«AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO»? IMPOSSIBILE A FARSI, SE PRIMA NON SI SA CHI SEI TU E CHI È IL TUO PROSSIMO

don Ariel Levi di Gualdo

In questa stagione di clerical piaggeria senza più contegno e ritegno, possiamo purtroppo accingerci a udire dai pulpiti delle nostre chiese che il prossimo da amare come noi stessi è il profugo, il migrante ed il povero. I predicatori più arditi aggiungeranno “il diverso” e “le diversità” …

 

Questa XXXI Domenica del Tempo Ordinario ci dona una pagina del Beato Evangelista Marco nella quale Cristo Signore ci indica il comandamento più grande: «[…] “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi» [testi della liturgia della parola, QUI].

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Sul frontone dell’antico Tempio di Apollo a Delfi è incisa la massima γνῶθι σαυτόν, in latino nosce te ipsum, tradotto in italiano: conosci te stesso. Questa frase è ripresa nell’opera Prometeo incatenato di Eschilo, nella quale Oceano consiglia Prometeo:

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«Vedo sì, Prometeo, sicché voglio darti il miglior consiglio, sebbene tu sia già scaltro. Devi sempre sapere chi sei, ed adattarti alle regole nuove, perché nuovo è questo tiranno che oggi governa tra gli dèi. Se invece tu scagli parole così arroganti e pungenti, anche se il suo trono sta molto più in alto, Zeus le può sentire ugualmente, allora la quantità di pene che adesso subisci ti parrà un gioco da bambini».

.Il testo originale greco della mia traduzione testé riportata è il seguente:

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«ὁρῶ, Προμηθεῦ, καὶ παραινέσαι γέ σοι θέλω τὰ λῷστα, καίπερ ὄντι ποικίλῳ. γίγνωσκε σαυτὸν καὶ μεθάρμοσαι τρόπους νέους: νέος γὰρ καὶ τύραννος ἐν θεοῖς. εἰ δ᾽ ὧδε τραχεῖς καὶ τεθηγμένους λόγους ῥίψεις, τάχ᾽ ἄν σου καὶ μακρὰν ἀνωτέρω θακῶν κλύοι Ζεύς, ὥστε σοι τὸν νῦν ὄχλον παρόντα μόχθων παιδιὰν εἶναι δοκεῖν».

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Ci si potrebbe domandare: quale collegamento c’è, tra un’espressione tratta da un passo della più nobile paganitas greca ed uno del tutto diverso della Christianitas tratto dalla parola viva del Verbo di Dio fatto uomo? Ebbene, in comune c’è che sia il «conosci te stesso» che sta al centro di questo passo del commediografo Eschilo, sia il «ama il prossimo tuo come te stesso» che sta al centro del passo del Santo Vangelo di questa domenica, costituiscono due espressioni mal comprese, di conseguenza mal presentate, quindi peggio infine abusate.

 

Il conosci te stesso, non è affatto un semplice invito del creatore di Prometeo a conoscersi più o meno a fondo, bensì un preciso invito rivolto a questa creatura, finita incatenata ad una rupe a testa all’ingiù, ad avere la consapevolezza di essere inferiore al dio Zeus. L’uomo, per conoscere veramente se stesso, per gestire se stesso e dare poi il meglio di se stesso, deve essere anzitutto consapevole dei propri limiti oggettivi, non certo inebriarsi nelle proprie reali o presunte grandezze. Basti a tal proposito ricordare che l’uomo, si tratti della bestia politica, della bestia bellica, della bestia scientifica o della bestia ecclesiastica  il peggio  della propria disumanità e dell’odio verso il prossimo, da sempre lo esprime e lo manifesta quando cade nel delirio di onnipotenza.

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In questa stagione di clerical piaggeria senza più contegno e ritegno, possiamo purtroppo accingerci a udire dai pulpiti delle nostre chiese che il prossimo da amare come noi stessi è il profugo, il migrante ed il povero. I predicatori più arditi aggiungeranno “il diverso” e “le diversità”, facendo sfoggio dei lemmi tratti dal Nuovo Vocabolario Clericalese che nell’ultima edizione aggiornata ha aggiunto vari altri vocaboli: dalla includenza ad una non meglio precisata accoglienza. L’espressione che da un po’ di giorni va poi per la maggiore è: «accompagnare con empatia» [cf. QUI]. A volte pare di essere tornati ai collettivi degli anni Settanta del Novecento, quando i capelloni contestatori in vena di intellettualismi a basso mercato se ne uscivano fuori con espressioni del tipo: «… la sintesi dialettica dell’alternanza ideologica». Cosa ciò volesse dire non si sa, ma certe espressioni facevano colpo, soprattutto ciascuno poteva cavar fuori dal loro non-senso quel che meglio preferiva, dando così senso a quel senso che non c’è.

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Per amare il prossimo come se stesso, l’uomo deve conoscere se stesso e sapere chi è, da chi è stato generato e per cosa. Deve sapere perché mai, i nostri progenitori, abbiano permesso al peccato — e col peccato alla morte — di entrare nella scena del mondo, quindi da chi l’uomo è stato salvato e redento: da Cristo che si è fatto nuovo Adamo, mentre la Beata Vergine Maria assurgeva a nuova Eva. In questo processo di conoscenza, ecco che sante grandezze e diaboliche limitatezze si alternano; e questa alternanza è generata dal peccato originale che ci ha rubati alla nostra primigenia santità, alla quale possiamo però tornare attraverso il sacrificio di Cristo Signore sulla croce, «l’agnello di Dio […] colui che toglie il peccato del mondo!» [cf. Gv 1, 29].

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Per amare il prossimo come noi stessi, prima bisogna anzitutto amare noi stessi come creature create a immagine e somiglianza del Dio vivente, poi è necessario specchiare questa immagine nell’altro, nel quale contemplare impressa l’immagine stessa di Dio che un giorno disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» [Gen 1, 26].

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Amare il prossimo implica amare l’immagine di Dio impressa in noi e poi rispecchiarla nell’altro, nel prossimo, leggendo in esso quelle parole pronunciate agli inizi dei tempi: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza». Se non conosciamo noi stessi e non cogliamo in noi stessi l’immagine di Dio, se non trattiamo noi stessi come tempio vivo dello Spirito Santo, non potremmo mai rispecchiare questa immagine nell’altro, nel prossimo, amando in lui questa immagine di Dio impressa ed eterna, riconoscendo in esso un tempio vivo dello Spirito Santo. In mancanza di questo si corre il serio rischio di cadere nelle emotività empatiche, riducendo noi stessi, da Christi fideles, a dei filantropi mondani, che cercano di fare del bene nel modo in cui piace al mondo. E nel giorno del nostro giudizio, dinanzi al Divino Giudice scopriremo che non abbiamo mai amato, perché non sapevano chi eravamo, da dove venivano e verso quale meta dovevamo camminare. Mentre su di noi risuonerà la frase «quale merito ne avete? Non fanno così anche i pagani?» [Mt 5, 46]. E infine: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il Diavolo e per i suoi Angeli» [Mt 25, 41].

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E conosceremo così il vero e profondo amore di Dio, che castiga ed usa misericordia [cf. Tb 13, 1-18].