Armenia: fallita “color revolution”, l’USAID insulta il suo lacché

Questa lettera è impagabile. L’ha scritta la signora Karen Hilliard, capo-missione in Armenia dello USAID (l’ente governativo “per lo sviluppo internazionale” ) ad Arthur Sakunts, militante dei diritti dell’uomo, insignito del premio “difensore della libertà” dall’ambasciatore Usa ad Erevan, nonché presidente della “Helsinki Citizen’s Assembly” di Vanazdor, una ong nata “spontaneamente dalla società civile” che denuncia in gran conferenze stampa la brutalità della polizia, ed organizza raduni e manifestazioni contro il governo che viola i diritti umani.

http://hcav.am/en/

In altre e meno orwelliane parole, Sakunts è uno a cui gli americani hanno affidato una parte centrale nella “rivoluzione colorata” che hanno innescato in Armenia. La cosa è cominciata il 19 giugno, con una manifestazione di protesta per il rincari delle bollette elettriche. Il presidente Serzh Sargsian si è dichiarato pronto a ricevere una delegazione di manifestanti; quelli hanno rifiutato. Poi ha cancellato gli aumenti; ma la folla si è adunata in continue manifestazioni nella piazza centrale di Yerevan, che si chiama Piazza Libertà. Scontri con la polizia che disperde la folla il 23 . Washington tuona contro “l’eccessivo uso della forza, le voci sulle violenze subite dai fermati”, es i dichiara “turbata dal fatto i giornalisti e i loro materiali sono stati presi di mira in modo particolare”.

Insomma un serio tentativo di replicare la Maidan dell’Ucraina.   Il mostruoso governo stroncatore die diritti umani, storicamente filorusso, andava rimpiazzato da uno aderente ai “nostri valori”.

La bella impresa s’è però sfiatata quasi subito,   come dimostra appunto la furente lettera che la signora Hilliard  ha scritto, su carta intestata, al promotore   su piazza dei diritti umani.

 

 

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Traduco:

Caro Mister Sakunts – Le scrivo per esprimere il mio allarme riguardo al calo significativo di dinamismo nelle manifestazioni a Erevan . Nonostante le sue assicurazioni riguardo all’impegno della società civile armena a difendere   accanitamente i propri interessi, il numero dei manifestanti diminuisce, l’oratoria inflessibile senza concessioni sta evolvendo in pacifico dialogo col governo, e le richieste politiche sono state abbandonate. E’ chiaro che non siete riuscito ad usare adeguatamente le risorse che vi sono state fornite. I vostri risultati sono mediocri, e l’obbiettivo principale non è stato raggiunto.

Però riteniamo sia inaccettabile interrompere l’attività su uno qualunque dei settori che abbiamo convenuto, perché ciò potrebbe compromettere lo svolgimento degli avvenimenti pianificati per l’Azerbaijan. Dovete fare tutti gli sforzi per alimentare ogni forma di protesta popolare. Il progetto è la pietra angolare della nostra strategia regionale nel prossimo avvenire. Le sue azioni determineranno la sua futura cooperazione con noi

Karen R. Hilliard”.

La signora Hilliard non è affatto contenta di come la causa della democrazia sta avanzando in Armenia. A Washington sono “allarmati” e devono averla sollevata di peso. E lei solleva di peso Sakunts, trattandolo non da decorato militante dei diritti umani e vittima predestinata del mostruoso governo filorusso, bensì come un suo stipendiato incapace e fannullone. Lo minaccia di licenziamento se non si dà da fare. Perché l’innesco della rivoluzione colorata armena è parte integrante di un piano regionale, che comprende l’Azerbaijan.

L’esasperazione americana è da capire.   A maggio è fallita una rivoluzione colorata in Macedonia. Accuratamente preoparata dalla Fondazione Soros, prevedeva, il 17 maggio, una enorme manifestazione di folla contro il governo, a Skopjie, capeggiata dal locale eroe dei diritti umani,  il prescelto dall’Occidente Zoran Zaev. Si trattava di eccitare l’indipendentismo della forte minoranza albanese (il 30% della popolazione macedone), che avrebbe dato il “colore” verde-islamico. La cosa è stata mandata a monte da un tragico scontro a fuoco a Kumanovo (al confine col Kosovo) , dove le truppe speciali della polizia hanno sventato un’incursione di “terroristi albanesi”: ammazzandone 14, al prezzo di 8 agenti macedoni ucccisi. E’ subito risultato che gli ammazzati non erano albanesi locali (che non si sono mossi), ma gente del Kosovo Liberation Army, il semicriminale KLA che da sempre è sotto la protezione americana; e difatti i cadaveri sono stati sepolti con onori e in divisa del KLA a Pristina, come eroi. Questo gruppo doveva fare quaklcosa di sanguinoso lo stesso giorno in cui il militante dei diritti umani Zaev avrebbe riunito per la sua manifestazione una folla di 70 mila persone ( che doveva essere salutata in anticipo da una delegazione del Partito socialista europeo guidato da Martin Shulz (il kapò) e Matteo Renzi, insieme a McCain):   forse questi del KLA dovevano agire come i misteriosi cecchini di piazza Maidan? Il risultato è che, il 18, un enorme numero di macedoni è sceso in piazza, però a sostenere il proprio governo, fra urla e slogan contro “Soros” e la sua “Open Society”, che si capiva aver pagato la spontanea operazione.

In Macedonia c’era da bloccare il Balkan Stream. In Armenia dal sottrarre a Mosca un alleato strategico, che Mosca ha protetto nei secoli (dai turchi, dagli azeri massacratori); che è membro dello CSTO (Collective Security Treaty Organization (CSTO),  del CIS (Commonwealth of Independent States) della Unione doganale eurasiatica. La Russia è il massimo partner commerciale dell’Armenia; 2 milioni di armeni risiedono in Russia, due basi militari russi sono in Armenia.

Per adesso, il piano è fallito. E due. Adesso vediamo cosa sanno fare in Azerbajian.