23 MARZO 1919 – 23 MARZO 2019: UN CENTENARIO SCOMODO – di Luigi Copertino

23 MARZO 1919 – 23 MARZO 2019: UN CENTENARIO SCOMODO

Il 23 marzo 1919, a Milano, in una sala concessa in affitto dall’industriale massone ed ebreo Cesare Goldmann, nascevano i “Fasci di Combattimento”. Oggi ricorre il centenario di quell’evento destinato a cambiare profondamente la struttura sociale dell’Italia e la storia del mondo intero.

In quella sala milanese cento anni fa si riunirono sindacalisti rivoluzionari, mazziniani, nazionalisti, anarchici, futuristi, socialisti massimalisti, interventisti di destra e di sinistra, sindacalisti corridoniani e altre componenti della sinistra eterodossa polemica verso il dottrinarismo del socialismo ufficiale. Dal quel congresso, di poche decine di uomini, che la stampa all’epoca quasi ignorò, nacque il cosiddetto “Programma di San Sepolcro”, dal nome della piazza del convegno, alla cui stesura collaborò il sindacalista rivoluzionario mazziniano Alceste De Ambris (che finì esule antifascista a Parigi). Era il manifesto politico del primo fascismo, quello di sinistra, socialista ma anche nazionalista democratico, con forti pulsioni anarchiche ed anticlericali. Basta leggere quel manifesto per toccare con mano l’essenza rivoluzionaria, nient’affatto conservatrice, del documento. In esso si parla di gestione operaia dei servizi pubblici, di espropriazione parziale delle ricchezze, di minimi salariali, di partecipazione dei lavoratori agli utili, di otto ore giornaliere di lavoro e di istituzione di consigli nazionali di tecnici del lavoro con poteri legislativi. Tutti temi che ritroveremo nell’ultimo documento promulgato dal fascismo morente e del quale diremo. Il lettore trova il Programma sansepolcrista nella sezione di “documentazione storica” sottostante.

I Fasci di Combattimento non ebbero successo elettorale. Fu così che Mussolini, mentre imperversava il cosiddetto “biennio rosso”, iniziò una virata verso destra. La Rivoluzione russa aveva dato motivo al partito socialista – di lì a poco a Livorno nel 1921 sarebbe nato da una sua costola il PCI (tra i fondatori quel Nicolino Bombacci che sarebbe morto a Salò in nome del socialismo fascista) – di mobilitare le masse nel generale malcontento del primo dopoguerra.

Come riconoscono, oggi, tutti gli storici più accreditati, da Renzo De Felice ad Emilio Gentile, la sinistra italiana non aveva in quegli anni alcuna effettiva possibilità di fare la rivoluzione come in Russia. I dirigenti del PSI – un partito che doveva la sua fisionomia proprio a Mussolini il quale, negli anni precedenti il primo conflitto mondiale, era stato determinante per il trionfo interno della corrente massimalista, contro i moderati, conquistando anche la direzione dell’“Avanti” – ben conoscevano i limiti della loro azione politica. Tuttavia non esitarono ad usare spregiudicatamente il mito della Rivoluzione d’Ottobre per spaventare la borghesia industriale ed agraria italiana.

La quale in effetti credette al pericolo rosso ed iniziò ad appoggiare quegli sparuti squadristi in camicia nera –  ossia la camicia sporca di carbone dei ferrovieri (questa l’origine socialista del “nero” fascista) – che, unici, si opponevano nelle piazze alle squadracce socialiste. La militarizzazione della politica non era stata una invenzione dei fascisti ma fu una caratteristica del tempo, ossia dell’immediato dopoguerra, che coinvolse anche il partito socialista ed i sindacati operai i quali organizzavano i loro militanti in squadre armate per il picchettaggio durante gli scioperi ed a scopo di intimidazione degli avversari politici o di classe.

I fascisti, la cui ideologia in gestazione mirava ad unire socialismo e nazionalismo, si opponevano al socialismo ufficiale perché internazionalista e non perché essi fossero reazionari ma finirono, inevitabilmente, in quelle circostanze storico-sociali per scivolare verso destra. La destra, attenzione!, nazionalista più che quella liberale. Ciò che consentì, sotto il profilo ideologico, questo scivolamento fu certamente il nazionalismo ma anche l’antiparlamentarismo corporativista-sindacalista che univa fascisti e nazionalisti, benché con esegesi divergenti circa il ruolo dei sindacati.

