IL CONTADINO DELLE STELLE

Il 16 dicembre è scomparso Giuseppe Sermonti,  il genetista  non-darwiniano e personalità  di eccezionale cultura ed intelligenza, che mi onorò di una recensione al mio  saggio “La catastrofe del Darwinismo”. L’amico Stefano Serafini ne ha scritto sulla sua rivista  Il Covile,  lumeggiandole le straordinarie qualità  scientifiche e culturali)

Giuseppe Sermonti . Roma 1925, – Roma, 16 dicembre 2018.

di Stefano Serafini

Formidabile contadino del tempo, al quale la sorte diede di scavare con l’esattezza del-

lo stupore le molte imperfezioni della scienza, è tramontato, al modo delle sue amate costellazioni, Giuseppe Sermonti. ¶ Narratore radicale, armato dellaffilatissima ossidiana, in forma di luna, della poesia, rintracciava forme piene di senso allusivo e indecifrabile nel cretoso assolutismo dei fatti che si sgretolava sotto le sue mani da scienziato. Non vi è scritto, fra quelli che Sermonti ci ha regalati, che non rechi con sé il fiato plasmatore di meraviglia di questo solitario della cultura davanti alla luce delluniverso e del suo fiorire. «Domine non sum dignu, scrisse a sigillo di una delle sue pagine piú belle. La scorsa primavera lo vidi per l’ultima volta, la voce e i sensi scavati dall’età. Era limpido. Mi porse l’edizione cinese del suo Dimenticare Darwin. «Mi hanno cercato loro», mi disse, riferendosi agli editori lontani. Parlammo poche parole del suo lavoro e sebbene mi paresse di fissare un’evidenza banale, gli dissi quello che pensavo, cioè che la sua battaglia era ormai vinta. Lui mi ascoltò con la solita attenzione, come da dentro un dolore che riconoscevo. Ristette un attimo quando gli chiesi come si sentisse. Poi affermò: «Pieno di vita». Tramontando al tempo Giuseppe Sermonti si è incamminato per le vie delleterno, dove lo aveva preceduto la sua amata Isabella. Ora ricompone con lei la piú brillante delle costellazioni. Io lo vedo che il cielo abbraccia le loro radici possenti e gentili, piene di luce.

Roma, 1925 – Roma, 16 dicembre 2018.

È

salutare far conoscere meglio la figura straordinaria di Giuseppe Sermonti, il genetista noto per le sue critiche al darwi-

nismo e al totalitarismo della scienza ideologizzata. Basta infatti un giro sul grande fratello collettivo Internet (ad es. una scorsa alla combattuta storia di redazione della sua poco attendibile scheda su Wikipedia) per constatare il rovello di alcuni «attivisti» indaffarati a screditarne l’immagine. Graffitari di provincia dello scientismo1 che amano riempirsi la bocca dei titoli di riviste stimate e accreditate dalla «comunità scientifica» (della quale per la maggior parte non fanno parte, neanche come gregari), senza rendersi conto di ignorare quale sia, propriamente, il contenuto della scienza, quale funzione abbia in questa contingenza storica, né a cosa serva la divulgazione critica, costoro hanno lasciato in Rete le accuse piú strane contro l’importante scienziato e intellettuale italiano: devoluzionista, creazionista, luddista, guru ecc.; si agitano affinché le sue riflessioni, che sono in buona sostanza epistemologiche, vengano classificate come «pseudo-scienza».

