Ci sono già due Chiese. Una perseguitata.

Non solo Repubblica. Finalmente anche il Corriere (19 ottobre) ha “Francesco” in prima pagina. In apertura assoluta: “La Chiesa missionaria non si chiuda in sé stessa”, dice il titolo. In realtà è la prefazione a un libro del fu cardinal Martini, non un pezzo originale per il Corriere. Tralascio le lodi di “Francesco” al defunto: egli si dichiara qui apertamente l’attuatore della “eredità” del morto. Solo alcuni punti. “Uomini e donne di fedi diverse, non solo in ambito cristiano, hanno trovato e continuano a trovare consolazione e luce nelle sue riflessioni”. L’apporto preziosissimo del Martini viene identificato, correttamente, nel fatto che invece della fede, spargeva il dubbio. Nella “Cattedra dei non credenti” aveva messo in cattedra appunto i non credenti perchè insegnassero ai cristiani, a dubitare: riteneva un dovere cristiano dubitare. Il motivo, spiega “Francesco”, è che “L’iniziativa nacque dalla convinzione che tutti, credenti e non credenti, siamo alla ricerca della verità e non possiamo dare nulla per scontato”. Il morto stesso “non smise mai d’ interrogarsi”. Così dubitando “ha spinto lo sguardo oltre i confini consolidati, favorendo una Chiesa missionaria e ‘in uscita’ e non chiusa in se stessa..il dialogo è l’eredità di Martini”.

Così anche il Corriere – come tutti i media portavoci della secolarizzazione ormai trionfante – si unisce nella lode a “Francesco” che sale dal Mondo. E dalla sua parte nella battaglia propagandistica che il Bergoglio sferra contro i cardinali allarmati nel Sinodo sulla (fine della) famiglia.

La distinzione è ormai stabile: c’è una Chiesa “aperta” e missionaria contro una Chiesa “chiusa in se stessa”, nelle sue “certezze” e dogmi, perciò senza carità, minoritaria, sorpassata, che deve sparire. Il mondo vuole quella di Francesco.

Maggio 2014, visita allo Yad Vashem
Maggio 2014, visita allo Yad Vashem

 

 

Ci sono già due Chiese. Due teologie e due culti distinti.

Quella per cui è dovere cristiano, del cristiano, dubitare , e ricercare e non dar la verità per scontata, è molto seguita dai cristiani d’oggi. E’ una dottrina nuova. Cristo ha insegnato il contrario: “Sono Io la Via, la Verità, la Vita. Chiunque crede in me vivrà in eterno”.

Da dove viene questa dottrina? Non so se ho già citato (con la vecchiaia mi ripeto) il Rapporto UNESCO, dal titolo ‘Apprendre à etre‘ (Parigi 1972): lì si prescrive agli stati che conformino la pedagogia e l’istruzione in modo che “lo spirito non si fermi in persuasioni definitive”, ma anzi divenga “estremamente pronto a cambiare” Non solo pronto, ma “ estremamente” pronto a cambiare opinioni ha da essere l’uomo d’oggi: così impara ad ”essere”.

La Comunione
La Comunione

 

Dal Concilio, la gerarchia ha aderito entusiasticamente a questo dogma. Padre Arrupe, il generale dei gesuiti, come Bergoglio non voleva nell’insegnamento della fede “definizioni complete, strette, ortodosse, perché potrebbero portare a una forma aristocratica e involutiva”. L’eterodossia invece è evolutiva e democratica. Già durante la quarta sessione del Concilio, nella conferenza stampa del 23 settembre 1965, il cardinale Alfrink si rallegrava: “..Non esiste quasi nessun soggetto della Chiesa che non sia messo in discussione”. Il convegno dei teologi ad Ariccia, presieduto dal cardinal Garrone: “Nessuna proposizione può esser ritenuta assolutamente vera” (Osservatore Romano 16 gennaio 1971). Cardinal Suenens, settimana degli intellettuali cattolici, Parigi, 1966: “La morale è anzitutto viva, dinamismo di vita e soggetta a questo titolo ad una crescita interiore, ciò che scarta ogni fissità”. Nasce da qui, come si vede, la morale evolutiva per cui oggi la Chiesa vuol dare la Comunione ai divorziati risposati, apre alle “coppie omosessuali” che prima considerava peccatrici di un peccato che grida vendetta a Dio, e via progredendo. Colloqui del Centro di Teologia di Trieste, gennaio 1982: “Non esiste una ragione assoluta (…) dispiegantesi nella storia dell’umanità nel suo concreto divenire, bensì una ragione storicamente data le cui forme mutano al variare dei contesti culturali. Non si tratta di riproporre una concezione metafisica, filosofica e teologica totalizzante” questo è il più puro relativismo unito allo scetticismo (la verità è irraggiungibile), e con questa frase “è invalidata la ragione, ripudiata la Provvidenza, negata la metafisica, sorpassato Dio: la distruzione della dottrina cattolica”, commenta Romano Amerio in Iota Unum, da cui traggo queste citazioni.