Tuttavia fu l’intera classe dirigente del vecchio liberalismo risorgimentale e monarchico ad individuare nei fascisti uno strumento utile per fermare la rivoluzione rossa che si credeva in atto. Mussolini, che ben conoscendolo dall’interno aveva perfettamente compreso le velleità rivoluzionarie del Partito Socialista, stette al gioco e – creando tensioni all’interno del fascismo più rivoluzionario – decise di aprire ai cosiddetti “fiancheggiatori di destra” che finirono per portarlo al potere nel 1922.

Nel frattempo, a Fiume, Gabriele D’Annunzio guidava l’avventura di un gruppo di sindacalisti mazziniani e rivoluzionari, tra i quali il già citato Alceste De Ambris, nel tentativo di sperimentare una nuova forma di democrazia sociale ed organica su base corporativo-sindacale. L’esperimento attirò l’attenzione di Lenin che inviò nella città istriana Cicerin, un commissario del popolo della Russia sovietica, nella speranza di fare di Fiume un centro insurrezionale europeo.

Al fianco di D’Annunzio vi erano anche alcuni nazionalisti ma il grosso dei legionari fiumani erano di estrazione sindacalista e perfino libertaria. Sono oggi noti agli storici l’uso di droghe e la sfrenata libertà sessuale che imperversarono nella città durante la reggenza dannunziana facendo il paio con la nuova estetica politica inventata dai legionari, lo stile rituale della mobilitazione delle masse. Dall’avventura fiumana nacque la cosiddetta “Carta del Carnaro”, la costituzione dello Stato del Libero Comune di Fiume, che Renzo De Felice ha giudicato estremamente avanzata nella linea del socialismo democratico risorgimentale. Vi si tratteggiava una organizzazione sociale corporativista, una sorta di democrazia sociale, che poi il fascismo riprese ma anche in parte edulcorò.

I testi di tale costituzione sono due. Il primo, molto più tecnicamente incisivo sotto il profilo giuridico, fu elaborato dal citato Alceste De Ambris. Il secondo ebbe per autore lo stesso D’Annunzio, il quale, ritoccando il testo del De Ambris, vi introdusse uno stile linguistico più aulico con forti richiami ideali, di tipo neo-medioevale, all’esperienza dei comuni italiani dell’età di mezzo – insieme all’evidente esaltazione di una religione civile neopaganeggiante (“Un grande popolo non è soltanto quello che crea il suo dio a sua simiglianza”; “la Decima Musa”; il “genio votivo”; “l’apparizione dell’uomo novissimo”) – ma senza cadere in illusorie nostalgie passatiste dato che, i contenuti politici, sociali ed economici anche della versione dannunziana, erano fortemente moderni e avanzati, ricalcando strettamente il testo del De Ambris. Nella sezione sottostante dedicata alla “documentazione storica” il lettore trova entrambi i testi della costituzione fiumana.

Nonostante il compromesso, svilente, con i “fiancheggiatori”, Mussolini, dal canto suo, non venne mai meno all’idea di realizzare quella rivoluzione sociale e socialista che era nel primo programma fascista. Il realismo politico e le contingenze concrete non permisero, a regime insediato, di arrivare fino in fondo ma sul piano dei principii ed in parte anche delle realizzazioni il fascismo al potere avviò un processo di modernizzazione dirigista dell’Italia ponendo le basi dello Stato sociale.

Questo sforzo trovò codificazione nella “Carta del Lavoro” del 1927, nella quale chi ben sa leggere trova anticipati i fondamenti sociali della Repubblica democratica ed antifascista del dopoguerra: dalla dichiarazione della proprietà come funzione sociale (ripresa dalla Carta del Carnaro ed espressione del rifiuto della concezione liberista ed esclusivamente privatista della proprietà) fino al contratto collettivo di lavoro con efficacia erga omnes ed alla funzione pubblica dei sindacati datoriali e dei lavoratori.