Sermonti d’altronde, che è molto amato dai suoi lettori, ha sempre attirato l’odio ideologico di certi ambienti settari. Negli anni ’70, all’uscita del suo primo libro contro lo scientismo, tale prevenzione venne mascherata paradossalmente da «progressismo di sinistra»… contro Sermonti, in difesa delle industrie! Darwin non era ancora in gioco. Causa plausibile dell’avversione di allora, poteva essere l’invidia personale di un potente aspirante barone, che mal ne tollerava la brillante carriera. Ma da sola non bastava, neanche a quei tempi, a spiegare tutta la profondità dell’ostracismo, ben distinguibile dai normali dissidi accademici che bene o male contrappuntano sempre la distinzione di un percorso. Qualche anno fa il progressismo, inteso come «difesa» di Darwin, venne brevemente richiamato alla ribalta da una lettera di sei professori de La Sapienza di Roma, i quali — autentici libertari — pretendevano si censurasse la presentazione di un libro di Sermonti all’Università, giungendo ad accusarlo addirittura di tendenze razziste (quando è invece Sermonti ad additare nel darwinismo una sponda della dottrina della razza).2 Oggi, piú modestamente, altri graffitari rivestono la medesima avversione di un candido amore per la purezza ed il metodo, lamentando presunti o reali «errori», ai quali danno la caccia con tendenziosa acribia nei suoi scritti, indagati piuttosto che letti.3

Un’accusa illuminante che ultimamente viene mossa al genetista, è poi quella di essere un «ex scienziato». Ciò denota, nei critici, un’idea curiosamente religiosa, quasi «calcistica», della scienza: ad essa — indipendentemente da competenze metodologiche, titoli e scoperte — un uomo «apparterrebbe», e sarebbe cosí chiamato scienziato, finché ne accettasse le interpretazioni condivise dalla maggioranza, e da essa potrebbe «uscire» perdendo il titolo per apostasia!4

Il motivo che da quarant’anni rende il nostro Autore una sorta di spauracchio per una certa nebulosa para-culturale, va spiegato in prospettiva. Coloro che getterebbero Sermonti all’inferno, infatti, ve lo scaglierebbero volentieri insieme a tutta la filosofia, a tutto il pensiero che eventualmente non sottostà all’imperio della ragione mercantile, alla riflessione critica nei confronti del presunto «valore universale e normativo» della conoscenza positivistica, a chi non si piega alla «dittatura del fatto» (Husserl). Non parliamo poi di altre forme dello spirito umano, come la religione e la mistica (o la teoria sociale rivoluzionaria, ormai scomparsa all’orizzonte). Tra gli accusatori di Sermonti, inevitabilmente, e senza che il vecchio biologo abbia a che fare con questo genere di cose, si riscontrano esaltati e beffardi arcinemici di tutto ciò che Piero Angela — simbolo vivente dello statuto televisivo del sapere per tutti — mette in un fiorito mazzo e indica come «cattivo»: dall’omeopatia ai cerchi nel grano, dall’astrologia alla parapsicologia, dalla lettura dei fondi di caffè alla mistica indiana. Non a caso, ogni volta che pare loro esservene l’occasione, ed evitando eventualmente di entrare nel merito, Sermonti viene accusato di misticismo, religiosità, oscurantismo, ecc. Per la maggior parte di queste persone, la scienza non è tanto un particolare metodo e modo della conoscenza umana, storicamente formatosi per il contributo di determinate forze sociali ed economiche, con un suo preciso ambito di competenze formali che ne delimita e in gran parte preforma l’oggetto; ma è l’unica ammissibile forma vera e certa di conoscenza, una conoscenza che avrebbe conchiuso in sé il proprio fine.

Persino l’arte e la poesia, se espongono pretese conoscitive (ma a parte rarissimi casi, ciò non avviene piú almeno dal XVII sec.), vengono liquidate da simili signori con il termine molto in voga di «fuffa».

