Christus Vincit, Christus Regnat, Christus Imperat

Una meditazione di monsignor Carlo Maria Viganò  che è un invito a  tutti noi, sudditi del Re

Mons. Viganò: La Gerarchia ha detronizzato Cristo Re

Durante il meeting annuale dei membri di LifeSiteNews, avvenuto il 6 agosto, mons. Carlo Maria Viganò vi ha preso parte telefonicamente, meditando sull’importanza della regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo e del diabolico piano per distruggerla fuori e dentro la Chiesa. Abbiamo tradotto per voi l’intera meditazione.

 

di  S.E. mons. Carlo Maria Viganò

Permettetemi, cari amici, di condividere con voi alcune riflessioni sulla Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, manifestata nella Trasfigurazione che celebriamo oggi, dopo altri episodi significativi della vita terrena del Signore: dagli Angeli sopra la Grotta di Betlemme, all’Adorazione dei Magi, al suo battesimo nel fiume Giordano.

Ho scelto questo tema perché credo che, in un certo senso, possa riassumere il punto focale del nostro e vostro impegno di cattolici; non solo nella vita privata e familiare ma anche e soprattutto nella vita sociale e politica.

Prima di tutto, ravviviamo la nostra fede nella Regalità Universale del Nostro Divino Salvatore. Egli è veramente il Re dell’Universo, ovvero possiede la Sovranità assoluta su tutta la creazione, sul genere umano, su tutte le persone, anche su coloro che sono al di fuori del suo ovile, cioè la Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana.

Ogni persona è veramente una creatura di Dio. Ogni persona deve a Lui tutto il suo essere, sia nella sua natura nel suo insieme, che in ciascuna delle singole parti che la compongono: corpo, anima, facoltà, intelligenza, volontà e sensi. Le azioni di queste facoltà – così come le azioni di tutti gli organi del corpo – sono doni di Dio, il cui dominio si estende a tutti i suoi beni come frutti della sua ineffabile libertà. La semplice considerazione del fatto che nessuno sceglie o può scegliere la famiglia a cui appartiene sulla terra è sufficiente a convincerci di questa verità fondamentale della nostra esistenza.

Da ciò ne consegue che Nostro Signore Dio è il Sovrano di tutti gli uomini, sia individualmente che riuniti in gruppi sociali, poiché il fatto che formano diverse comunità non significa che perdano la loro condizione di creature. Effettivamente, la stessa esistenza della società civile obbedisce ai disegni di Dio, che ha reso sociale la natura umana. Così tutte le persone, tutte le nazioni – dalle più primitive alle più civili, dalle più piccole alle più potenti – sono tutte soggette alla Divina Sovranità e, di per sé, hanno l’obbligo di riconoscere questo dolce Dominio celeste.

IL REGNO DI GESÙ CRISTO

Come spesso attestano le Sacre Scritture, Dio ha conferito questa Sovranità al suo Figlio Unigenito.

San Paolo afferma, in modo generale, che Dio ha voluto il suo Figlio «erede di tutte le cose» (Eb 1, 2). San Giovanni, da parte sua, conferma il pensiero dell’Apostolo delle genti in molti passaggi del suo Vangelo; ad esempio, quando ricorda che «il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio» (Gv 5, 22). La prerogativa di amministrare la giustizia appartiene, infatti, al re, e chi la possiede lo fa perché investito del potere sovrano.

Questa Regalità Universale, che il Figlio ha ereditato dal Padre, non dovrebbe essere intesa solo come l’eredità eterna attraverso la quale, nella sua Natura Divina, ha ricevuto tutti gli attributi che lo rendono uguale e consustanziale alla Prima Persona della Santissima Trinità, nell’unità dell’Essenza Divina. Tale regalità è anche attribuita in modo speciale a Gesù Cristo in quanto è veramente uomo, il mediatore tra il Cielo e la terra. Infatti, la missione del Verbo incarnato è proprio l’istituzione sulla terra del Regno di Dio. Osserviamo che le espressioni della Sacra Scrittura relative alla Regalità di Gesù Cristo si riferiscono, senza ombra di dubbio, alla sua condizione di uomo.