Anche la Carta del Lavoro ebbe più formulazioni: un primo testo, molto avanzato sulla strada di una democrazia sindacale corporativa più favorevole al lavoro che al capitale, fu elaborato da Giuseppe Bottai, mazziniano di sinistra (poi convertitosi alla fede cattolica), il ministro e l’intellettuale più colto della componente di sinistra del fascismo al potere; un secondo testo fu invece elaborato dal guardasigilli Alfredo Rocco, che rappresentò l’anima moderatamente “sociale” e piuttosto autoritaria del nazionalismo prefascista e socialisteggiante di Enrico Corradini. Rocco, in quanto proveniente da destra, era più sensibile alle pressioni della Confindustria sicché il suo testo era molto meno avanzato e più moderato di quello di Bottai. Alla fine Mussolini, sempre per non alienarsi i “fiancheggiatori”, scelse quest’ultimo non senza, però, integrarlo con importanti elementi presi dal testo di Bottai. Il testo finale è nella sezione di “documentazione storica” sottostante.

La Carta del Lavoro, con il suo esperimento corporativista, entusiasmò l’opinione pubblica mondiale ed ad essa guardarono, come ad un testo rivoluzionario ed ad un modo inedito di affrontare il problema sociale, noti intellettuali da Ezra Pound a George Bernard Shaw, da Thomas Stearn Eliot a Gilbert Keith Chesterton e tutta una schiera di filosofi, scrittori, artisti, scienziati di fama internazionale. Se, come ovvio, alla Carta del Lavoro si ispirarono i movimenti fascisti, che in quegli anni nascevano ovunque in Europa ed in tutto il mondo, non va dimenticato che ad essa guardarono anche le democrazie liberali. Franklin Delano Roosevelt la considerava un documento basilare per costruire una democrazia sociale ed inviò in Italia i suoi tecnici ad imparare la politica economica dirigista, messa in atto dal regime, per farne il nocciolo profondo del suo New Deal.

Anche i laburisti inglesi applaudirono alla “terza via” fascista e non a caso il capo della “British Union of Fascists”, sir Oswald Mosley, proveniva dal partito laburista. Il comunista francese Jacques Doriot fondò il Partito Popolare Francese ispirandosi dichiaratamente, in polemica con la vecchia “reazionaria” Action Francaise di Charles Maurras, a quello che, più tardi, lo scrittore “collabò” Drieu La Rchelle avrebbe definito “socialismo fascista” ed il poeta maurrasiano Robert Brasillach “fascismo immenso e rosso”.

Nel clima del Concordato del 1929 con la Chiesa, la Carta del Lavoro trovò anche la benedizione pontificia. Negli anni del regime, il fascismo, messo intelligentemente da parte l’antico anticlericalismo e individuata nel Cattolicesimo la religione nazionale, si mostrò, almeno in superficie, cattolicamente compatibile. Nel mondo cattolico si sperò perfino nel “battesimo” del regime. L’esperimento corporativista, del resto, rispondeva, per certi aspetti, agli ideali propri del cattolicesimo sociale maturati a partire dal XIX secolo in polemica con l’individualismo liberale e laicista della Rivoluzione Francese.

Nell’enciclica “Quadragesimo Anno” (1931) Pio XI approvò l’esperimento italiano non senza, tuttavia, criticarne l’impianto hegeliano per il quale i sindacati venivano quasi assorbiti, quali enti pubblici e strumento politico, nella struttura totalitaria dello Stato Etico. I cattolici che guardavano, per riformarlo, al corporativismo del regime – tra di essi Amintore Fanfani, giovane cattedratico di storia economica all’Università del Sacro Cuore, ma anche lo stesso fondatore di tale università, padre Agostino Gemelli, senza dimenticare che perfino il perseguitato Alcide De Gasperi dal suo rifugio in Vaticano scriveva, con lo pseudonimo di “Spectator”, articoli di critico elogio della politica sociale del regime cercando di distinguere il “corporativismo buono” da quello “cattivo” – ne chiedevano una riforma all’insegna del “libero sindacato nella professione corporativisticamente organizzata” (Carta di Malines). Ossia chiedevano la libertà di organizzazione sindacale pur all’interno delle corporazioni intese quali organi dello Stato corrispondenti ai settori dell’economia nazionale. Una riforma del corporativismo fascista nel senso auspicato dai cattolici avrebbe comportato, ad esempio, libere elezioni dei rappresentanti sindacali al posto delle nomine dall’alto. Un riformismo democratizzante similare, d’altronde, era anche l’obiettivo degli esponenti del fascismo di sinistra come Bottai.

