ARAFAT, ANDREOTTI E SIGONELLA.

 

Lirio Abate, sull’Espresso di questa settimana, rende noti stralci dei diari segreti di Arafat. Di grande interesse la parte riguardante il sequestro dell’Achille Lauro da parte di un commando palestinese (1985).

 

L’Italia, secondo la ricostruzione dei diari, contatta Arafat per porre fine alla spinosa vicenda, che rischiava di trasformarsi in un bagno di sangue. il leader palestinese, che nega il coinvolgimento nel dirottamento, invia sul posto un suo uomo, Abu Abbas, incaricato di mediare.

Il sequestro si risolve: la nave fa rotta verso un porto egiziano dove i passeggeri vengono liberati; in cambio, come da accordi, al commando viene rilasciato un salvacondotto: viene loro concesso un aereo che avrebbe dovuto portarli al riparo in Tunisia.

Ma si sparge la notizia di un orrendo delitto accaduto a bordo: qualcuno dei sequestratori ha ucciso e gettato in mare Leon Klinghoffer, un americano di origini ebraiche.

Gli Stati Uniti fanno volare i loro caccia e costringono l’aereo ad atterrare alla base Nato di Sigonella. Giunto all’aeroporto, i Vam e i carabinieri si schierano a far cordone attorno al velivolo, impedendo ai Navy seals americani, giunti insieme all’aereo egiziano, di attaccare e prelevare i palestinesi. Così si schierano anche loro attorno all’aereo, circondando i militari italiani.

Seguono momenti di tensione, che arriva alle stelle quando giungono all’aeroporto i carabinieri inviati dalle caserme di Catania e Siracusa.

Questi a loro volta circondano i soldati americani, i quali si vedono così costretti a lasciare andare i fuggiaschi. Anche perché i carabinieri hanno l’ordine di difendersi nel caso in cui gli americani avessero iniziato a sparare (particolare che non viene riferito nel report dell’Espresso, ma noto alle cronache).

Scrive l’Espresso: «Chi ha letto gli appunti di Arafat rivela che la linea dura del governo italiano verso le pretese americane sarebbe stata decisa non da Craxi – come si è sempre creduto – ma da Andreotti, che era in contatto diretto con Arafat».

In realtà era cosa nota. Andreotti aveva usato di Craxi per far digerire l’accordo agli americani, avendo il leader socialista rapporti stretti con gli ambiti atlantisti, al contrario dell’esponente democristiano che da questi era considerato inaffidabile, anzi un avversario.

Interessante anche il quadro descritto: se Arafat fu costretto a inviare un suo uomo per intavolare una trattativa, è evidente che il commando non rispondeva a lui. Probabile che il leader palestinese si sia mosso, nel segreto, anche per contattare gli ambiti palestinesi che avevano ordinato l’azione e convincerli a desistere.

Come è più che probabile che l’assassinio dello sfortunato Klinghoffer sia stato ordinato per tentare di far saltare l’accordo, cosa in parte riuscita.

Come scritto, a quanti seguivano le vicende internazionali con occhi un po’ meno offuscati dalle narrative correnti, era ovvio che l’artefice della risoluzione del sequestro fosse stato Andreotti. Come sicuramente era noto agli ambiti atlantisti.

Tale iniziativa, come altre (ad esempio la divulgazione dell’esistenza di Gladio, una struttura interna ai servizi segreti italiani ma alle strette dipendenze di Washington, avvenuta nel 1990), non portarono fortuna allo statista democristiano.

Sulla questione rimandiamo a una documentazione riservata dell’ambasciata americana in Italia rivelata dalla Repubblica qualche tempo fa e ripresa su Piccolenote.

Interessante un altro cenno dell’Espresso: «secondo quanto emerge dai diari del leader palestinese, [Andreotti ndr.] aveva sempre avuto un ruolo importante nelle mediazioni internazionali che hanno riguardato la Farnesina e sarebbe stato spesso una sorta di “mediatore nascosto” tra l’Olp e gli americani».

Un ruolo che gli ha attirato l’odio irriducibile degli influenti ambiti internazionali che spingevano per lo scontro frontale tra israeliani e palestinesi.

17 luglio

La profezia americana sul processo Andreotti

 

da piccole note

Sulla Repubblica del 17 luglio, Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo pubblicano documenti riservati dell’ambasciata americana a Roma relativi agli anni delle stragi di mafia e a un incontro riservato con il presidente del consiglio Giulio Andreotti. Pur se un po’ (inevitabilmente) pervaso dall’aura che circonda la figura di Andreotti, la leggenda nera alimentata da decenni di narrativa ostile, l’articolo offre spunti interessanti.