Sembra incredibile, ma un pensiero talmente limitato da ritenere che la realtà possa essere spiegata unicamente nei termini di una scienza congelata nei suoi traguardi oggettuali odierni, incapace di rendersi conto che gli occhiali scientifici con i quali guarda il mondo e se stesso sono anch’essi parte del mondo, sono anch’essi un prodotto storico, ha assunto al giorno d’oggi, per diffusione, un ruolo di dominio totalizzante. La sua infiltrazione s’è realizzata attraverso i mezzi d’informazione di massa, col sostegno che essi inevitabilmente forniscono alla mediocrità, al ragionamento automatico, acritico, passivo, alla superficialità, al mercato, e all’ideologia che tutto preforma e predigerisce per i cervelli connessi allo spettacolare integrato.5 Tale pensiero, di fatto, è esso stesso un elemento portante di quella «matrice» di presupposti indiscussi — la merce, lo sfruttamento del forte sul debole, il denaro, lo sterminio «bellico», la tecnologizzazione dell’esistenza come progresso, ecc. — che dominano e spogliano la nostra vita, e che hanno sostituito di fatto la realtà, tanto da non permetterci piú nemmeno di pensarla indipendentemente da essi. Dopo aver proceduto sottotraccia nella società per molti decenni, contrastato sempre piú debolmente da una cultura umanistica spettacolarizzata ma comunque di forti radici, recentemente in Italia ha cominciato ad articolarsi sulla bocca delle masse.6 La teodicea Whig del pensiero positivistico, che ha accompagnato fin dal suo nascere l’imperialismo della borghesia britannica, trionfa cosí, quando il capitalismo finanziario è giunto al suo sbraco, nel cuore del Mediterraneo come volgare arroganza da blog italiota.

Il tutto, indipendentemente dal fatto che nel frattempo la biologia molecolare ha ormai da tempo superato il dogma dell’evoluzionismo, cioè la centralità della selezione naturale e del caso nello sviluppo di forme e funzioni biologiche, togliendo, per cosí dire, la terra sotto i piedi ai sedicenti (e ignari) scudieri della Scienza identificata con Darwin.7 Una conclusione storicamente inevitabile, ma che non avrà presa comunque sul fondo ideologico di costoro, né sul corso dominante delle cose, che ormai del darwinismo già ha smesso di avere bisogno. L’origine è oggi una questione superata dai «gregari» veri, i quali non si occupano certo di Sermonti. Il circuito li ha completamente integrati nella propria intangibilità autoreferenziale, essi la natura non l’indagano piú — la creano in laboratorio.

Nato a Roma nel 1925, quarto di sei fratelli (Rutilio, avvocato, politico e giornalista; Tina Bianca; il suo gemello Enrico, agronomo; Vittorio, il famoso dantista; Lia) Giuseppe Sermonti si laurea dopo la guerra in Scienze Agrarie presso l’Università di Pisa e in Scienze Biologiche all’Università di Roma. La sua carriera inizia prestissimo, a soli 25 anni, con la chiamata come responsabile del reparto di Genetica del Centro internazionale di chimica microbiologica (CICM) dell’Istituto Superiore di Sanità diretto da E. B. Chain. Dobbiamo alle sue ricerche la scoperta della sessualità nel Penicillium (a Glasgow, con Guido Pontecorvo) e negli streptomiceti (con sua moglie Isabella). Gli tocca dunque il titolo di padre della Genetica dei microorganismi industriali.8 Di tale disciplina fonda e dirige la Commissione Internazionale. Consulente di alcune fra le piú importanti multinazionali farmaceutiche, come Ciba-Geigy, Lepetit, Eli Lilly e Pliva, dirige la International School for General Genetics del Centro Ettore Majorana, a Erice, presso la quale organizza corsi quadriennali di Microbial Breeding. Nominato cattedratico di Genetica all’Università di Camerino, passa dopo un anno a quella di Palermo, poi a quella di Perugia; è presidente per due anni dell’Associazione Genetica Italiana, e nel 1980 è invitato come vicepresidente al XIV Congresso Internazionale di Genetica, a Mosca.

Nel 1971 pubblica presso Boringhieri il trattato Genetica Generale. L’anno seguente, per Zanichelli, l’operetta divulgativa Vita coniugale dei batteri; ma contemporaneamente comincia a riflettere sul significato della scienza e la sua inadeguatezza per i bisogni fondamentali dell’essere umano. Scrive cosí anche i due saggi critici e politicamente radicali Il crepuscolo dello scientismo9 e La mela di Adamo, la mela di Newton,10 testi sostenuti da una cultura umanistica e scientifica di grande respiro europeo. In essi contesta la riduzione della scienza ad una convenzione strumentale per il dominio tecnico, preorientata in gran parte da cornici di natura extrascientifica (per citarne alcuni: il capitale, l’industria, il mito del Progresso, la guerra).

