Breve appunto sugli errori di Rodney Stark

Attualmente nel panorama culturale dei cattolici conservatori occidentalisti, ed in genere americanofili, fanno bella mostra le opere storiche dello statunitense Rodney Stark, protestante (convertito al cattolicesimo, vero, ma a quello, molto protestantizzato, statunitense), edite in Italia da case editrici catto-conservatrici.

Tuttavia, quella dell’opera storiografica dello Stark da parte di settori del mondo culturale cattolico italiano è una valutazione troppo benevola. Personalmente nutro forti riserve sull’opera di questo americano e naturalmente sui suoi emuli italiani. Consentitemi di spiegarne alcuni motivi.

1)Spesso, nella vulgata, anche scolastica, si raccoglie sotto una unica denominazione “cristiana” realtà teologiche e confessionali diverse fino a non discernere a sufficienza tra “colpe storiche”, vere o presunte, dei cattolici e “colpe storiche” (molto più consistenti) dei protestanti. Ora, si da il caso che proprio la visione storiografica di Rodney Stark sia intrinsecamente viziata dal suo retroterra protestante, per la quale, ad esempio, il capitalismo (senza specificare quale capitalismo: ne esistono, infatti, molti tipi, ma Stark ha evidentemente presente quello liberista anglosassone) sarebbe il frutto di un generico “cristianesimo” che finisce per inglobare indifferentemente, ed erroneamente sotto il profilo teologico come sotto quello storico, sia il Cattolicesimo che il protestantesimo. Un’aporia, questa, che è anche una falsificazione storica.

2) La tesi principale di Rodney Stark è quella per la quale l’Occidente è civiltà di matrice cristiana, dimenticando – tipica dimenticanza teocons – completamente la cesura teologica e storica luterana che è stata fondamentale per la svolta dell’Europa tradizionale verso la sponda anticattolica dell’Occidente incentrato sul mondo anglosassone e protestante. Una svolta che prima ha allontanato l’Europa dalla Cristianità, sua matrice, e poi, mano a mano che l’Europa veniva fagocitata dall’Occidente nato contemporaneamente alla polemica protestante contro il papismo, anche dalla Chiesa cattolica.

3) Rodney Stark ripropone la vecchia polemica protestante, basata sulla “leyenda nigra” anticattolica, contro l’oscurantismo ispano-cattolico responsabile, a suo dire, dello sfruttamento indios e del sottosviluppo dell’America latina. Al contrario di questa vulgata, la realtà storica fu ben diversa: l’America ispanica sotto la stretta vigilanza della Chiesa e della Corona asburgica, e nonostante le lamentele dei coloni che avrebbero voluto avere mano libera sugli indigeni, ha conosciuto su vasta scala un’opera legislativa e pratica di tutela degli indios, mai conosciuta dall’America anglosassone (si veda l’opera storiografica di J. Dumont, di C. Finzi, di L.G. Calò Carducci, Ramon H. Martin, F. Gonzales-Fernàndez). Ciò non significa affatto che la colonizzazione spagnola, ed ancor più quella portoghese, non abbia avuto i suoi aspetti violenti e per niente consoni all’amore cristiano, ma certamente, come anche in altro contesto, quello nordamericano, la colonizzazione francese, è stata assolutamente migliore, in termini di protezione-integrazione degli indiani, rispetto a quella protestante ossia inglese ed olandese. D’altro canto la Chiesa, anche dopo la separazione, a partire dal XVIII secolo, dalle corone, ormai “illuminate” ed influenzate dalla massoneria come ebbero modo di verificare sulla propria pelle i padri gesuiti della redduciones missionarie tra i guaranì sudamericani, continuò ad operare per proprio conto in difesa degli indios, persino nei territori occidentali del Nordamerica statunitense e sempre per l’attività missionaria dei gesuiti. L’elogio che Stark fa del colonialismo inglese ed olandese, opponendolo a quello ispanico, tende ad accreditare il falso dato storico per il quale, nonostante tutto, il colonialismo protestante anglo-olandese avrebbe giovato agli indiani come ai bianchi colonizzatori. Dietro questa errata valutazione storica si nasconde l’intento ideologico dello Stark: egli elogia il colonialismo, protestante, anglosassone ed olandese perché “capitalista” mentre disprezza quello ispanico-cattolico perché “feudale”. Che poi quello ispanico fosse sic et simpliciter un mondo ancora feudale è una grande sciocchezza. Ora, per fortuna, storici molto più seri ed accreditati, come il Luraghi che è un grande storico dell’America francofona, hanno messo in rilievo la differenza tra il colonialismo cattolico, paternalista ed integrazionista, come quello dei francesi e degli spagnoli, rispetto a quello protestante, anglosassone e olandese, platealmente schiavistico, segregazionista e razzista. Questo non significa, è bene ripetere, che francesi ed ispanici non abbiano avuto le loro responsabilità ma che, alla lunga, e per influsso della Chiesa cattolica, il colonialismo franco-spagnolo ha conosciuto verso gli indigeni anche altri approcci che non, come in ambito anglofono, quelli del mero dominio: altrimenti non si spiegherebbe la “seconda cristianità” dell’America latina a partire dal XVI secolo. Recentemente, per i tipi de Il Cerchio, è stato pubblicato un bel libro, che nel titolo, “Mission”, richiama la più nota opera dei gesuiti sudamericani: si tratta di una ricerca sull’esperienza missionaria dei gesuiti tra gli indiani del Nord ovest americano. Ne risulta un quadro, non privo anche di ombre, ma sostanzialmente confortante per discriminare tra l’approccio veramente cristiano di quei padri gesuiti verso i pellerossa e quello duro e razzista, verso gli indios nordamericani, praticato da parte dell’avanzante “civiltà wasp”. Ed i pellerossa avevano perfettamente capito la differenza tra i “bianchi” e gli “uomini neri”, come essi chiamavano i gesuiti missionari per via della loro tonaca nera.

