CANONI E INTIME REGOLE PER L’ARTE SACRA

(MB. Alle mie note sull’arte rinascimentale come “mondana” e non religiosa, anche se i  Papi cinquecenteschi ne hanno riempito le chiese romane, il lettore Vito Parisi mi ha postato questo commento:

Il tema dell’estetica spirituale è importantissimo. Chi santifica il Nome di Dio come nel Padre Nostro sa che l’estetica nel Paradiso vige gloriosamente, quella della verecondia e dell’adorazione, e si adegua ad essa, con tutte le Leggi in lei insite. Le madonne raffigurate relazionano come tali con i fedeli se sono dipinte con i criteri divini; se no, no. I santi rispondono, dai quadri e dalle statue, se il canone è applicato fedelmente. Abiti completi come totalizzante è Iddio; dignità integra come le qualità divine si manifestano da Dio, sia nell’evidente alla Comunità cristiana che nell’intimo. Verissimo, ciò che leggiamo in quest’articolo sul tenore doveroso nella pittura e nella scultura sacra. Mi conforta sapere che c’è chi riconosce questo dettame divino e ce lo comunica.

Ho chiesto a Parisi, antico e sapienziale lettore  di scrivermi qualcosa sulla pittura sacra, i suoi canoni, le sue regole spirituali. Il difficile  testo che segue è il suo):

 

di Vito Parisi
> _Quanto all’arte sacra, ciascuno deve ricordare che per trattare un  argomento bisogni prima chiedere alle persone competenti; ciò  riguarda innanzitutto gli artisti, i quali sono degli artigiani, e non  necessariamente anime elevate nella conoscenza spirituale. Nel Reame dei Cieli, i vestiti, i profumi di Essenza, le dimore, sono attributi divini. Sono eterni, anch’essi. Iddio che è visto dalle anime pure  con occhi spirituali non sarà mai un prodotto dei tempi umani, bensì  Egli è, in assoluto. Un uomo che conosce solo i cinque elementi di  questo mondo, come può raffigurare la terra sfiorata dai piedi dei  santi, emanante odori che estasiano del ricordo di Dio? Come  spiegherà le qualità dell’acqua della Vita, del Fuoco del  sacrificio privo di fumo, come il sole, e che, come il sole, non  consuma? Come capirà l’aria che esercita il senso trascendentale di  tatto direttamente sull’anima e l’etere che veicola il Verbo di  Dio primordiale ed anima dei modi e degli eventi sul tempo di presente  eterno nell’onnipotenza di Lui? Chi non sa di tutto ciò, non può  dipingere o scolpire nelle chiese. _
> _Il mantello blu della natura, la volta celeste, è il chador simbolo  di fede  ed abito  abitazione del raccoglimento della madre, materia,
nell’Autorità del Padre, Iddio Che ingenera gli esseri in questo  mondo d’esilio. La “fata” nella bottiglia che galleggia nelle  acque sopra l’universo, lo spirito femminile nella bolla  sull’oceano delle cause, il Pensiero divino, ha il messaggio da Lui  alle anime esuli. Ella vuole insegnarci a ritornare a Lui. Il monile  prezioso, la gioia, è involta nella custodia celestiale della  riservatezza, la quale orna, coprendo, la fronte, sotto cui è la  volontà. La memoria giace, nel capo di lei, più indietro. Per  questo, le raffigurazioni antiche di santa Maria comparivano con il  manto presente anche sopra i capelli davanti, almeno nei primi tredici  secoli di cristianità, nel cattolicesimo. _
> _Il mantello islamico (“islam” vuole dire: “sottomissione a   Dio”), già dai tempi di Noè ed Abramo, per le donne rispondeva di  completezza in armonia con la Totalità in Dio sommo, l’Amato.
> L’offerta a Dio di ciò che Gli è confacente si opera per  connaturalità. Fatima, la figlia di Hazrat-e-Mohammed, diffuse, vicina spiritualmente al padre, il modo di vestire mariano tra le  seguaci dell’islam mohammadico. Ella sapeva, dalla Sura coranica di  Imran e dalla Sura di Maria, della natura squisitamente divina della  famiglia di Gesù, Isha (Iesus), e dette il nome, a sua figlia, di “Zenobia” (Zeinab) una martire, in Antiochia, al tempo di  Diocleziano. Iddio Stesso Si riveste di splendore, anche in omaggio  alla purezza della fede di santa Maria, nelle finezze ineffabili del  Paradiso. _
> _Le icone ortodosse avevano, a testimonianza del segno del Signore sui  santi, il marchio del fulgore divino sui fedeli di Dio, stilizzato  nell’aureola. L’aura è rosata del sentimento di grazia da Dio  verso l’anima, teologicamente femminile, cui le fiamme di questo  incendio terreno mai possono dare insidia, come disse Dante nella  cantica seconda dell’Inferno, a proposito di madonna Beatrice  Portinari, giunta in soccorso morale a lui e a Virgilio. Quelle  pitture in trittici di legno o su tessere di mosaico erano eseguite in  omaggio ed osservanza alle testimonianze di santi, i quali avevano, nell’ascesi, già esperimentato i livelli di riacquisizione della  memoria spirituale latente. Gli artisti applicavano le rivelazioni  ricevute dalle anime che, per mercede superna, vedevano._
> _Quei santi che sorvegliavano, benignamente, chi intendeva esporre, sapevano la radice a divinis delle virtù. Ad esempio, l’umiltà, che, in questo mondo di dualità è intesa solo come mortificazione  dell’ego falso, era dai santi ammirata quale modalità spontanea in  un fervore insito negli esseri vicini a Dio.