Viene presentato al mondo come il Figlio del re Davide, il quale viene per ereditare il Trono di suo Padre, esteso fino ai confini della terra e reso eterno, senza contare gli anni. Fu così che l’Arcangelo Gabriele annunciò la dignità del Figlio di Maria: «Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1, 31-33). Inoltre i Magi, venuti dall’Oriente per adorarlo, lo cercano come un Re: «Dov’è il neonato Re dei Giudei?», chiedono a Erode, al loro arrivo a Gerusalemme (cfr. Mt 2, 2). La missione che l’Eterno Padre affida al Figlio nel mistero dell’Incarnazione è quella di stabilire un Regno sulla terra, il Regno dei Cieli. Attraverso l’istituzione di questo Regno, l’ineffabile Carità con cui Dio ha amato gli uomini da tutta l’eternità – attirandoli misericordiosamente a Sé – diventa concreta: «Dilexi te, ideo attraxite, miserans (Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà)» (Ger 31, 3).

Gesù consacra la propria vita pubblica proclamando l’istituzione del suo Regno, a volte indicato come il Regno di Dio e altre come il Regno dei Cieli. Seguendo la pratica orientale, Nostro Signore si serve di affascinanti parabole per inculcare l’idea e la natura di questo Regno che è venuto a stabilire. I suoi miracoli mirano a convincere il popolo che il suo Regno è già venuto; si trova in mezzo alla gente. «Si in digito Dei eiicio daemonia, profecto pérvenit in vos regnum Dei (Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio)» (Lc 11,20).

La costituzione del suo Regno assorbì a tal punto la sua missione che l’apostasia dei suoi nemici approfittò di quest’idea per giustificare l’accusa sollevata contro di lui davanti al tribunale di Pilato: «Si hunc dimittis, non es amicus Caesaris (Se lo rilasci, sei non un amico di Cesare)». Gridarono a Ponzio Pilato: «Chiunque si fa re si oppone a Cesare» (cfr. Gv 19, 12). Convalidando l’opinione dei suoi nemici, Gesù Cristo conferma al governatore romano di essere veramente un Re: «Tu lo dici: Io sono Re» (cfr. Gv 18, 37).

VERAMENTE RE

Non è possibile mettere in dubbio il carattere regale dell’opera di Gesù Cristo. Egli è il Re. La nostra fede, tuttavia, richiede che comprendiamo bene la portata e il significato della Regalità del Divin Redentore. Pio XI esclude immediatamente il senso metaforico con cui chiamiamo “re” e “regale” qualunque cosa sia eccellente in un modo di essere o di agire umano.

No: Gesù Cristo non è re in senso metaforico. È Re nel vero senso della parola. Nella Sacra Scrittura, Gesù appare esercitando le prerogative reali del governo sovrano, dettando leggi e ordinando pene contro i trasgressori.

Nel famoso Discorso della Montagna possiamo dire che il Salvatore ha promulgato la Legge del suo Regno. Come vero sovrano, richiede obbedienza alle Sue leggi sotto pena, niente meno, che la condanna eterna. E anche nella scena del Giudizio, che annuncia la fine del mondo, quando il Figlio di Dio verrà per amministrare il suo giudizio ai vivi e ai morti: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria […] separerà [i buoni e i malvagi, ndt] gli uni dagli altri, come un pastore separa le pecore dai capri […]. Allora il Re dirà a quelli alla sua destra: “Venite, benedetti dal Padre mio […]”. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno […]”. E questi andranno alla punizione eterna, ma i giusti alla vita eterna» (cfr. Mt 25, 31ss). Una frase che è allo stesso tempo dolce e terribile. Dolce per i buoni, per l’ineguagliabile bontà del premio che li attende; terribile e spaventoso per i malvagi, a causa del terrificante giudizio a cui sono condannati per l’eternità.

