C’era un altro Islam, che il jihadismo stermina

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Il Vangelo racconta dei dieci lebbrosi che, fermatisi a distanza, gridano: «Rabbi Gesù, abbi pietà di noi!». E Gesù, senza nemmeno fermarsi: «Andate a presentarvi ai sacerdoti» (così era d’obbligo per far constatare la guarigione). Quelli guariscono prima ancora di essere arrivati.
Prosegue Luca (17, 11-19): «Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un samaritano. Ma Gesù: «Non erano stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, se non questo straniero?».
E allo «straniero», «disse: «Alzati e va’ la tua fede ti ha salvato».

Dunque esiste una “via del ringraziare”? Dove per farsi perdonare i peccati basta ringraziare Dio. E non dimenticarlo mai. È una via che è presentata nell’ascetica come “facile”. Tutte le preghiere del resto cominciano con una lode e un grazie. Inizia così, ricordandosi di ringraziare, il riconoscimento che nulla ci appartiene; salute e vita, la fortuna, il lavoro, il corpo, non sono “miei”. Di mio non ho nulla (è anche una meditazione fondamentale nel Buddhismo). Si ringrazia per le cose belle, un buon piatto e una buona giornata di sole, e poi l’asceta finirà per ringraziare delle sue croci. Santa Bernadette, la veggente di Lourdes, in agonia giunse, sfinita, a ringraziare Dio per le sue «piaghe di fumo e di fuoco», per il dolore e la desolazione di quando suo papà, vedendola vestita da suora, intimidito le diede del “voi” invece di abbracciarla… Ogni cosa è stata così come doveva essere.

Un lettore, tempo fa, mi ha reso noto che esiste (esisteva) una “Via del ringraziare” anche nell’Islam.

La porta più vicina ad Allah è la porta del ringraziare (shukr), e in questi tempi chi non entra attraverso di essa, non entra (affatto)», insegnò Ahmad Tijani, uno shayk vissuto tra Marocco e Algeria nel ’700, che un lettore mi ha fatto scoprire.
Scopro così che la «via del ringraziare» esiste anche nell’Islam [1. http://tijani.org/shukr/ The Tariqa Tijaniyya, «If ye are grateful, I will add more (favor) unto you».]
Per questo shayk Tijani e per la confraternita che ha fondato tre secoli fa (Tariqa Muhammadiyya), il render grazie o esser grato è addirittura la sola «porta» rimastaci per salvarci in questi tempi ultimi.
«Chi non entra in questi tempi attraverso di essa, non entra», dice: ciò perché «Gli ’io’ (nafs) sono diventati spessi, e non sono capaci di profittare di esercizi spirituali e devozioni e obbedienza, né sono disciplinati da rendiconti o dall’argomentare».
E come prova, citava il Corano (14:7), dove il Signore dice: «Se tu sei riconoscente, accrescerò a te (la mia grazia)».
Tralasciando di citare il resto della frase, punitiva: «Se sei ingrato, in verità il mio castigo è severo!».
Anche per questo, forse, la via di Tijani ha avuto immediatamente dei nemici nell’Islam, che da quel che ho capito gli rimproverano fra l’altro di far dimenticare il timor di Dio.
Il che non è vero, ribatte il testo che ho sott’occhio. Lo shayk avvertiva i discepoli di «non prendere la promessa di salvazione come un trucco per essere al sicuro dalla punizione di Dio per i peccati».
Ciò ha una corrispondenza perfetta nella dottrina cattolica: la presunzione di «potersi salvare senza merito» è uno dei peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, alla stregua del «derubare del salario i lavoratori» (ciò che fanno le banche) e del «peccato impuro contro natura», tanto più se «conclamato» .
Ma non bisogna, dice il testo, prendere una frase dello sceicco estraendola dal contesto.
Sarebbe come isolare l’assicurazione del Profeta (Maometto), secondo cui sarà sicuramente salvato chi pronuncia una sola volta la professione di fede (la ilaha ill-Allah), dal detto di Maometto secondo cui nessuno, nemmeno lui, entrerà in paradiso senza la misericordia di Dio. 
Ma non c’è dubbio che Tijiani presentava l’attività del rendere grazie come una via «facile».