L’ideale ricerca della verità della scienza viene stravolta nei fatti e ridotta a ricerca dell’utile economico, dell’oppressione, e dello sterminio. Sermonti mostra anche con esempi

tratti dalla storia della medicina e della chimica che i successi con i quali la scienza accademico-industriale giustifica se stessa, sono quasi sempre dovuti all’appropriazione di conoscenze pre-scientifiche spacciate poi per prodotti di laboratorio, o a sviluppi dell’industria bellica. Ad es. l’aspirina, «rubata» alla saggezza popolare antica che ne usava il principio, contenuto nelle foglie di salice, già duemila anni fa; o gli insetticidi, nati dalle fabbriche riconvertite di armi chimiche. Il darwinismo — un’ideologia ereditata dall’economista Malthus, piuttosto che una visione scientifica basata su dati positivi — è in qualche modo la sintesi di tale spirito perduto, l’essenza pregnante ed esemplare dello scientismo, cioè la tendenza autoritaria ad assolutizzare una razionalità scientifica confinata quale unica forma valida di pensiero, alla quale tutto dev’essere ridotto (in primo luogo la vita). Da qui l’invito di Sermonti all’esodo dalla forma mentis dello scienziato in carriera, trasformatosi in una sorta d’ibrido tra un tecnico, un uomo d’affari, e un sacerdote (o un poliziotto) dell’ordine capitalistico.

La reazione del pubblico fu di grande interesse: i libri ebbero numerose edizioni, che andarono tutte esaurite. La reazione di potenti colleghi accademici fu invece di tutt’altro verso. Il trasferimento alla cattedra di genetica dell’Università di Roma previsto di lí a poco — la famiglia aveva già traslocato — inspiegabilmente si blocca. Una serie di attacchi personali compaiono su L’Uni, e in lettere anonime recapitate al suo mentore scientifico in Gran Bretagna, il genetista Guido Pontecorvo. Il settimanale LEspresso, non pubblica la recensione de Il Crepuscolo dello scientismo scritta da Guido Ceronetti, che abbandonò la rivista. Approfittando del clima politico degli anni ’70, quando anche la casa editrice Rusconi cade oggetto di poco edificanti inviti ad erigerle intorno un «cordone sanitario», si organizza (in contumacia) una contestazione «studentesca» alle idee dell’Autore, accusato senza troppe spiegazioni di conservatorismo ideologico.

Sermonti non si arrende, e continua a scavare alle fondamenta della scienza. Concentrandosi sull’evoluzionismo neo-darwiniano, lo attacca dall’interno con un approccio strutturalista, e dall’esterno con una radicale critica epistemologica e socio-culturale. Sul fronte scientifico la battaglia si svolge in importanti sodalizi internazionali: dal 1980 egli assume infatti la direzione della Rivista di Biologia, una delle prime pubblicazioni biologiche al mondo, fondata nel 1919 da Ugo Polimanti, e la trasforma in un punto di riferimento mondiale per le piú valide idee biologiche non conformi; dal 1986, inoltre, si impegna nel Gruppo di Osaka per lo Studio delle Strutture Dinamiche (Osaka Group for the Study of Dynamic Struures) un progetto nato durante un importante convegno sullo strutturalismo in biologia presso la città giapponese di Osaka. Nel corso del convegno si affermò il termine «post-darwinismo»:11 affermando l’insoddisfazione verso la biologia darwiniana dominante, i partecipanti si dichiararono infatti piuttosto in continuità con autori che prediligevano lo studio dell’origine dinamica della forma, quali J. H. Woodger e C. H. Waddington, e dichiararono la necessità per la biologia di andare oltre il modello centrato sul determinismo genetico. Il gruppo era composto nel suo nucleo da Sermonti stesso, Dave Lambert, Brian C. Goodwin, Atuhiro Sibatani, Franco M. Scudo, Francisco J. Varela, Antonio Lima-de-Faria, Mae-Wan Ho, Lev V. Belousov, Jerry Webster, René Thom, Hugh Paterson. In seguito aderirono altri studiosi, tra i quali anche Stephen Jay Gould, innamorato del problema della forma. Di rilievo furono anche i contributi extradisciplinari, ad es. quelli dello straordinario fisico italiano Giuliano Preparata.12