Una considerazione di questo tipo è sufficiente per le persone a rendersi conto di quanto sia della massima importanza identificare correttamente dove si trova il Regno di Gesù Cristo qui sulla terra, perché l’appartenenza o no ad esso decide il nostro destino eterno. Abbiamo detto “qui sulla terra” poiché l’uomo merita la ricompensa o la punizione per l’aldilà in questo mondo. Sulla terra, quindi, gli uomini dovrebbero entrare a far parte di quest’ineffabile Regno di Dio, che è sia temporale che eterno, perché è formato in questo mondo e fiorisce pienamente in Cielo.

LA SITUAZIONE PRESENTE

La furia del Nemico, che odia la razza umana, principalmente si scatena contro la dottrina della Regalità di Cristo, perché quella Regalità è unita nella Persona di Nostro Signore, vero Dio e vero Uomo. Il secolarismo dell’Ottocento, alimentato dalla massoneria, è riuscito a riorganizzarsi in un’ideologia ancora più perversa, poiché ha esteso la negazione dei diritti reali del Redentore non solo nella società civile ma persino nel Corpo della Chiesa. Quest’attacco è stato consumato con la rinuncia da parte del Papato al concetto stesso di questa regalità vicaria del Romano Pontefice, portando così nel cuore stesso della Chiesa le richieste di democrazia e parlamentarismo che erano già state usate per minare le nazioni e l’autorità di governanti.

Un atto di “umiltà”   o di superbia? “Tolse la corona anche a Nostro Signore, privandolo della corona della Sua regalità sociale”.

Il Concilio Vaticano II ha fortemente indebolito la monarchia papale in conseguenza dell’implicita negazione della Divina Regalità dell’Eterno Sommo Sacerdote, e così facendo ha inferto un colpo magistrale contro l’istituzione che fino ad allora era stata un muro di difesa contro la secolarizzazione della società cristiana. La sovranità del Vicario venne diminuita, e questo fu progressivamente seguito dalla negazione dei diritti sovrani di Cristo sul suo Corpo mistico. E quando Paolo VI depose il triplo diadema regale con un gesto ostentato, come se rinunciasse alla sacra monarchia vicaria, tolse la corona anche a Nostro Signore, confinando la sua regalità ad una sfera meramente escatologica. La prova di ciò sono le significative modifiche apportate alla liturgia della solennità di Cristo Re e il suo traslocamento alla fine dell’anno liturgico.

Lo scopo della solennità, ovvero la celebrazione della regalità sociale di Cristo, illumina anche il suo posto nel calendario. Nella liturgia tradizionale era assegnata all’ultima domenica di ottobre, in modo che la festa di Tutti i Santi, che regnano per partecipazione, fosse preceduta dalla festa di Cristo, che regna di diritto. Con la riforma liturgica approvata da Paolo VI nel 1969, la solennità di Cristo Re è stata spostata all’ultima domenica dell’anno liturgico, cancellando la dimensione sociale della Regalità di Cristo e relegandolo alla dimensione meramente spirituale ed escatologica.

Tutti i padri conciliari che votarono per la Dignitatis Humanae e proclamarono la libertà religiosa con Paolo VI, si saranno resi conto che di fatto hanno spodestato Nostro Signore Gesù Cristo, privandolo della corona della sua Regalità sociale? Avranno compreso che avevano detronizzato concretamente Nostro Signore Gesù Cristo dal trono della sua divina Regalità su di noi e sul mondo intero? Avranno capito che, facendosi portavoce di nazioni apostate, hanno di fatto intronizzato queste bestemmie esecrabili: «Non vogliamo che Costui sia il nostro re» (Lc 19, 14); «Non abbiamo altro re che Cesare» (Gv 19, 15)? Così Egli, di fronte a quella voce confusa di uomini insensati, ritirò da loro il suo Spirito.

