Bergoglio: adorare Pachamama

di Matteo D’Amico

ECOLOGIA INTEGRALE: IL GRIDO DELLA TERRA E DEI POVERI

La seconda parte dell’Instrumentum Laboris, come si intuisce anche dal suo titolo, è tutta dedicata a un lungo e lamentoso elenco di tutti i mali che affliggerebbero l’Amazzonia, a partire da quella che viene chiamata “distruzione estrattivista”. A questa distruzione, vera o presunta, si oppone l’esigenza di una “conversione ecologica”. Ci limitiamo a sottolineare solo i punti più critici.

In un paragrafo sulla famiglia, ad esempio, si dice: “Insomma, è nella famiglia che si impara a vivere in armonia: tra i popoli, tra le generazioni, con la natura, in dialogo con gli spiriti[1] (p. 93). Torna l’inammissibile accettazione di non si sa bene quale religiosità spiritistica o animistica come valore positivo: ma per duemila anni ovunque giungessero i missionari la prima lotta era proprio contro “gli spiriti” e i falsi dèi dei popoli pagani. Come osano dei teologi cattolici, dei vescovi vedere come un valore positivo il “dialogo con gli spiriti” degli indios che dovrebbero evangelizzare? E poi, al di fuori della fede in Nostro Signore Gesù Cristo, con quali spiriti mai potrà “dialogare” un indio fermo ancora al paganesimo? Non sta forse scritto che “Gli dèi dei pagani sono tutti demoni”?

La questione della salute integrale

Il capitolo comunque più surreale di questa seconda parte è forse il settimo, intitolato “La questione della salute integrale”. Ecco alcuni dei passi più controversi:

La regione amazzonica contiene oggi la più importante diversità di flora e di fauna del mondo e la sua popolazione autoctona ha un senso integrale della vita non inquinato dal materialismo economico. L’Amazzonia è un territorio sano nella sua lunga e fruttuosa storia, anche se non sono mancate malattie[2]. Purtroppo, però – continua il testo – lo sfruttamento economico intensivo dell’Amazzonia ha fatto apparire nuove patologie, ha compromesso l’equilibrio e la salute sia della foresta, che dei suoi abitanti: “Il danno affligge non solo la salute fisica, ma anche la cultura e la spiritualità dei popoli, è un danno alla loro “salute integrale”. Gli abitanti dei villaggi amazzonici hanno diritto alla salute e a “vivere in salute”, il che presuppone un’armonia con ciò che la “Madre Terra” ci offre (…). I rituali e le cerimonie indigene sono essenziali per la salute integrale perché integrano i diversi cicli della vita umana e della natura. Creano armonia ed equilibrio tra gli esseri umani e il cosmo. Proteggono la vita dai mali che possono essere causati sia da esseri umani che da altri esseri viventi. Aiutano a curare le malattie che danneggiano l’ambiente, la vita umana e altri esseri viventi[3].

Si noti nel brano appena citato l’aberrante difesa dei culti e dei rituali religiosi pagani ancora praticati dagli indios, culti di fatto strettamente connessi a pratiche magiche di varia natura. Qui non solo non si parla di evangelizzazione, ma siamo alla più sfacciata apologia della magia e della religiosità india. È oggettivamente una vergogna per l’intera Chiesa Cattolica che sette conferenze episcopali abbiano potuto concorrere a scrivere un documento simile, come è una vergogna che i dicasteri romani lo abbiano accettato e approvato.

Verso una Chiesa “discepola”

Come è già emerso, il cuore dell’eterodossa concezione di Francesco della Chiesa è basata sull’idea che la Rivelazione non si è conclusa, che il Depositum Fidei non è stabile e immutabile, ma in continua evoluzione. La Chiesa, quindi, non deve più essenzialmente e innanzitutto insegnare ciò che custodisce, tradere ciò che ha ricevuto da Nostro Signore, ma farsi discepola e imparare i nuovi elementi della “rivelazione” che Dio dà oggi essenzialmente attraverso le periferie, gli ultimi, gli “scartati”, i poveri, per usare il lessico del Papa. La nuova “rivelazione” viene così a coincidere modernisticamente con le attese e i bisogni dei popoli, ai quali non si può rispondere con dottrine “pietrificate”. Ecco allora che abbiamo nuovi e del tutto inediti “luoghi teologici”, come appunto la foresta amazzonica, che si tratta di ascoltare.