In Russia qualcosa di simile stava accadendo con l’approccio nomogenetico, rappresentato da L. Berg, A. Ljubiščev, S. Meyen e altri, ispirati dall’alternativa del grande von Baer al darwinismo. Partecipando a entrambi, l’embriologo dell’Università di Mosca Lev Belousov, rappresenterà il trait-d’union fra le conferenze nomogenetiche della Scuola biologica russo-estone e gli incontri del Gruppo di Osaka che si svolgeranno negli anni successivi (Praga 1987, Cornwall 1988, Mosca 1989, Oaxtepec 1991, Potsdam 1993).

Giuseppe Sermonti, nella sua veste di direttore della Rivista di Biologia orienterà i propri sforzi controcorrente a favorire tale comunicazione tra le linee strutturaliste della biologia est-europea, giapponese e occidentale, dando cosí vita in Italia a un plesso fondamentale della presa di coscienza e della diffusione delle idee strutturaliste in biologia.13

Il 1986 è anche l’anno della pubblicazione di Dopo Darwin, di cui parleremo piú avanti, e quello in cui Sermonti decide di lasciare l’insegnamento universitario. Sul piano culturale e divulgativo l’impegno non è minore, con la pubblicazione di centinaia di elzeviri che nel corso degli anni compariranno sui quotidiani Il Tempo, Roma, Il Giornale e infine Il Foglio (compresa una divertita collaborazione al periodico Astra, in spregio del bigottismo di molti suoi colleghi che mai si «contaminerebbero» dialogando con chi crede all’astrologia), numerose conferenze, e la pubblicazione di sorprendenti volumi che punteggiano un percorso di ricerca vivace e multidisciplinare, intessuto di una scrittura bellissima.

Se già nel 1974 una deliziosa raccolta di fiabe su temi scientifici14 aveva dimostrato l’interesse dell’Autore per il significato e le simbologie della scienza nascoste nella tradizione delle favole (ad es. la storia di Biancaneve, nata in ambienti della Rühr come figura dell’estrazione dell’argento, «avvelenato» col cianuro e dormiente fino al «bacio» della fornace), nel biennio 1981–1982 compaiono due brevi saggi di intensa meditazione: Le forme della vita15 e Lanima scientifica.16 In particolare quest’ultimo, edito inizialmente in poche centinaia di copie, destò l’ammirazione di originali pensatori come Zolla («il capolavoro di Sermonti»), Panikkar (il teologo raccontò di non aver chiuso occhio per divorarlo in una notte) e Cattabiani, il quale, oramai in fin di vita per il cancro che lo affliggeva, pregò l’editore Marco Albertazzi (La Finestra) di ripubblicare «la gemma di Sermonti».17

(L’origine chimica delle fiabe).

L’anima scientifica è «una discussione sul metodo, una sorta di dialogo sui massimi sistemi, di cui uno è l’evoluzionismo e l’altro è la realtà».18 Vi scrive Sermonti:

Come insegnava Goethe, non dovremmo chiederci il perché ma il come delle cose. Nel chiedere il perché c’è un tacito presupposto che dietro ogni cosa ci sia un’intenzione, un proposito (appunto, un «perché») e quindi che ogni cosa sia scomposta o scomponibile in fini e strumenti, o mezzi di produzione, come un’azienda umana. Sotto tutto questo c’è una sottile mentalità ottimistica, economicistica, produttivistica. No. Il mondo opera su un’altra dimensione, galleggia nell’eterno, è sospeso nell’infinito, ed è per l’appunto questo spostarci nelle sue dimensioni incantate il piú raffinato e prezioso risultato della conoscenza, e non, al contrario, quello di rovesciare il mondo ai nostri piedi. ¶ Comprendere la realtà per rappresentazioni, per riferimenti a tipologie, vuol dire riceverla per simboli. [… Ma] una scienza che riceve la natura per simboli, che la interpreta