Per quelli che non sono accecati dai pregiudizi, è impossibile non vedere la perversa intenzione di ridimensionare la solennità istituita da Pio XI e la dottrina che essa esprime.

L’aver detronizzato Cristo non solo dalla società ma persino dalla Chiesa è il più grande crimine di cui la Gerarchia avrebbe potuto macchiarsi, venendo meno al suo ruolo di custode dell’insegnamento del Salvatore. Come inevitabile conseguenza di questo tradimento, l’Autorità conferita da Nostro Signore al Principe degli Apostoli è sostanzialmente scomparsa.

Ne abbiamo avuto conferma fin dall’indizione del Vaticano II, quando fu esclusa deliberatamente l’autorità infallibile del Romano Pontefice, a favore di una pastoralità che ha creato le condizioni per formulazioni equivoche, fortemente sospette di eresia, se non apertamente eretiche.

Ci troviamo quindi non solo assediati in ambito civile – ove per secoli forze oscure hanno rifiutato il dolce giogo di Cristo e imposto l’odiosa tirannia dell’apostasia e del peccato alle nazioni – ma anche in ambito religioso, ove l’Autorità demolisce e nega che il Divino Re regni anche sulla Chiesa, sui suoi Pastori e sui suoi fedeli. Anche in questo caso, il dolce giogo di Cristo è sostituito dall’odiosa tirannia degli innovatori, che con un autoritarismo non dissimile da quello dei loro omologhi secolari impongono una nuova dottrina, una nuova moralità e una nuova liturgia, in cui l’unica menzione della Regalità di Nostro Signore è considerata come una strana eredità di un’altra religione, di un’altra Chiesa. Come disse San Paolo: «Per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna» (2Tess 2, 11).

Non sorprende quindi vedere che, proprio come nel mondo secolare i giudici sovvertono la giustizia condannando gli innocenti e assolvendo i colpevoli, i governanti abusano del loro potere e tiranneggiano i cittadini, i medici violano il giuramento di Ippocrate rendendosi complici di coloro che vogliono diffondere malattie e trasformare i malati in pazienti cronici, e gli insegnanti non insegnano l’amore per la conoscenza, ma coltivano l’ignoranza e la manipolazione ideologica dei loro studenti, così anche nel cuore della Sposa di Cristo ci sono cardinali, vescovi e il clero che danno scandalo ai fedeli con la loro riprovevole condotta morale, diffondendo eresie dai pulpiti, favorendo l’idolatria con la celebrazione di Pachamama e l’adorazione della Madre Terra, in nome di un ecologismo di matrice chiaramente massonica che è perfettamente in sintonia con il piano di dissoluzione voluto dal globalismo. «Questa è l’ora delle tenebre» (cfr. Lc 22, 53). Il kathèkon sembrerebbe essere scomparso, se non avessimo la certezza della promessa del nostro Salvatore, Signore del mondo, della storia e della Chiesa stessa.

CONCLUSIONE

Eppure, mentre loro distruggono, noi abbiamo la gioia e l’onore di ricostruire. E vi è una felicità ancora più grande: una nuova generazione di laici e sacerdoti partecipa con zelo a quest’opera di ricostruzione della Chiesa per la salvezza delle anime; ed essi lo fanno ben consapevoli delle proprie debolezze e miserie, ma anche lasciando che Dio li usi come docili strumenti delle sue mani: mani utili, mani forti, mani dell’Onnipotente. La nostra fragilità evidenzia ancora di più il fatto che questa è opera del Signore, soprattutto quando questa fragilità umana è accompagnata dall’umiltà.

Quest’umiltà dovrebbe portarci a instaurare omnia in Christo, a partire dal cuore della Fede, che è la preghiera ufficiale della Chiesa. Torniamo alla Liturgia in cui Nostro Signore è riconosciuto nel suo Primato assoluto, al culto che gli innovatori hanno adulterato proprio per odio alla Divina Maestà, per esaltare con orgoglio la creatura e umiliare il Creatore, rivendicando il diritto di ribellarsi al Re in un delirio di onnipotenza, pronunciando il proprio non serviam contro l’adorazione che è dovuta al Signore.