Essi potevano mirare come  santa Maria, benedetta fra le donne sia da Dio che, di conseguenza,  dalle sante stesse, poneva sé medesima quale ultima, alla Mensa dello   Sposo, invitando le altre sante a procedere, verso di Lui, dinanzi a  lei. Contemplavano, quei santi, che l’umiltà non ha origine neanche  dagli umili, ma da Dio Sommo in Persona, Altissimo, eppure Discreto e  Delicato, per motivi forse a gradi rispettivi di inconcepibilità per noi, ma estatici per Lui e per i Suoi vicinissimi._
> _Per conoscenze giunte fino a Platone filosofo e a Dante letterato,  ma non fino a noi moderni, per rivelazioni che benedicono chi ne è  degno, l’estetica comincia dal tempo eterno del Reame dei Cieli.  Sì, in assoluto, il senso estetico, puro e perfettissimo, ha   l’incipit in Dio. “A Dio piace…”- dicevano- da tempi migliori,  i fedeli. Non potrebbe piacere, a noi, alcuna cosa buona, sia sul  piano morale che religioso, se essa non fosse passata, prima, dalla  Mente divina. La stessa natura che noi vediamo adesso, nel luogo  d’esilio che è il mondo, piace perché è devota a Dio; altrimenti,  non ci affinerebbe, nei gradi di soavità della fede, se credenti. Ed  è nell’ottica della fede che, i colori, i toni, i modi, hanno, ciascuno, un significato. Il blu infinito, “maschile”, del Padre  celeste, la striatura aurorale, rosata, del fervore di colei la quale  adora il Pastore buono Centro delle odi dei Campi Elisi, il Quale  passa con i Suoi armenti, durante le Laudes ed il Matutino, nella  liturgia delle ore; il lilla, l’incontro dei due; l’incontro del  tono profondo, grave, misterioso, del Supremo, con l’aura dal di Lui  Cospetto, la quale Lo osanna, dà il verde della speranza. Le cupole  delle chiese e delle moschee, dei templi e delle sinagoghe sono dorate fuori in omaggio alla luce della trasfigurazione procedente proprio  dal Cospetto divino, ricordato dai raggi, beati, della luna piena. Le  acque della vita, esterne alla volta universale, superiori, sono,  infatti, luminose, talvolta tempestose di gaudio. La spiritualità, la  speranza, sono una spirale, un vortice, una “sfera”, dicevano gli  stilnovisti. E’ la luce della trasfigurazione vista sul monte Thur  della catena del Sinai, da Mosè, da cui è la Thora scritturale; è  la luce vista dal profeta Elia sul monte Oreb; è la luce radiante su  Gesù sul monte Tabor, la luce del Brahman, la luce mohammadica, di lode all’Altissimo._
> _Gli antichi avevano conoscenza tramandata. Noi moderni l’abbiamo  respinta. I frutti dell’albero pervertito, con le radici si, in  alto, ma i frutti in basso, riflesso sulle acque torbide della palude  inferiore, fanno rivendicare, a chi li mangia, dualità fra bene e  male, pretendendo poi, empiamente, che il bene sia relativo al male.
> Così, gli scultori ed i pittori ignoranti posticci, alzano la voce,  di fronte a osservazioni, con frasi quali: “Ma che male c’è?”
> Essi credono che le immagini umane debbano essere vestite per coprire  uno scandalo di base. Non sanno più delle forme gloriose. Credono,  persi ormai, che le uniche pietre siano pietre dello scandalo, quelle  lanciate nelle lapidazioni, opprimenti e mortifere. Non ricordano  più, disgraziatamente, delle pietre filosofali, sulle quali la Chiesa  va edificata. Non sanno perché Gesù aveva chiamato Simone  “Pietro”. Solo una donna fedele riconosce le pietre scolpite dei  manieri divini come rimembranze vive dello Sposo Che li abita. Quando  Gesù, di fronte all’adultera condannata, scriveva il Nome di Dio  sulle pietre in terra, operava su di esse una transustanziazione, e  divenivano pietre sacre, come quelle dell’altare del Sacrificio  eterno. Dove sono, oggi, gli architetti che sanno della castità di tali pietre? Chi sa la differenza che corre fra Kefa, e Kaifa?_ _Serve chi ci riparli del Regno dei Cieli, come Gesù ne parlava.
> Allora, i significati architettonici, ma anche fisiologici ed  astronomici, saranno chiari, come a chi sta lasciando questo esilio,  perché l’amnesia a riguardo della nostra Casa è finita._