Nel report dell’ambasciata si legge che l’uomo politico democristiano critica sia Luciano Violante che Leoluca Orlando, suoi grandi accusatori (particolare in realtà di secondo piano). Più interessante il cenno che inquadra le accuse a lui rivolte come risposta a sue iniziative contro la mafia, la quale quindi si starebbe «vendicando», accusando lui di collusioni con la stessa.

Non solo la mafia italiana, secondo Andreotti: «Con ogni probabilità sono coinvolti anche mafiosi americani e possibili spezzoni “deviati” dei servizi segreti italiani oltre che dello United States Marshall Service».

Accuse più che circostanziate, sopratutto quella rivolta all’United Sates Marshall Service, un’Agenzia con compiti di vigilanza giudiziaria davvero poco nota alla cronaca. Evidentemente con quel cenno tanto particolare Andreotti vuole indicare ai suoi interlocutori di avere informazioni molto dettagliate sulle trame ordite contro di lui.

Nel report americano non c’è traccia di domande da parte americana sul punto: gli interlocutori di Andreotti cioè non chiedono spiegazioni, cosa che invece dovrebbe essere più che doverosa. Semplicemente lasciano cadere la cosa, come argomento di nessuna importanza. Forse avevano paura che quelle accuse trovassero un qualche riscontro?

Poi, a un certo punto, Andreotti inizia a fare domande. Così viene segnalato nel report: «”Ha chiesto informazioni sulla diffusione da parte del governo americano di un dispaccio del 1984 proveniente dal nostro Consolato di Palermo, nel quale viene riferito che, se i presunti legami di Lima con la mafia fossero confermati, allora sia Andreotti che l’intero regime politico italiano si troverebbero in seri guai”.

«Gli americani gli dicono che quella profezia in qualche modo è stata confermata dagli eventi successivi, ma gli spiegano pure “che è stato un errore» aver diffuso quella nota”. Andreotti si mostra preoccupato che altri messaggi possano essere resi pubblici”. Messaggi con sue conversazioni “di alto livello e sensibili”».

Accennando alla “profezia” del consolato di Palermo, Andreotti di fatto accusa gli Stati Uniti, alcuni ambiti ovviamente, di aver costruito il processo a suo carico, creando quei pentiti che lo avrebbero poi portato alla sbarra (davvero tanti i pentiti di quella stagione: un fenomeno unico, per le sue proporzioni, nella storia d’Italia; ma magari nel processo sulla trattativa Stato mafia, semmai andrà a compimento, si troverà qualche risposta a tale inspiegabile anomalia).

Nella loro risposta, di fatto gli americani accusano Andreotti di aver reso noto quel documento: e ciò secondo loro sarebbe stato un “errore”. Strana protesta data la natura del documento in questione. In realtà quello americano sembra più un “avviso” rivolto al loro interlocutore a non prendere altre iniziative simili. Minaccia alla quale Andreotti risponde per le rime, accennando alla possibilità che possano sfuggirgli altre rivelazioni “sensibili”.

Al di là dello scambio di battute finale, che di questo si tratta nella sostanza, resta la clamorosa vena profetica del documento del consolato Usa a Palermo, in particolare sulla genesi della legione di pentiti che avrebbero poi accusato Andreotti passando per Lima, il politico siciliano della sua “corrente” (pentiti che non potevano essere ignorati dalla magistratura).

Val la pena ricordare, en passant, che già prima che iniziasse il processo Andreotti, un pentito aveva provato ad accusare Lima di collusioni con la mafia: tal Giovanni Pellegriti. Era il 1989 allora e Falcone lo accusa del reato di calunnia aggravata e continuata in concorso con ignoti.

Gli ignoti evocati da Falcone non furono individuati, ma il magistrato riuscì egualmente a condannare Pellegriti per calunnia. Poi Falcone verrà assassinato… il resto è storia. Una storia ad oggi scritta dai vincitori di allora, ma che, come si evince da questi cenni, riserva ancora sorprese.

da piccole note

‘ stata un vendetta israeliana, o se preferisci israelo-americana. Il processo ad Andreotti iniziò il giorno del capodanno ebraico 1995, e in quel giorno Scalfari scrisse un editoriale in cui festeggiava il 20esimo anniversario della fondazione di Repubblica, il cui primo numero era uscito in realtà nel gennaio 1076. In realtà, la canaglia stava festeggiando il processo ad Andreotti, la cui foto da segnaletica di polizia (occhi sbarrati) grandeggiava in prima pagina.