E’ stato notato che l’inattuato articolo 39 della vigente Costituzione repubblicana, che sancisce il riconoscimento giuridico dei sindacati a base democratica e l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi di lavoro, così come l’articolo 99, che prevede un organo costituzionale quale il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), altro non sono che la democratizzazione o il tentativo di democratizzazione, secondo i voti dei cattolici formatisi negli anni del regime, delle strutture corporativiste ereditate del fascismo.

I successi internazionali ottenuti negli anni ’30 – conquista dell’Etiopia, guerra di Spagna – provocarono uno scontro tra l’Italia fascista e le democrazie occidentali con le quali il nostro Paese era politicamente alleato dai tempi della prima guerra mondiale. L’avversione francese ed inglese verso le aspirazioni coloniali italiane in Africa, indusse il regime fascista all’avvicinamento alla Germania nazista, con la cui ideologia – ci dice Renzo De Felice, il quale ritiene storicamente falsa l’espressione di uso comune “nazifascismo” – il fascismo aveva ben pochi punti in comune e molti altri assolutamente opposti. Fu l’avvio di un percorso che sarebbe sfociato in una tragedia. A partire dalle leggi razziali, gradualmente il regime iniziò a perdere il consenso popolare interno e quello internazionale.

L’avvicinamento alla Germania era, del resto, malvisto dalle stesse gerarchie del regime. Ad esso si opponevano, e cercarono di sabotarlo, i Bottai, i Grandi (come ambasciatore in Inghilterra, Dino grandi cercò di evitare l’estrema rottura con Londra) e perfino Galeazzo Ciano, il genero di Mussolini. Il punto stava nel fatto che il successo aveva montato la testa al duce. Mussolini iniziò, per davvero, a ritenersi infallibile, come recitava la propaganda di Leo Longanesi (“il Duce ha sempre ragione”).

Giuseppe Bottai ci ha lasciato testimonianza di questo mutamento psicologico nel capo del fascismo. Dopo la guerra etiopica, egli si recò da Mussolini per convincerlo – ora che il regime era ormai ben saldo ed al massimo del consenso popolare – ad avviare un graduale processo di liberalizzazione (Bottai sperava di trasformare la “provvisoria” dittatura in una democrazia sociale corporativa) ma invece dell’uomo, che aveva amato e stimato, trovò, innanzi a sé, fredda e glaciale, la statua, l’idolo delle masse.

Dalle stelle alle stalle! Tutti i Cesari o i Napoleoni prima o poi cadono dal piedistallo sul quale si sono o sono stati innalzati. Anche Mussolini.

Con la Repubblica Sociale il fascismo tornò idealmente alle origini socialiste. Nelle intenzioni dei suoi costituenti, l’estremo Stato fascista avrebbe dovuto prefigurare una repubblica presidenziale democratica, con progressiva liberalizzazione della stampa e dei partiti di opposizione, ed una democrazia sociale, per certi versi mazziniana (Giovanni Spadolini, come tanti insospettabili del dopoguerra, aveva aderito alla RSI) e per altri “fiumana”. La “socializzazione delle imprese”, promossa dal fascismo repubblicano, voleva inaugurare un assetto co-gestionario dell’economia nel quale i lavoratori sarebbero stati chiamati a partecipare alla gestione ed agli utili aziendali, nel ripristino della libertà sindacale.

Il documento politico, vera e propria costituzione della Repubblica Sociale Italiana, che consacrò questo ritorno alle origini fu il cosiddetto “Manifesto dei 18 punti di Verona”, partorito dal primo ed unico Congresso del Partito Fascista Repubblicano svoltosi nella città scaligera dal 14 al 15 novembre 1943. Il documento è nella sezione di documentazione storica sottostante. Esso sancisce la costituzione dei consigli di cogestione aziendale tra datori di lavoro e lavoratori – un principio che ritroviamo, per volontà dei costituenti di ispirazione cattolica, nell’inattuato articolo 46 della vigente costituzione repubblicana (la cogestione, detta codeterminazione, nel dopoguerra ha invece trovato applicazione nella Germania socialdemocratica e nei Paesi scandinavi) – e l’estromissione dall’amministrazione delle imprese del capitale finanziario il cui ruolo veniva ridotto a quello di mero finanziatore dell’azienda. Inutile dire che i decreti attuativi della socializzazione delle imprese, intervenuti solo alla fine del 1944, furono sabotati dai nazisti e dagli industriali.