4) Rodney Stark fa il furbo, storicamente parlando, quando pretende di assolvere la Chiesa Cattolica dalle presunte “colpe” della Spagna di Carlo V, perché si tratterebbe di colpe originate da “scelte” dello Stato e non della Chiesa, mentre imputa al suo generico “cristianesimo”, includendovi anche il Cattolicesimo, i meriti del libero mercato. Ma, a fronte di tale manipolazione ideologica, non possiamo esimerci dall’obiettare che se le “scelte” politiche della monarchia spagnola non posso essere addebitate alla Chiesa perché le si dovrebbero addebitare le “scelte” economiche del mondo anglosassone in favore del libero mercato? Quella dei due pesi e delle due misure non è regola buona neanche in ambito storiografico. Oltretutto siamo proprio sicuri che i “meriti” del capitalismo dipendono sic et simpliciter ed a-problematicamente dal Cattolicesimo? Una tesi, questa, che da anni i teologi del liberismo, Michael Novak, Weigel e Nehaus , di matrice o catto-progressista (come Novak) o protestante (come Weigel), hanno tentato di accreditare e che ha fatto presa, da noi, proprio nel cattolicesimo di destra, un tempo refrattario ad ogni commistione con il liberalismo. A proposito del mondo ispanico all’alba della modernità, invito a leggere, con grande attenzione, uno splendido libro di Franco Cardini e Sergio Valzania (“Le radici perdute dell’Europa – da Carlo V ai conflitti mondiali”) che spiega molto bene cosa ha rappresentato la “Monarchia”, ossia l’interessante esperienza politico-imperiale della Spagna Asburgica, in termini di possibile diversa via dell’Europa verso un diverso cammino storico nella modernità: altro che “tirannide ispanica” e “libertà elisabettiana” come fanfaroneggia la storiografia di marca anglosassone nella quale si può ricomprendere anche quella di Rodney Stark!

5) Chissà se tra i meriti del capitalismo Rodney Stark include anche la volontà di potenza tecnocratica, compresa quella della manipolazione genetica che tanto piace al capitale per scopi industriali. Volontà di potenza dell’attuale Occidente che si manifesta – l’analisi è di Augusto Del Noce – nella mercificazione di ogni valore, anche di quelli religiosi, e che è l’errore contrario, ma dialettico, al pauperismo sinistro-ecologista.

6) Il capitalismo, secondo Rodney Stark, che in questo segue altri, sarebbe nato nell’Italia medioevale e sarebbe stato esportato dai nostri mercanti nel Nord Europa. Bene ma questo cosa c’entra con la Chiesa? I mercanti medioevali dovevano fare mille salti mortali teologici per giustificare la “mercatura” guardata sempre con grande diffidenza dalla Chiesa medioevale (e forse proprio per questo emigrarono verso l’Europa del Nord meno sottoposta a controllo “romano”: ed infatti fu lì che scoppiò la rivolta luterana) ; e se è vero che la Chiesa, da un certo periodo in poi, si dimostrò propensa a venir loro incontro con regole etiche più flessibili (ma – qui Le Goff sbaglia – non inventando il purgatorio, che è dato teologico con obiettivi fondamenti biblici oltre che ben presente nella Tradizione precedente il ‘300, piuttosto facendogli subire una sorta di processo di “infernalizzazione” che lo rendeva, nelle pene, più simile all’inferno anche se non definitivo come quest’ultimo) è altrettanto vero che i francescani del ‘400, lungi dall’essere gli inventori di non si sa quale economia libera, come ritengono uno Stefano Zamagni o un Flavio Felice, erano, lo ha dimostrato lo storico dell’economia Oscar Nuccio, grandi fustigatori dell’usura e della mercatura quando su di essa si fondava ossia, quasi sempre. I francescani inventarono i monti di pietà ed imposero il limite del 5% agli interessi da prestito non come “lucro” di una presunta fecondità del denaro (non potevano contro la “dottrina ufficiale” della Chiesa del tempo) ma soltanto come rimborso delle spese dell’attività creditizia, dunque rimborso dei costi di un servizio caritativo e non frutto del denaro o del tempo “rubato a Dio”. Tuttavia questa attività creditizia francescana era finalizzata non ad agevolare, come ritengono con rischio di cadere nell’anacronismo certi storici, il decollo economia capitalista ma solo a vincolare l’uso del denaro a scopi sociali mantenendo il capitale finanziario, che già alla loro epoca tendeva al’autoreferenzialità, al servizio dell’economia reale ed evitando così – diremmo oggi – la “finanziarizzazione” dell’economia con il trionfo della speculazione.

7) La tesi teoconservatrice per la quale la scienza moderna sarebbe sic et simpliciter l’esito della “desacralizzazione” della natura operata dalla Rivelazione ebraico-cristiana – tesi di origine illuminista e nicciana e mutuata incautamente dai catto-conservatori – non tiene conto del fatto che la Sapienza biblica, la quale sin dall’epoca mosaica, e poi definitivamente con Cristo, si è incontrata con il Logos ellenistico generando la “ratio” dei medioevali, non è affatto la stessa cosa della “ragione scientifica” e “sperimentale”. Il fatto che Galileo era un buon cattolico, e che l’Inquisizione non gli fece praticamente nulla, non toglie che il suo concetto di ragione fosse molto diverso da quello tradizionale dei Dottori medioevali e della Patristica. Oggi la scienza post-moderna, dopo la grande rivoluzione della fisica quantistica nel XX secolo, sta tornando verso un paradigma neoplatonico, con il superamento del vecchio meccanicismo galileiano, ed in tal modo va riaccostandosi alla tradizionale Sapienza biblico-ellenistica (anche se non senza gravi problemi teologici dato che il nuovo paradigma “olista” può portare, se non correttamente inteso, al panteismo). Ma questo riavvicinamento se, da un lato, apre alla possibilità di un nuovo incontro tra Fides et Ratio, dall’altro, non assevera la tesi di una sostanziale continuità tra Sapienza antica e scienza moderna, “galileiana”. Troppo si insiste, anche per colpa di Rodney Stark, sulla presunta secolarizzazione della natura da parte del Cristianesimo. Che è cosa vera a riguardo del panteismo pagano o monista ma non è affatto vera a riguardo dell’idea stessa di “creazione”. Perché tutto ciò che è creato dall’Altissimo è – come dice il Genesi – cosa buona e di Lui – aggiunge Francesco – “porta significatione”. La tesi teologica del Cristianesimo come responsabile della desacralizzazione della natura fa, come detto, il paio con quella “teoconservatrice” del Cristianesimo come fondatore della scienza e della potenza tecnologica moderna e, quindi, dell’Occidente post-medioevale. Qui l’equivoco è grande, perché la Rivelazione (la Sapienza biblica) non ha nulla a che fare con la visione scientista dell’Occidente moderno ma ha invece molto a che vedere con la contemplazione in lode all’Altissimo, che una vera scienza non disdegnerebbe affatto.

8) Se per cinque secoli il Cattolicesimo si è scontrato con il liberalismo, anche nella sua versione economica liberista, questo scontro è stato solo, come ritiene Rodney Stark, frutto di un equivoco o significherà, in termini teologici e storici, qualcosa di più? Se il capitalismo nei paesi di tradizione cattolica si è sviluppato in modo molto differente, più comunitario, solidale e sociale, che in quelli protestanti – i quali hanno sviluppato un capitalismo cinico, individualista, a-morale (la morale di John Locke e Adam Smith è mero utilitarismo, mero contrattualismo sociale, e non ha nulla da spartire con quella cattolica) – questo avrà pure un significato ed una causa di ordine teologico oppure no?

9) Se è vero che Max Weber ha troppo unilateralizzato l’ascetismo professionale calvinista quale causa dello spirito del capitalismo, non può essere affatto negato il diverso percorso economico dei paesi cattolici rispetto a quelli protestanti. Uno storico dell’economia come Oscar Nuccio ed un medievista come Jacques Le Goff (cfr. di Le Goff “Il mito del medioevo capitalista” su Avvenire del 15/10/2010), pur non tornando a Weber, hanno confutato la tesi di Rodney Stark circa le origini medioevali e cattoliche del capitalismo: in sostanza nel medioevo cattolico non sussisteva affatto lo spirito necessario all’affermazione del capitalismo, perlomeno di quello di matrice individualista, liberale e protestante. I divieti della Chiesa circa il prestito ad interesse, il regime vincolista corporativo (anche quello delle corporazioni dei cambiavalute ossia dei banchieri), la generale spinta alla carità che faceva si che perfino i mercanti ed i banchieri sentivano il dovere di restituire – sotto forma di opere d’arte (si veda, ad esempio, la cappella degli Scrovegni, a Padova) o di opere sociali (asili, università, ospizi ed ospedali) alla comunità quanto da essi (spesso mal)tolto (Cfr. l’intervista di Edoardo Castagna a Gabriella Piccinni “La finanza medioevale inventò il Welfare” su Avvenire del 18/08/2011), la concezione della proprietà come un obbligo sociale e non come un assoluto individualista (questo tipo di proprietà individualista sarà invenzione del mondo moderno dopo che Lutero introdurrà il soggettivismo, ossia l’individualismo, teologico) sicché essa finiva per confondersi con il possesso ed era sempre gravata da pesi comunitari (corporativi, usi civici, terre comuni demaniali): tutto ciò ha impedito, nei secoli cristiani premoderni, la nascita di un capitalismo liberista, individualista. San Tommaso, sulla scorta del diritto romano, tornato in auge dopo il mille, elogiava la proprietà? Ma l’Aquinate era uomo del suo tempo e la proprietà alla quale si riferiva era quella, sopra descritta, di tipo corporativo e comunitario tipica della sua epoca e non quella individualista moderna (ecco perché è viziata di anacronismo ideologico la tesi di Stark ed altri che leggono Tommaso con la mentalità giuridico-economica di oggi). In ogni caso non era certo Tommaso a poter negare la profonda convinzione di tutto il medioevo – e che ritroviamo ancora oggi nella Dottrina Sociale Cattolica e perfino nel Catechismo promulgato da Giovanni Paolo II – per la quale, essendo il creato Opera Dei, nessun uomo è davvero proprietario in senso assoluto, e fino in fondo, perché il “Padrone” di ultima istanza, Quello al Quale tutti, anche i proprietari terreni, devono rendere conto, è Messere Domineddio. Cristianamente, cattolicamente, l’uomo è solo un amministratore di quanto il Signore gli affida ed alla fine sarà Lui che gli chiederà conto di come ha usato i beni consegnatigli. Questo spiega perché nell’antropologia cattolica, a differenza di quella utilitarista e contrattualista di Adam Smith, il vero movente dell’agire economico non potrà mai essere il mero profitto individuale ma tutta una serie di considerazioni di ordine etico e superiore: cosa che è constatabile anche quotidianamente nelle nostre stesse relazioni economiche se proviamo a guardarci, davvero, in fondo al cuore. Dal pensiero della famiglia e dei figli, dal ritenere di apportare beneficio alla comunità fino al senso di comprensione delle ragioni altrui, quando contrattiamo il prezzo qualcosa, anche nel negozio sotto casa, non siamo mai mossi solo dall’interesse egoista (quello che secondo Adam Smith lasciato libero ci consegnerebbe spontaneamente all’armonia generale nel reciproco e pacifico solipsismo sociale). Nel nostro agire economico siamo, invece,sempre mossi, prima ed anche, da motivi connessi al nostro essere – come insegna la dottrina cattolica, come insegna l’Aquinate sulla scorta di Aristotele – creature sociali, fatte per vivere in comunità sociali e/o politiche. Certo, poi, non bisogna troppo romanticizzare questa propensione naturale dell’uomo verso l’altro dimenticandosi del peccato originale che ha ferito la natura umana rendendola capace anche di un egoismo autoreferenziale che spesso opera in senso contrario, perché inautentico, alla originaria vocazione umana all’amore.

Per concludere, quelli di Rodney Stark sono errori storico-teologici marchiani che si spiegano solo con l’intento ideologico che è alla base della ricostruzione storica dello statunitense. Quella di Rodney Stark, ma anche di Novak, Weigel e Nehaus, è una polpetta avvelenata proposta al Cattolicesimo di estrazione tradizionalista o conservatore per arruolarlo nelle schiere “neocrociate” (che con le crociate storiche nulla hanno a che fare) in difesa dell’Occidente di marca protestante ed americana per lo “scontro di civiltà”. E’ nel clima epocale, nell’etat d’ésprit, diffuso da questa operazione culturale che è saltato fuori qualche anno fa – lo ricordate? – un Anders Breivik, lo stragista norvegese che si ritiene un “crociato” difensore dell’Occidente minacciato dal resto del mondo. E’ drammatica la situazione culturale del mondo cattolico attuale diviso tra catto-comunisti e catto-conservatori. La via cattolica è altrove. Passa tra queste due errate posizioni come tra Scilla e Cariddi. In questo senso è bene non dimenticare l’ammonimento del Papa emerito Benedetto XVI a tenere sempre unite Verità e Carità.

Luigi Copertino