L’anima scientifica è «una discussione sul metodo, una sorta di dialogo sui massimi sistemi, di cui uno è l’evoluzionismo e l’altro è la realtà».18 Vi scrive Sermonti:

Come insegnava Goethe, non dovremmo chiederci il perché ma il come delle cose. Nel chiedere il perché c’è un tacito presupposto che dietro ogni cosa ci sia un’intenzione, un proposito (appunto, un «perché») e quindi che ogni cosa sia scomposta o scomponibile in fini e strumenti, o mezzi di produzione, come un’azienda umana. Sotto tutto questo c’è una sottile mentalità ottimistica, economicistica, produttivistica. No. Il mondo opera su un’altra dimensione, galleggia nell’eterno, è sospeso nell’infinito, ed è per l’appunto questo spostarci nelle sue dimensioni incantate il piú raffinato e prezioso risultato della conoscenza, e non, al contrario, quello di rovesciare il mondo ai nostri piedi. ¶ Comprendere la realtà per rappresentazioni, per riferimenti a tipologie, vuol dire riceverla per simboli. [… Ma] una scienza che riceve la natura per simboli, che la interpreta attraverso archetipi, si dispone ad offrirci una immagine delle cose che stranamente richiama quella di un’antica ermeneutica, oppure quella di una sacra rappresentazione. […] Gli scienziati hanno esplorato il mondo per innumerevoli ragioni e ispirazioni, con amore o con odio, con rispetto od arroganza, al servizio della verità o della menzogna. Ciò che semmai si può rimproverare loro è quello d’aver consentito (ma non tutti l’hanno fatto, specie tra i maggiori) a farsi rappresentare dai cavalieri dell’apocalisse, di aver accettato l’invito alla tavola del lupo, o anche d’essersi fatti commuovere dalle omelie di profeti travestiti. ¶ Non voglio processare l’umanità o me stesso, ma proporre una strada in cui trovo piú senso, piú garbo, piú saggezza che nelle piste della scienza ufficiale. E non sono certo io il primo a suggerirla. Io non faccio che ricercare un sentiero che piedi sapienti hanno percorso molto prima di me, e non ho mai ambito né pensato, né preteso, di saper fare qualcosa di piú di questo.19

Una delle grandi scoperte culturali di Sermonti: l’alfabeto nacque dalle costellazioni.
N

Nel 1980 era già uscita la principale opera sul darwinismo,20 scritta a due mani col giovane paleontologo Roberto Fondi21 il quale si dedicò alla seconda parte del volume dedicata all’applicazione dell’Evoluzione all’uomo. In essa si indaga l’aspetto ideologico nascosto sotto l’apparente obiettività scientifica della teoria dell’evoluzione per selezione naturale di Charles Darwin, che aveva mutuato l’idea fondamentale di «sopravvivenza del piú adatto» dalla «bibbia» dell’economicismo inglese del suo tempo, il Saggio sul principio della popolazione (1798) di Thomas Malthus. L’idea che il debole debba soccombere, e che la na

tura porti comunque, automaticamente, verso un miglioramento della specie, piaceva molto ai sostenitori del Progresso e del sistema capitalistico, allora in piena fioritura nel mercantilismo dell’impero britannico.

Se il darwinismo si impose, scalzando in breve tempo altre ipotesi e interpretazioni, si deve insomma soprattutto a fattori sociali ed economici, e non certo, come propugnano i divulgatori della teodicea darwiniana, a una «evoluzione» del sapere per selezione dell’idea migliore. In realtà è il concetto stesso di evoluzione a selezionare e rinforzare la cornice ideologica che l’ha a sua volta scelto, allevato e abbracciato: società mercantile e ideologia scientifica, entrambi frutto del medesimo modello capitalistico, si giustificano a vicenda. Di fronte a un simile incesto, la sola esistenza di altre valide spiegazioni del mondo biologico, genera sorpresa e un senso di liberazione intellettuale. Il libro di Sermonti destò dunque clamore, e in soli due anni conobbe cinque edizioni.