Come detto, Nicolino Bombacci, il “comunista in camicia nera” nonché fondatore insieme a Gramsci del PCI, aderì all’ultimo fascismo inseguendo il sogno della realizzazione del socialismo umano proposto dal disperato appello finale della sinistra fascista. Bombacci scelse Salò anche per un senso di gratitudine verso Mussolini che lo aveva personalmente  protetto ed aiutato, anche economicamente, negli anni del regime. Perché Mussolini era questo: un grande cinico, un abile e machiavellico stratega, un opportunista politico ma anche un uomo capace di grandi ideali e soprattutto di grandi atti di generosità che lasciavano trasparire un cuore non insensibile all’amore per il prossimo, forse ereditato dall’insegnamento religioso di sua madre, Rosa Maltoni, fervente cattolica, mai del tutto spentosi in lui (la questione sulla effettiva conversione in extremis del duce è da anni dibattuta dagli storici). Di questa generosità si accorse il suo vecchio amico repubblicano e socialista Pietro Nenni. Mussolini conosceva Nenni sin dalla giovinezza e nel 1914 lo aveva sostenuto dalle pagine de “L’Avanti” quando l’amico si ritrovò, insieme ad Alceste De Ambris, a guidare il moto rivoluzionario tosco-marchigiano-romagnolo detto della “settimana rossa”. Catturato nel 1944 dai tedeschi, Nenni fu liberato per il personale intervento di Mussolini e così salvò la pelle.

Con il Manifesto di Verona, Mussolini aveva l’intenzione di disseminare la pianura padana, ossia l’Italia industriale, di “mine sociali” anche per vendicarsi della Monarchia e degli industriali ma soprattutto perché sperava di poter avere ancora un ruolo politico nell’Italia del dopoguerra. Il ritorno al fascismo socialista, questa la sua illusione, avrebbe dovuto riaprire una possibilità di sopravvivenza politica ai tanti fascisti che durante gli anni del regime avevano inutilmente atteso “la seconda fase della rivoluzione”, quella nella quale si sarebbero fatti i conti con i fiancheggiatori espellendoli per realizzare il socialismo, ed ai tanti giovani che formatisi sotto il regime avevano creduto nella sua potenzialità rivoluzionaria e sociale e che lo avevano seguito a Salò.

Mussolini, alla fine, comprese che si trattava di una speranza senza fondamento. Fu però buon profeta. Infatti pare che, salvando dalla fucilazione alcuni democristiani, tra di essi vi era anche Enrico Mattei, catturati dai repubblichini, abbia pronosticato che soltanto la Chiesa ed i cattolici avrebbero potuto salvare le sorti dell’Italia nel dopoguerra. Chissà se in questa “profezia” ebbe un qualche ruolo la memoria delle sue schermaglie giornalistiche, nel Trentino ancora asburgico del primo ante guerra, quando, esule per motivi politici dall’Italia, dalle colonne del giornale irredentista, diretto dal suo amico socialista Cesare Battisti, egli polemizzava con l’esponente del cattolicesimo sociale altoatesino Alcide De Gasperi chiamandolo “austriacante”.

Il “Manifesto di Verona”, costituzione inattuata di uno Stato che ebbe vita breve, diventò il primo documento programmatico della formazione politica alla quale, il 26 dicembre 1946, i fascisti, ormai orfani di Mussolini ed “esuli in Patria”, diedero vita ossia il Movimento Sociale Italiano, che sin dal nome richiamava l’esperienza della Repubblica Sociale. Ma i vecchi vizi che già furono del fascismo storico, ossia la tendenza nell’impossibilità di “sfondare a sinistra” al patteggiamento con le forze conservatrici di destra, che nel dopoguerra erano oltretutto filoamericane ossia in politica estera schierate con i nemici bellici del fascismo repubblicano, sono riapparsi anche nel MSI.