 

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Il cristiano deve dunque apparecchiarsi al “dialogo”, eventualmente “ecumenico” o con “i non credenti”, spogliandosi previamente delle sue certezze. Perché, come intimava mica Repubblica, ma  l’Osservatore Romano già il 15 novembre 1965, “chi rinuncia al dialogo è un fanatico, un intollerante, che finisce sempre per essere infedele a se stesso prima che alla società di cui fa’ parte”.

E’ l’adesione al giudizio del mondo, quello che approva ed applaude “Francesco”: anzitutto non si deve essere fanatici, se si difendono le proprie convinzioni e la fede (il magistero) si è intolleranti, si tradisce – ecco il punto – “la società di cui si fa’ parte”.

L’altra Chiesa, minoritaria, deve sparire perché è “fanatica”.

E’ appena il caso di notare che il mondo invece si presenta al “dialogo” con le sue certezze dure come il ferro, non accetta che si discutano le loro conseguenze sulla salute sociale, anzi nozze gay, e adozione di bambini da parte di coppie sodomitiche, stanno diventando (come già l’aborto) obblighi legali, ossia dogmi protetti dal rigore delle leggi.  Il “dialogo” consiste nel fatto che i cattolici cedano, altrimenti sono fanatici. E i fanatici, la nostra società aperta, li emargina. Presto li perseguiterà.

E’ significativo vedere che mentre il Corriere mette in prima “Francesco” per dargli una potente mano alla sua volontà di aprire il Sinodo (come una scatoletta) alla Comunione per i divorziati conviventi, in un piccolo periodico cattolico, La Bussola, Riccardo Cascioli pone la domanda angosciante su questa gerarchia che s’è “aperta”: “Ma la Chiesa crede ancora nella presenza reale di Cristo?”.

La domanda nasce dal raccontino, riferito durante la conferenza stampa di padre Lombardi, secondo cui un bambino durante la Prima Comunione ha dato un pezzetto della sua ostia ai genitori divorziati risposati: la storia probabilmente falsa (ultima versione dei “casi pietosi” con cui si convinse l’opinione pubblica a legalizzare l’aborto) avrebbe commosso i cardinali al Sinodo. Che non hanno eccepito quel che diceva e sapeva la Chiesa: che quella particella di ostia è il Corpo di Cristo. E chi dà a uno in peccato e non pentito questo Corpo, “mangia e beve la propria dannazione”.

Quanti vescovi credono ancora nella Presenza Reale?

E’ una domanda che il Corriere non potrebbe pubblicare; non la potrebbe nemmeno capire. Le masse d’oggi non sanno più di cosa parli La Bussola, sono del tutto prive di comprensione per il dramma dei cattolici minoritari.

Il punto è che per noi, un pezzo di pane e una goccia di vino consacrato con le formule dovute da un sacerdote ordinato, rendono reale la Presenza di Cristo, il suo Cuore. Che si espone a venire offeso e dissacrato, ma espone gli uomini che lo dissacrano mangiandolo indegnamente  alle pene eterne dell’inferno.

Chiamatelo “pensiero magico”, superstizione, primitivismo: non mi tocca. Questa è la fede cattolica. Se non si crede che il sacerdote porta qui il Sacro, che ha ricevuto il potere di rendere presente Dio figlio qui tra noi, non si è cattolici. Da qui discendono altre cose: il tremendo della Messa che è il sacrificio umano dell’Innocente; la sua volontaria adesione al proprio supplizio primariamente per “soddisfare la giustizia divina per l’offesa fattale dall’uomo”, e in seguito a ciò riaprire agli uomini la via della salvezza, attraverso il mangiare la Vittima: “Chi non mangia la Mia carne e beve il Mio sangue non avrà la vita eterna”; l’adorazione fatta con tremore e timore…