Basta questa: ringraziare e lodare finisce per «permettere a Dio l’azione diretta» su di noi. Sconsigliava eccessi di ascetismo, specie in questi tempi ultimi, in cui l’uomo ha la scorza dura, ed è incapace di adempiere ai comandamenti con le sue forze.
«Sei capace di adempiere tutte le obbligazioni della Legge, le esplicite e le implicite? Sei forse capace, senza assistenza, di trionfare sulle tue passioni?».
(No, non siamo capaci, dobbiamo ammetterlo).
Il Dio di Tijani appare di una indulgenza infinita: «Davvero Allah ha pietà di un servo anche per una sua sola qualità…Se Egli trova un tratto di bene in te, come modestia, generosità o un po’ d’amore ad esempio, o un cuore pacifico o un parlare veritiero, o qualcosa di ciò nelle tue azioni per Lui, Egli ha simpatia per te e ti prende per mano».
Giungeva a dire: «Il peccato è solo un accidente quando la persona malata rimane avvolta nell’amore per il suo Creatore; il suo destino è nelle mani del suo Signore. Nessun altro se non Dio sa come decidere il suo destino».
Da qui la ’eccessiva’ tolleranza di questa scuola sufi, che a quanto pare ha indotto altri islamici a etichettarli come «infedeli».
Lo sceicco invita a non rispondere agli attacchi: «E’ solo ignoranza».
Nella sua scuola, la misericordia di Dio è onnipresente nella creazione, dunque si occupa anche dei peccatori e persino dei non-musulmani.
Dunque anche «di questo straniero», direbbe Gesù, anzi lo disse al samaritano che ringraziava.

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Impressionante la divergenza con il wahabismo trionfante oggi come “Islam”, con il jihadismo decapitatore, per cui sono “Infedeli” anche gli altri musulmani, da sterminare: e soprattutto i sufi, come questo shaik e la sua scuola, considera nemici – in nome della unità di Allah, ne cancella il ricordo, e con oculata malvagità, i “canali di grazia” che congiungono la confraternita al fondatore, spesso sepolto in una antica tomba, luogo di preghiera e di pratiche comunitarie. La differenza che rivela la natura anticristica di tale Islam. Il Dajjal (il falso Messia, l’anticristo islamico) ha infatti come carattere principale di essere un Impostore: finge fede e zelo, e uccide i fedeli animati da zelo vero.

Interessante sapere che per la scuola dello shayk, l’apparire nel mondo di questa infinita, eccessiva indulgenza di Dio in un’età corrotta, vicina alla fine dei tempi, non è un caso, ma un favore di Dio, «che Egli dà a chi vuole, ed Egli è il detentore della più alta grazia».

Mushin Shalabi, uno sceicco egiziano della confraternita, insiste: cita un hadit per cui un peccatore ha il paradiso assicurato per il solo fatto di aver dato da bere a un cane (animale impuro nell’Islam). E aggiunge una cosa commovente: di questi tempi, è come se «Allah adotti qualunque scusa per mandare gente in Paradiso».
Nell’essenza, è il messaggio ricevuto da santa Faustina Kovalska, la suora polacca che parlava con Gesù, e che Giovanni Paolo II ha beatificato nel 2000.


Stessa indulgenza eccessiva di un Cristo, addolorato solo che i peccatori si perdano perché credono di averla fatta troppo grossa, più grossa della Sua misericordia.
Stesso accento sulla Misericordia di Lui, anziché sui meriti nostri.
Stessa precisazione: questo eccesso di indulgenza è un dono per i tempi ultimi, quando da soli non siamo capaci di far più niente.
E anche qui, «qualunque scusa per mandare gente in paradiso».
Il 22 febbraio 1931 la Kovalska vede Gesù: due fasci di luce, una rossa e una bianca, gli escono dal petto.
Gesù le ordina di dipingere un quadro della Sua immagine , che deve avere «scritto sotto: Gesù confido in Te. Desidero che questa immagine venga venerata prima nella vostra cappella, poi nel mondo intero. Prometto che l’anima, che venererà questa immagine, non perirà».
Lei, poveretta, non sa dipingere, finirà per farla fare da un pittore a cui darà istruzioni (e piangerà a vedere il risultato).
Come che sia, questa immagine – che suscita il sospetto della gerarchia: il fascio rosso e bianco somigliano troppo alla bandiera della Polonia, si teme un culto nazionale – sarà portata nelle tasche e nei berretti da decine di migliaia di soldati polacchi, che la seconda guerra mondiale disperde in continenti e campi di prigionia. 
«Prometto che l’anima che venererà questa immagine non perirà»: ecco una via facile.
Una scusa per mandare più gente in paradiso.

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Io ho cominciato a crederci da quando ho visto che quell’immagine le suore di Madre Teresa l’hanno adottata; l’ho vista anche nella loro casa madre di Calcutta. Da allora, quando vedo questa immagine in una chiesa, mi sento tranquillo: Gesù confido in Te.