In quel partito, infatti, ad una base, soprattutto giovanile, nutrita agli ideali del socialismo nazionale, antiamericana e terzaforzista, ossia contraria sia al capitalismo occidentale che al comunismo sovietico, in nome del mito – ereditato dall’europeismo nazionalsocialista – dell’“Europa Nazione”, e che la socializzazione ancora invocava nei suoi slogan del tipo “Italia, Socializzazione, Rivoluzione”, ha sempre corrisposto una classe dirigente missina dedita al traccheggiamento, nel sottobosco parlamentare e ministeriale, con qualunque forza conservatrice in virtù del solo anticomunismo tanto più becero quanto più ribollente degli umori non sopiti della guerra civile.

Mentre i giovani neofascisti sognavano ancora la realizzazione dello “Stato Nazionale del Lavoro” e della “Patria Socialista”, i loro dirigenti flirtavano con monarchici, liberali, democristiani di destra. Questo spiega, negli anni del secondo dopoguerra, la formazione al di fuori del Msi, partito riconosciuto obtorto collo come legale nell’Italia repubblicana, di organizzazioni più radicali ed extraparlamentari, ben presto diventate a loro volta manovalanza delle strategie occulte dei servizi segreti e della Cia che le infiltrarono per trasformarle in gruppi di bombaroli e stragisti. I più intellettuali ed intelligenti tra quei giovani neofascisti presero, invece, la strada della diaspora culturale, nei campi del giornalismo, dell’università, dell’editoria.

L’immagine di “partito d’ordine” che la dirigenza missina conferì al Msi, immagine che disgustava la sua base giovanile interna, preparò il parto negli anni ’90, con la fine della prima Repubblica, di una forza nazional-conservatrice di stampo liberale, ossia Alleanza Nazionale, che diventò l’alleato principale della discesa in campo, pro domo sua, di Silvio Berlusconi. In AN la dicotomia tra “sociali” e “conservatori” si riprodusse. Se da un lato una delle sue componenti si identificava con la “destra sociale” dall’altro lato l’altra componente sentiva sé stessa semplicemente come neo-liberale. L’attuale partito di Fratelli d’Italia è l’erede di Alleanza Nazionale e benché, sull’onda del sovranismo populista, abbia dato l’impressione di voler riprendere certi temi da “destra sociale” in realtà, more solito, sta anch’esso sbandando verso il conservatorismo nazionale come dimostra l’adesione al trumpismo ed all’orbanismo. Più di sinistra fascista appaiono, nel panorama politico attuale, gruppi come Casapound. Del resto proprio la mancanza di ogni idea, anche minima, di socialismo nazionale, tutto riducendosi al solo nazionalismo neoconservatore, è la caratteristica emergente del sovranismo attuale.

Luigi Copertino

 

DOCUMENTAZIONE STORICA

IL MANIFESTO DEI FASCI DI COMBATTIMENTO (1919) – PROGRAMMA DI SAN SEPOLCRO.

Italiani! Ecco il programma di un movimento genuinamente italiano. Rivoluzionario perché antidogmatico; fortemente innovatore antipregiudiziaiolo.

Per il problema politico:

Noi vogliamo:
a) Suffragio universale a scrutinio di lista regionale, con rappresentanza proporzionale, voto ed eleggibilità per le donne.
b) Il minimo di età per gli elettori abbassato ai I 8 anni; quello per i deputati abbassato ai 25 anni.
c) L’abolizione del Senato.
d) La convocazione di una Assemblea Nazionale per la durata di tre anni, il cui primo compito sia quello di stabilire la forma di costituzione dello Stato.
e) La formazione di Consigli Nazionali tecnici del lavoro, dell’industria, dei trasporti, dell’igiene sociale, delle comunicazioni, ecc. eletti dalle collettività professionali o di mestiere, con poteri legislativi, e diritto di eleggere un Commissario Generale con poteri di Ministro.

Per il problema sociale:
Noi vogliamo:
a) La sollecita promulgazione di una legge dello Stato che sancisca per tutti i lavori la giornata legale di otto ore di lavoro.
b) I minimi di paga.
c) La partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell’industria.
d) L’affidamento alle stesse organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie o servizi pubblici.
e) La rapida e completa sistemazione dei ferrovieri e di tutte le industrie dei trasporti.
f) Una necessaria modificazione del progetto di legge di assicurazione sulla invalidità e sulla vecchiaia abbassando il limite di età, proposto attualmente a 65 anni, a 55 anni.