Tutta l’azione della gerarchia dal Concilio sembra fatta apposta per mettere tra parentesi, sminuire questo fatto scandaloso ed arcaico nel presupposto che l’uomo moderno non lo accetterà. E’ inutile rievocare tutto lo scadimento e banalizzazione delle Messe, il degrado del sacerdote a operatore sociale e “uno di noi”,  l’abbandono della lingua liturgica  che ha rotto l’unità del  popolo cristiano, le variazioni  di  fantasia della “assemblea”, le mancate genuflessioni, la particola in mano (dove è profanata con facilità) invece che in bocca..mi basti citare quella per me più dolorosa: la posizione del Tabernacolo, contenente la Presenza Reale, per due millenni è stata al centro ottico ed architettonico delle chiese; poi, l’hanno messo ostentatamente “a lato” , meglio ancora in una cappella laterale fuori vista. Il tabernacolo è stato, per generazioni e generazioni, la mira delle preghiere, di adorazioni, fonte  di santità; adesso è da parte. Nemmeno lo ordinò qualche documento conciliare; è stata una decisione di preti e parrocchie, condonata  o incoraggiata da vescovi. Volevano sottrarlo all’adorazione? Liberarci del pensiero magico e, facendoci mettere “i piedi per terra” , obbligarci alla “carità” ossia all’”impegno nel sociale”, o alla “crescita della persona”, secondo i luoghi comuni della neolingua ideologico-clericale? Già solo l’esame delle rovine delle nostre chiese moderne, fra 500 anni, farà indovinare agli archeologi che qui avvenne una crisi religiosa enorme, simile a quella denunciata nell’Isola di Pasqua dal rovesciamento volontario dei moai.

Credere alla Presenza Reale è difficile. Non all’uomo moderno; lo era anche ai tempi di Gesù. Lo è stato nel Medio Evo, tanto che Tomaso d’Aquino ci ha insegnato, nel canto di adorazione “tantum ergo Sacramentum”, a invocare “praestet fides supplementum sensus defectui”, ossia: “la fede aggiunga quel che manca ai sensi che fanno difetto”;  quei sensi che non vedono che un pane,  mentre è il Cristo.

E’ facile schernire questa fede, è difficile farla rispettare dai media. Troppo facile, se un “Francesco” con la sua junta sudamericana chiama “farisei”, arcigni dottori della legge e “ufficiali di immigrazione” e “settari” quei cardinali, come l’africano Sarah e quello del Kazakhstan, che difendono “la legge divina”, e  lascia chiamare “congiurati conservatori” tredici cardinali che gli hanno scritto una lettera privata per  lamentare  come ha imbavagliato e messo le redini al Sinodo per strapparvi la conclusione pre-costituita da lui.

Eppure la domanda giusta è quella: credete ancora alla Presenza Reale?

Perché mai questo scoppiare verminoso di sodomiti senza vergogna, e senza controllo, pieni di sfida? Carmelitani che si infrattano con gigolò? Un monsignorino che presenta il suo “compagno” alla stampa e deride, “non ho mai toccato donna”, insultando i credenti con questa esibizione? Temo che la risposta fosse già in un articolo dell’Osservatore Romano che, il 22 dicembre 1972, su una congregazione di frati che s’era riformata da sé,  notava:  “ha spazzato via dalle Costituzioni del Fondatore tutte le pratiche di pietà (Messa quotidiana, lettura spirituale, meditazione esame di coscienza, ritiro mensile), tutte le forme di mortificazione, e ha messo in discussione anche il voto di obbedienza, concedendo al religioso il diritto all’obiezione di coscienza per sottrarsi agli ordini dei superiori”.

Questo era nel ’72. Descritto dal giornale ufficiale del Vaticano. Che cosa fece il Papa? Cosa hanno fatto i vescovi? La carica significa, fin dall’inizio della Chiesa, che hanno l’obbligo di vigilare, disciplinare, sorvegliare l’unità. Temo che quello della congregazione  descritta  del ’72 sia diventato un costume travolgente: non pregano più, non fanno l’esame di coscienza, né letture spirituali, e hanno tempo e soldi per trovarsi i gigolò.

Giovanni XXIII annunciò che la Chiesa ormai avrebbe usato la medicina della misericordia invece di quella della severità; nella pratica, non l’hanno adottata certi  vescovi a loro favore? Non si sono concessi loro per primi le libertà, le licenze e deviazioni che prima la severità puniva? Che la medicina della misericordia sia servita ad applicarsi a se stessi la manica larga? Ci sarà un motivo se nel Sinodo, il vescovo di Astana Thomas Peta sente “l’odore di questo “fumo infernale” in alcuni passi dell’Instrumentum Laboris e anche negli interventi di alcuni padri al Sinodo di quest’anno”.