La ricca documentazione offriva per la prima volta ai lettori italiani la conoscenza di ricerche biologiche non darwiniane condotte in molti paesi, riabilitava la dignità scientifica della forma, e ribaltava l’idea di un’origine spontanea della vita e dello sviluppo graduale dal semplice al complesso, mostrando che la ricchezza delle forme viventi non è aumentata col progredire delle ere, e che non sono mai esistite incompiute «forme intermedie». La vita echeggia nel tempo variazioni di temi perenni, dentro l’architettura senza storia delle leggi naturali. Una rilevante appendice al dibattito verrà aggiunta da Sermonti cinque anni dopo, pubblicando La luna nel bosco, saggio sullorigine della scimmia,22 che contesta l’origine scimmiesca dell’uomo. Naturalmente Sermonti non vi abbraccia, come si è voluto far credere, una visione devoluzionista (l’idea cioè di una sorta di evoluzione al contrario, discendente, appunto una devoluzione, ad es. dall’uomo alla scimmia).

Egli riprende piuttosto l’esposizione della ricapitolazione e della pedomorfosi di Stephen Jay Gould,23 e la grande idea ologenetica di autori come Karl Ernst von Baer e Daniele Rosa, secondo la quale la completezza, la maggiore ricchezza d’informazione, la massima potenzialità, si trovano al principio piuttosto che alla fine della tassonomia, e lo svolgersi della filogenesi non fa che specificare, adattare a una funzione di nicchia specifica, ciò che era totipotente e dunque aspecifico. Queste tematiche si intrecciano al fenomeno della neotenia, cioè la «risalita» di certe specie verso i propri caratteri originari e potenziali, secondo quanto indicato da Kollman e Bolk. Per quest’ultimo, ad es., la nostra specie si distingue tra gli ominidi proprio per essere neotenica: «l’uomo, nel suo sviluppo fisico, è un feto di primate che è divenuto sessualmente maturo».24

L’origine dunque non va intesa in senso temporale e meccanicamente causale. In effetti «le origini» ricercate dalla scienza moderna, interessano poco:

Esse non sono le ragioni delle forme, ne sono puramente uno strumento, il fango primigenio che, anziché indicare, contraddice e si oppone alla forma che da esso sta per generarsi […] L’origine — nella tradizione di von Baer — è il piano generale entro di noi, è la classe entro cui siamo collocati nello spazio dei viventi.25

Possiamo affermare in tal senso che l’uomo è piú giovanile, piú vicino all’origine, degli antropoidi arrampicatori ben adattati al proprio pezzo di mondo. L’uomo, animale incompleto e senza nicchia, «creatura aurorale e primigenia», girovaga per il pianeta come l’adolescente del creato, alla ricerca di un’idea sempre al di là dell’orizzonte.

L’argomento verrà ripreso dall’Autore un ventennio dopo nel volume Dimenticare Darwin,26 una sorta di pacata ed elegantissima resa dei conti col vecchio avversario, davanti al tribunale del tempo. Con argomenti aggiornati alla letteratura scientifica del post-darwinismo e dei grandi colleghi di fronda coi quali ha potuto confrontarsi in tutto il mondo dopo l’edizione del primo libro, conferma le proprie conclusioni, e porge alle discipline della vita l’invito del matematico e filosofo Alfred N. Whitehead: «Una scienza incapace di dimenticare i propri fondatori è perduta». A conclusione della prefazione, Sermonti fra l’altro puntualizza:

“Per le riserve che nutro nei confronti dell’Evoluzionismo sono stato accusato d’essere un «creazionista». Non lo sono: se me lo si permette, aspirerei soltanto ad essere una creatura”.

 

(Per il resto del testo – e  le note – rimando alla rivista di Serafini, Il Covile:)

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