Attraverso l’ascolto reciproco dei popoli e della natura, la Chiesa si trasforma in una Chiesa in uscita, sia geografica che strutturale; in una Chiesa sorella e discepola attraverso la sinodalità. Come ha espresso Papa Francesco nella Costituzione Apostolica Episcopalis Communio: «Il Vescovo è contemporaneamente maestro e discepolo (…). È discepolo quando, sapendo che lo Spirito è elargito a ogni battezzato, si pone in ascolto della voce di Cristo che parla attraverso l’intero popolo di Dio» (Episcopalis Communio, 5). Egli stesso è diventato un discepolo a Puerto Maldonado quando ha espresso la sua volontà di ascoltare la voce dell’Amazzonia[4].

Si noti, nel passo citato da Episcopalis Communio, la gravità dell’errore del Papa: nel suo pensiero, poiché lo Spirito è dato ad ogni battezzato, Cristo parla e aggiorna o modifica la Rivelazione data agli Apostoli, dal basso in alto, attraverso la voce dei singoli o dei popoli. Ecco perché la Chiesa è discepola: non ha più da insegnare, ma deve inseguire l’incessante modificarsi della “rivelazione”, ponendosi in ascolto dei popoli e, addirittura, della natura! La Chiesa e il Papa sono discepoli, ad esempio, sono “chiesa in uscita”, se si pongono in ascolto dell’Amazzonia, perché attraverso l’Amazzonia è Dio stesso che parla. Siamo all’essenza stessa del modernismo più spinto e sfacciato e siamo, soprattutto, umanamente parlando, di fronte alla fine della Chiesa Cattolica, perché non si riesce a immaginare una teologia più miserevole e schizofrenica. Fra l’altro non è chi non veda che l’enorme frode della “chiesa in uscita”, che abbiamo appena descritto, in null’altro si risolva se non nell’offrire la possibilità a teologi, vescovi o papi senza più la fede cattolica di spacciare per “dottrina”, “insegnamento” o “rivelazione” i loro sogni e deliri personali, un po’ come nelle rivoluzioni, dove una minoranza organizzata in nome del popolo impone la sua ideologia e opprime la maggioranza dei cittadini.

Sulla base delle premesse fatte finora è facile comprendere quale tipo di catechesi o di apostolato si immagini adatto all’Amazzonia. Un breve passo ce lo spiega fin troppo bene:

L’educazione in Amazzonia non significa imporre ai popoli amazzonici parametri culturali, filosofie, teologie, liturgie e costumi estranei[5].

Il passo è coerente con il concetto di “chiesa in uscita”: stabilito che è l’Amazzonia che ci dà oggi la rivelazione di Cristo (ed è sottinteso che la dà per tutti gli uomini, non solo per gli indios, tutti gli uomini infatti vedremo che devono avere una “conversione ecologica”), che Cristo parla oggi attraverso il grido dell’Amazzonia, non si tratta né di insegnare, né di portare nulla agli amazzonici, né teologie, né liturgie, né costumi estranei, ma di imparare da loro che volto debba assumere oggi il cristianesimo. Infatti, la superiore cosmovisione degli indigeni, che vede la realtà in modo non frammentato (ma come un tutto panteisticamente animato) può fare da fondamento a una nuova pedagogia universale (valida cioè per tutti) e a un “nuovo” cristianesimo: “L’Amazzonia ci invita a scoprire il compito educativo come servizio integrale per tutta l’umanità in vista di una «cittadinanza ecologica»[6].