La nostra vita è una guerra: lo ricorda la Sacra Scrittura. Ma è una guerra in cui “sub Christi Regis vexillis militare gloriamur” (Postcommunio Missae Christi Regis) e in cui abbiamo a nostra disposizione armi spirituali molto potenti, uno schieramento di forze angeliche davanti a cui nessuna roccaforte terrena o infernale ha potere.

Se Nostro Signore è Re per diritto ereditario (poiché è di stirpe reale), per diritto divino (in virtù dell’unione ipostatica), e per diritto di conquista (dopo averci riscattati con il suo Sacrificio sulla Croce), non dobbiamo dimenticare che, nei piani della Divina Provvidenza, questo Divino Sovrano ha al suo fianco come Nostra Signora e Regina, la sua Augusta Madre, Maria Santissima. Non può esserci Regalità di Cristo senza la dolce e materna Regalità di Maria, che San Luigi Maria Grignon de Montfort ci ricorda essere la nostra Mediatrice davanti al Maestoso Trono di suo Figlio, dove si trova come Regina che intercede davanti al Re.

La premessa del trionfo del Divino Re nella società e nelle nazioni è che Egli regni già nei nostri cuori, nelle nostre anime e nelle nostre famiglie. Che Cristo regni anche in noi e con Lui la sua Santissima Madre.

(Fonte: LifeSiteNews) PUBBLICATO  

Fu Papa Leone XIII –  reso  consapevole dei mali che ci attendevano dalla nota visione – a consacrare la Chiesa, il mondo e tutto il genere umano a Cristo Re, l’11 giugno 1899.  Papa Pio XI  istituì  la festa di cristo RE nel 1925   come contrasto e protezione dai totalitarismi statolatrici allora imperanti ( enciclica Quas Primas)  

ATTO DI CONSACRAZIONE A CRISTO RE DI PAPA LEONE XIII

O Gesù dolcissimo, o Redentore del genere umano, riguardate a noi umilmente prostesi dinanzi al vostro altare. Noi siamo vostri, e vostri vogliamo essere; e per poter vivere a Voi più strettamente congiunti, ecco che ognuno di noi oggi spontaneamente si consacra al Vostro Sacratissimo Cuore. Molti purtroppo non vi conobbero mai; molti, disprezzando i vostri comandamenti, Vi ripudiarono

O benignissimo Gesù, abbiate misericordia e degli uni e degli altri; e tutti quanti attirate al vostro Cuore santissimo. O Signore, siate il re non solo dei fedeli che non si allontanarono mai da Voi, ma anche di quei figli prodighi che vi abbandonarono; fate che questi quanto prima ritornino alla casa paterna per non morire di miseria e di fame. Richiamateli al porto della verità e all’unità della fede affinché in breve si faccia un solo ovile sotto un solo pastore. Siate il re finalmente di tutti quelli che sono avvolti nelle superstizioni del gentilesimo, e non il re di coloro che vivono nell’inganno dell’errore o per discordia da Voi separati: ricusate di trarli dalle tenebre al lume e al regno di Dio.

Largite, o Signore, incolumità e libertà sicura alla vostra Chiesa, largite a tutti i popoli la tranquillità dell’ordine; fate che da un capo all’altro della terra risuoni quest’unica voce: Sia lode a quel cuore divino, da cui venne la nostra salute, a lui si canti gloria e onore nei secoli. Cosi sia.

Leone XIII

Al fedele che recita piamente questo atto di consacrazione si con­cede l’indulgenza parziale.

L’indulgenza è plenaria se lo si recita pubblicamente nella solennità di Cristo Re.

Il canto dei soldati cristiani: