 220.000 persone.”

Decessi e infezioni non sono l’unica preoccupazione: “Se viene introdotto un virus che non si trova in un paese sviluppato, può causare un disastro agricolo o zootecnico e paralizzare l’economia del paese” Uno studio stima in 570 miliardi di dollari i costi annuali associati a una pandemia di influenza e avverte che non sono solo le minacce biologiche a colpire gli esseri umani. Un’epidemia del comune virus del graffio, legata alla carestia in Africa, potrebbe infettare il 37% della produzione mondiale di grano e lasciare un miliardo di persone senza cibo nei paesi in via di sviluppo.

Questi aspetti economici collaterali di eventuali attacchi biologici sono in cima alle preoccupazioni degli analisti e degli apparati riservati degli Stati. Continua il rapporto: “sebbene nei casi che si sono verificati non vi sia stato un elevato numero di morti, molti servizi sono stati paralizzati e si è avuto un importante effetto psicologico sulla popolazione”. Effetti già sperimentati sull’ economia mondiale e  sulla diffusione di notizie false o incontrollate nelle prime settimane del coronavirus, nonostante la malattia, ufficialmente, abbia un tasso di mortalità del 2,5 percento.

Oltre agli attacchi intenzionali, gli incidenti rappresentano un altro fattore di rischio. Nel mondo ci sono solo due laboratori che conservano campioni di virus del vaiolo. Uno di questi, in Russia, ha subito nel 2019 un incendio di cui si ignorano le cause. In alcuni paesi, mentre in Nigeria vengono ostacolate le campagne di vaccinazione dall’organizzazione terroristica Boko Haram. Indipendentemente dalla loro origine, pare evidente che questi pericoli richiedano una risposta coordinata e globale, il che semina un altro dubbio. E se la minaccia biologica e bioterroristica avesse tra i suoi obiettivi quello di instillare nell’opinione pubblica terrorizzata l’idea della necessità di un governo mondiale?  La geopolitica agisce su tempi lunghi e con mezzi a cui è estraneo ogni scrupolo morale.

L’Interpol ha un’unità specializzata nel bioterrorismo, descritto come “vera minaccia”, il cui danno “può raggiungere dimensioni insospettate, causando un gran numero di infezioni e morti e seminando paura e panico a scala mondiale”.  Il sito web dell’Interpol spiega che la proliferazione di dati e conoscenze provenienti da Internet rende disponibili “canali di comunicazione nascosti e anonimi, come il web oscuro (dark web) per acquistare, vendere, scambiare informazioni e comunicare”. L’UE ha disposto dal 2014 programmi sanitari volti “a proteggere i cittadini dell’Unione da gravi minacce sanitarie transfrontaliere”. Segno che tali minacce esistono e sono concrete.

I protocolli dei microbiologi europei indicano il vaiolo, l’antrace, la peste o la tossina botulimica come le minacce che potranno trasformarsi in armi biologiche. La costante allerta diventa così una necessità dinanzi alla rivoluzione biotecnologica. Si estende infatti un “fai da te” biologico tra privati, gruppi, piccole imprese e istituzioni educative in cui si nascondono malintenzionati di ogni tipo. Le conseguenze potrebbero essere gravi, con particolare riferimento all’ingegneria genetica e alla manipolazione biologica. Qualsiasi manipolazione di una malattia, ad esempio rendendola resistente agli antibiotici, potrebbe avere esiti senza precedenti.

Nel frattempo, non si sa ridere o piangere, il politicamente corretto ha raggiunto il campo della medicina e della biologia. Infatti, le agenzie delle Nazioni Unite hanno deciso di rinominare il coronavirus cinese. Da oggi, deve essere chiamato Covid-19. Lo ha confermato il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus, dopo l’incontro di Ginevra tra esperti di tutto il mondo per rispondere allo scoppio del coronavirus. Nel fornire un primo protocollo standard da utilizzare nei futuri focolai di coronavirus, si afferma che “avere un nome è importante per evitare di usare altri nomi che potrebbero essere poco accurati o stigmatizzanti.” Secondo le linee guida dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale per la salute animale e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, il nome del virus non deve riferirsi a zone geografiche, animali o persone specifiche.

Le preoccupazioni semantiche, linguistiche e antidiscriminatorie dell’ONU non cureranno un solo ammalato, non impediranno alcun contagio, non faranno avanzare la verità sul coronavirus- o come preferiscono a Palazzo di Vetro, sul Covid 19, né porteranno benefici alla ricerca. Cambiare le parole è sempre un’operazione tutt’altro che neutra, ma nel caso delle malattie risulta particolarmente irritante, tanto più che, stando ai dati ufficiali, il Covid19 ha già superato per numero di infettati e decessi la Sars del 2003.

Nella speranza che il virus- comunque lo si chiami- venga circoscritto e sia presto individuata un’efficace terapia, avrà almeno avuto il merito di destare l’allarme sui rischi immensi connessi alle tecnologie biologiche. Qualunque sia l’origine dell’epidemia attuale, è urgente che le comunità esigano dai governi e dalle istituzioni scientifiche la massima chiarezza e trasparenza. Le drammatiche epidemie del passato remoto- pestilenze, vaiolo, colera- hanno cambiato più volte la storia del mondo. Adesso possono essere riprodotte per casualità, volontà sconsiderata di pochi o decisione degli apparati di potere più oscuri e riservati. Abbiamo il diritto di saperne di più ed esigere che malattie e pandemie non siano considerate solo elementi di turbamento della vita economica. Davvero, tra biotecnologie, laboratori più o meno segreti, virus e possibile bioterrorismo, ne va della nostra vita, individuale e comunitaria.

In caso contrario, non resterà che ricorrere al rimedio invocato nel 1575 da un illustre medico napoletano: “sapendo noi per certo che ella sia flagello et castigo di Dio, il principal rimedio per preservarsi et liberarsi dalla peste, si è ricorrere primieramente a soccorso divino “. Badando, aggiungiamo noi, di chiamare il morbo con il nome politicamente corretto prescritto dalle autorità internazionali.