Se pensiamo all’uso politico sempre più violento da parte delle élites mondialiste dell’allarmismo ecologista per soggiogare i popoli, si potrebbe pensare che vi siano altre forze, altri poteri, oltre ai vescovi del Sud America, che si compiacciono che la Chiesa cattolica si avvii a farsi araldo non più di Nostro Signore Gesù Cristo, crocifisso per noi e per la nostra salvezza, ma della “cittadinanza ecologica”. E qui non possiamo non ricordare, ad esempio, la grande presenza e il grande potere che in tutti gli stati sudamericani ha sempre avuto la massoneria. L’Inghilterra prima, da inizio Ottocento, gli Stati Uniti poi, hanno favorito lo sviluppo di una rete di logge massoniche in tutto il Sud America spagnolo e brasiliano, nella quale reclutare le élites con cui scalzare il controllo degli stati iberici: ciò è tanto vero che la larga maggioranza degli “eroi” della liberazione e dell’indipendenza del Sud America, come dei dittatori, era per lo più costituita da massoni.

Anche in questo caso, come in molti altri casi di politica internazionale (Ucraina, Siria, Birmania, etc.) il pontefice sembra sempre allineato ai poteri forti anglosassoni e, in particolare, molto in sintonia con l’agenda della politica estera statunitense.

Come formare i futuri sacerdoti?

Sulla base delle premesse delineate fino a questo punto è importante adesso vedere come l’Instrumentum Laboris delinea i percorsi di formazione del clero. Innanzitutto, nei seminari bisogna “integrare la teologia indigena e l’ecoteologia, in modo che siano preparati all’ascolto e al dialogo aperto dove avviene l’evangelizzazione[7]. A parte il fatto che nessuno sa cosa siano la “teologia indigena” e “l’ecoteologia”, perché di fatto il documento in 110 pagine non le ha comunque definite, si noti l’enfasi sul fatto che il futuro sacerdote deve essere pronto a un “dialogo aperto”, locuzione che indica un dialogo dove la ragione potrebbe stare dalla parte dell’indio.

Più interessante un secondo passo dove “Si propone la riforma delle strutture dei seminari per favorire l’integrazione dei candidati al sacerdozio nelle comunità[8]. Tradotto ciò significa evitare ogni separazione fra seminari e villaggi o città, ma immergere i seminaristi, anche nel pieno del loro processo formativo, all’interno delle comunità indigene. Ciò viola un’esperienza plurisecolare sulla formazione dei chierici e impedisce di far nascere in loro l’abitudine al raccoglimento, alla preghiera, a un’intensa e raccolta vita spirituale.

È importante però notare, perché la cosa viene dichiarata esplicitamente, che i futuri sacerdoti, in pratica, non devono prepararsi ad annunciare, insegnare e predicare il Vangelo, non devono conoscere quindi il dogma e la morale cattolici, perché a loro:

Si chiede di approfondire una teologia india amazzonica già esistente, che permetterà una migliore e maggiore comprensione della spiritualità indigena per evitare di commettere gli errori storici che hanno travolto molte culture originarie. Si chiede, ad esempio, di prendere in considerazione i miti, le tradizioni, i simboli, i saperi, i riti e le celebrazioni originarie che includono le dimensioni trascendenti, comunitarie ed ecologiche[9].

Il passo appena citato da un lato sembra deplorare che siano tramontate, soppiantate dal Vangelo, le tradizioni culturali e religiose degli Aztechi, degli Incas e dei Maya, e dall’altro sembra ritenere corretto che i futuri sacerdoti studino e imparino a rispettare – o a far proprie – queste stesse credenze. In pratica l’episcopato cattolico del Sud America sembra aver perso la fede, per tornare a cosmovisioni primitive e pagane ritenute evidentemente migliori e più fruttuose del Vangelo. Si capisce anche che fondamento abbia questa apostasia generalizzata: la religiosità tribale india è fondamentalmente panteista e divinizzando la natura e le forze naturali è ritenuta, evidentemente, più adatta a fondare una nuova cultura ecologica. Il fine della Chiesa per i vescovi sudamericani non è più salvare le anime, evidentemente, ma salvare la foresta amazzonica e l’ecosistema, ed ecco diventare comprensibile la loro nostalgia per il paganesimo panteista.

La conversione ecologica

Ecco il vero grande obiettivo di tutto l’Instrumentum Laboris. E se è necessario che si produca una “conversione ecologica”, occorre prima ammettere un “peccato ecologico”. Così l’Instrumentum Laboris corregge la fede cristiana nel suo dogma più delicato, quello appunto del peccato originale. Sappiamo che il cristianesimo e tutta l’economia della salvezza stanno o cadono col dogma del peccato originale; alterarlo equivale quindi a manomettere tutto l’edificio della fede. Ecco come nel documento preparatorio al Sinodo sull’Amazzonia viene reinterpretato, o meglio completamente alterato:

Un aspetto fondamentale della radice del peccato dell’essere umano sta nello staccarsi dalla natura e non riconoscerla come parte di se stessi, sfruttarla senza limiti, rompendo così l’alleanza originaria con la creazione e con Dio (cf. Gen 3,5)”[10].

Nelle pagine successive viene ribadito essenzialmente lo stesso concetto: il peccato è un rompere la trama di rapporti che lega l’individuo al tutto e un arrogarsi il diritto di dominare la natura. Pertanto, la conversione da questo peccato contro la natura e il tutto, che sembra cancellare completamente

ciò che veramente il peccato é: ribellione a Dio e alla sua legge e, quindi, violenza contro l’altro uomo, dovrà essere una “conversione ecologica”. Dio è come evaporato e al suo posto c’è il nuovo dio pagano: la Natura divinizzata, la Gaia degli ecologisti. La Chiesa per prima deve convertirsi e “bisogna fare un viaggio interiore per riconoscere gli atteggiamenti e le mentalità che impediscono la connessione con se stessi, con gli altri e con la natura” (p. 117). Se la conversione è a un nuovo rapporto con la natura, possono ammaestrare la Chiesa nella sua conversione ecologica proprio gli indios amazzonici; siamo così al rovesciamento completo dei concetti di apostolato, di evangelizzazione, di conversione: non sono più i pagani a doversi convertire al Vangelo e a entrare nella Chiesa per salvare la propria anima, ma è la Chiesa a doversi convertire al culto panteista della natura proprio dei pagani:  idee come queste dovrebbero guidare e ispirare un sinodo di vescovi cattolici!

Ma leggiamo l’ennesima descrizione idealizzata e idilliaca degli indios amazzonici:

Questo processo si lascia ancora sorprendere dalla saggezza dei popoli indigeni. La loro vita quotidiana è testimonianza di contemplazione, cura e rapporto con la natura. Loro ci insegnano a riconoscerci come parte del bioma e corresponsabili della sua cura oggi e nel futuro. Dobbiamo quindi rimparare a tessere legami che assumano tutte le dimensioni della vita e ad assumere un’ascesi personale e comunitaria che ci permetta di «maturare in una felice sobrietà» (Laudato Sì 225)” (p.117).

Si noti l’appello nel brano appena letto al tema della “decrescita felice” (felice sobrietà).

Il nostro sguardo credente sulla realtà amazzonica ci ha fatto apprezzare l’opera di Dio nella creazione e nei suoi popoli, ma anche la presenza del male a diversi livelli: colonialismo (dominio), mentalità economico-mercantilista, consumismo, utilitarismo, individualismo, tecnocrazia, cultura dello scarto” (p.117).

Ancora una volta il peccato è pensato nei termini distorti da un lato dell’ideologia ecologista, dall’altro della teologia della liberazione, come peccato sociale. Il vero male è il colonialismo secondo il documento, senza distinzioni e senza precisazioni, senza ricordarsi che la Provvidenza se ne è servita per far giungere il Vangelo nelle Americhe, dove i conquistadores hanno lentamente portato un grado di civiltà straordinariamente superiore a quello delle civiltà precolombiane. Quello che emerge dal testo è, in sintesi, un profondo odio per la tradizione cristiana, per la civiltà occidentale, per tutto ciò che la Chiesa ha portato in secoli di eroico e faticosissimo apostolato ai territori amazzonici e sudamericani, dove prima dell’arrivo degli spagnoli regnava ovunque il sacrificio umano come supremo atto di culto religioso. L’Instrumentum Laboris appare così come una sintesi velenosa di teologia della liberazione, marxismo, modernismo ed ecologismo, amalgamate in senso panteistico.

Non stupisce in un contesto ideologico così degradato considerare che cosa deve diventare la Chiesa e che cosa deve fare nel suo apostolato secondo gli estensori del documento:

Favorire una chiesa come istituzione di servizio non autoreferenziale, corresponsabile nella cura della Casa Comune e nella difesa dei diritti dei popoli”.(p. 119)

Oltre al solito untuoso omaggio al Papa fatto condannando una Chiesa “autoreferenziale” (si noti poi il “chiesa” minuscolo nel testo e “Casa Comune” maiuscolo), ecco la Chiesa Cattolica ridotta da “arca di salvezza” a ONG che si occupa dell’ambiente e dei diritti degli indigeni, come un grande sindacato rurale.

(…) Promuovere modelli di comportamento, di produzione e di consumo, di riciclaggio e di riutilizzo dei rifiuti”.PAG?  Anche qui spicca l’assenza di ogni finalità soprannaturale. Dalla cura per le anime e per la vita di grazia dei fedeli attraverso la Santa Messa e i sacramenti, attraverso la vita di pietà, si è passati a una Chiesa il cui fine primario sembra essere il riciclaggio e il riutilizzo dei rifiuti! Nessuna preoccupazione per il dilagare del peccato e della corruzione morale, il problema è la raccolta differenziata.

La Chiesa deve poi “recuperare i miti e attualizzare i riti e le celebrazioni comunitarie che contribuiscono in modo significativo al processo di conversione ecologica” PAG?: come abbiamo già messo in luce precedentemente, qui si ha proprio l’inversione del fine della Chiesa, che non è più la salvezza delle anime, ma diventa la “conversione ecologica”; e la Chiesa si auspica che recuperi i miti e le religioni tradizionali che sono, evidentemente, più adatte del cristianesimo per favorire l’imporsi della nuova cultura di morte ecologista. Il passo appena letto non è solo folle, insensato, ma costituisce un atto formale di apostasia. Dei teologi e vescovi cattolici non hanno il diritto di proporre alla Chiesa di recuperare miti e credenze religiose pagani per fini, oltre tutto, che nulla hanno a che fare con il mandato che Nostro Signore ha assegnato alla Chiesa stessa. Gli estensori del documento inoltre sembrano ignorare che solo una vera e piena conversione a Cristo, solo la pienezza della Regalità Sociale di Cristo, il trionfo del Vangelo nelle leggi, nella famiglia, nel lavoro, nella politica può lentamente migliorare tutto, incluso l’ambiente e il rispetto di esso. Ma Gesù per altro ci ha ammonito: “Senza di me non potete fare nulla”, e quindi nessuna “conversione ecologica”, per quanto fanaticamente attuata, porterà ad alcun risultato senza una vera conversione all’unica vera religione.

Infine, deve essere dato un “riconoscimento formale, da parte della Chiesa particolare, dell’agente pastorale come ministero speciale che promuove la cura della Casa Comune” (p. 120).

Come in tutte le rivoluzioni, così anche nella rivoluzione che sta profilandosi con il Sinodo sull’Amazzonia, modificare il linguaggio è l’operazione più importante; ed ecco così che il sacerdote o il religioso diventa un “agente pastorale” che ha “il ministero speciale” di promuovere la cura della Casa Comune (eretta, con questo insistito uso della maiuscola a entità pagana semi-divina a cui rendere culto).

[1] Op. Cit., p. 93 (Par. 75)

[2] Op. Cit., p. 102 (Par. 84)

[3] Op. Cit., p. 104 (Par. 87). Sottolineature nostre

[4] Op. cit., pp. 107 (Par. 92). Sottolineature nostre.

[5] Op. cit., p. 109 (Par. 94)

[6] Op. cit., p. 110 (Par. 96)

[7] Op. cit., p. 112 (Par. 98)

[8] Op. cit., p. 112 (Par. 98)

[9] Op. cit., p. 113 (Par. 98)

[10] Op. cit., p. 114 (Par. 99)