Ed identifica il fumo di satana in tre punti:

  1. La proposta di ammettere alla sacra Comunione chi è divorziato e vive in una nuova unione civile;
    2) L’affermazione che la convivenza è un’unione che può avere in se stessa alcuni valori;
    3) L’apertura all’omosessualità come qualcosa dato per normale.

Ora, come fa’ notare Socci, sono precisamente i punti che erano stati rifiutati dall precedente Sinodo, e che “Francesco” ha reinserito d’imperio.

Ci sono già due Chiese. Io credo che quella che Francesco continua a bollare di farisaica, sia prossima a subire la persecuzione. Con l’applauso di tutti i media. E naturalmente, la Chiesa perseguitata sarà bollata coma la persecutrice: senza carità, vuol negare la Comunione ai divorziati risposati, figli adottivi agli invertiti, negare i diritti dei conviventi.

In attesa del Liberatore?

 

E’ questo rovesciamento che avvicina – temo – – la stravolta profezia che Léon Bloy annunciò nel suo saggio “Dagli ebrei la salvezza”. Convinto di essere un super-cattolico, Bloy volle convertire la prostituta Anne Marie Roulé, “splendida creatura dai capelli rossi”; ovviamente, finì in un rotolarsi nel letto, in una follia lussuriosa aggravata da un elemento fatale: la ‘religiosità’. Sesso e ‘mistica’, pericolosa commistione. Nella furia carnale, la loro stanza “sembrava così sensibilmente invasa dal demonio da morire di terrore”. La rossa fu miracolosamente convertita, e diede “comunicazioni sovrannaturali” all’amante esaltato. Il Regno del Figlio stava per finire, e cominciare quello dello Spirito Santo. Il Figlio non ci ha liberati, perché siamo ancora sotto la legge (specie i comandamenti, e sgradevolmente, il sesto); adesso verrà lo Spirito Santo che ci libererà. Non ci sarà più croce né comandamenti, saremo davvero ‘figli di Dio”. Come Cristo ha avuto il suo precursore, lo Spirito avrà il suo; tu, Léon Bloy, sei l’Elia atteso, designato dal cielo,  annunciò la visionaria Roulè  (che sarebbe finita poi in manicomio). Bloy, in quanto precursore autorizzato del Terzo Avvento, ricevette una nozione precisa sulla natura di quello Spirito  la cui venuta imminente  ci stava per liberare, e che lui chiama “Il Liberatore vagabondo” …lo dice con cautela, ma alla fine sbotta: lo Spirito si rivelerà essere nient’altro che “quel LUCIFERO che fu chiamato principe delle tenebre”, talmente “identico che è quasi impossibile separarli. Chi può comprendere, comprenda”.

Di questa nera rivelazione ho parlato nel mio Adelphi della Dissoluzione. Se la rievoco, è per un preciso aggancio che la evoluzione che la Chiesa “missionaria” e aperta di “Francesco”, e l’accusa alla Chiesa della Presenza Reale, sembra consentire. Bloy dice: quando venne Gesù, gli ebrei – che erano i custodi della religione del Padre – lo odiarono, perché la legge che instaurava contrastava troppo con la Legge del Padre. Adesso, “i cristiani saranno prodighi verso il Paraclito di ciò che è al di là dell’odio”: quella “liberazione” che il Paraclito (Lucifero) porterà sarà vissuta “da questa Chiesa dei martiri e confessori” come “lo scatenamento dell’Abisso”: e tale sarà, perché sarà il Regno di Lucifero, quello che promise Voi sarete come dei, la dissoluzione di ogni ordine cristiano, di ogni morale, di ogni limite.

Bloy immaginò che la Chiesa cattolica avrebbe perseguitato ferocemente la terza persona della Trinità da lui immaginata insieme alla Roulé: Padre, Figlio e Lucifero.

Mi sembra di vedere una analogia con l’oggi. C’è una Chiesa fedele alla Presenza Reale, ed essa è bollata di farisaica da un Papa che “apre” al mondo senza limiti, fra gli applausi dei media e delle masse secolarizzate. Sarà facile far passare quella Chiesa “conservatrice” come la persecutrice, quando sarà perseguitata: ecco, si oppone al Liberatore, a quello che vuol liberarci dalla Legge….