Per il problema militare:
Noi vogliamo:
a) L’istituzione di una milizia nazionale con brevi servizi di istruzione e compito esclusivamente difensivo.
b) La nazionalizzazione di tutte le fabbriche di armi e di esplosivi.
c) Una politica estera nazionale intesa a valorizzare, nelle competizioni pacifiche della civiltà, la Nazione italiana nel mondo.

Per il problema finanziario:
Noi vogliamo:
a) Una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, che abbia la forma di vera espropriazione parziale di tutte le ricchezze.
b) II sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l’abolizione di tutte le mense Vescovili che costituiscono una enorme passività per la Nazione e un privilegio di pochi.
c) La revisione di tutti i contratti di forniture di guerra ed il sequestro dell’ 85% dei profitti di guerra.

(«II popolo d’Italia», 6 giugno 1919)

 

CARTA DEL CARNARO 1920 – TESTO PREDISPOSTO DA ALCESTE DE AMBRIS

Premessa

Il Popolo della Libera Città di Fiume, in nome delle sue secolari franchigie e dell’inalienabile diritto di autodecisione, riconferma di voler far parte integrante dello Stato Italiano mediante un esplicito atto d’annessione; ma poiché l’altrui prepotenza gli vieta per ora il compimento di questa legittima volontà, delibera di darsi una Costituzione per l’ordinamento politico ed amministrativo del Territorio (Città, Porto e Distretto) già formante il “corpus separatum” annesso alla corona ungarica, e degli altri territori adriatici che intendono seguirne le sorti.

Parte generale

Art. 1 – La Libera Città di Fiume, col suo porto e distretto, nel pieno possesso della propria sovranità, costituisce unitamente ai territori che dichiarano e dichiareranno di volerle essere uniti, la Repubblica del Carnaro.

Art. 2 – La Repubblica del Carnaro è una democrazia diretta che ha per base il lavoro produttivo e come criterio organico le più larghe autonomie funzionali e locali.

Essa conferma perciò la sovranità collettiva di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione; ma riconosce maggiori diritti ai produttori e decentra per quanto è possibile i poteri dello Stato, onde assicurare l’armonica convivenza degli elementi che la compongono.

Art. 3 – La Repubblica si propone inoltre di provvedere alla difesa dell’indipendenza, della libertà e dei diritti comuni, di promuovere una più alta dignità morale ed una maggiore prosperità materiale di tutti i cittadini; di assicurare l’ordine interno con la giustizia.

Art. 4 – Tutti i cittadini della Repubblica senza distinzione di sesso sono uguali davanti alla legge. Nessuno può essere menomato o privato dell’esercizio dei diritti riconosciuti dalla Costituzione se non dietro regolare giudizio e sentenza di condanna.

La Costituzione garantisce a tutti i cittadini l’esercizio delle fondamentali libertà di pensiero, di parola, di stampa, di riunione e di associazione. Tutti i culti religiosi sono ammessi; ma le opinioni religiose non possono essere invocate per sottrarsi all’adempimento dei doveri prescritti dalla legge.

L’abuso delle libertà costituzionali per scopi illeciti e contrari alla convivenza civile può essere punito in base a leggi apposite, le quali però non potranno mai ledere il principio essenziale delle libertà stesse.

Art. 5 – La Costituzione garantisce inoltre a tutti i cittadini senza distinzione di sesso, l’istruzione primaria, il lavoro compensato con un minimo di salario sufficiente alla vita, l’assistenza in caso di malattia o d’involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia, l’uso dei beni legittimamente acquistati, l’inviolabilità del domicilio, l’habeas corpus, il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario o di abuso di potere.

Art. 6 – La Repubblica considera la proprietà come una funzione sociale, non come un assoluto diritto o privilegio individuale. Perciò il solo titolo legittimo di proprietà su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è il lavoro che rende la proprietà stessa fruttifera a beneficio dell’economia generale.

Art. 7 – Il porto e le ferrovie comprese nel territorio della Repubblica sono proprietà perpetua ed inalienabile dello Stato con un ordinamento autonomo tale da consentire a tutti i popoli amici che ne hanno bisogno di servirsene con garanzia di assoluta parità di diritti commerciali con i cittadini fiumani.

Art. 8 – Una Banca della Repubblica controllata dallo Stato avrà l’incarico dell’emissione della carta-moneta e di tutte le altre operazioni bancarie. Un’apposita legge ne regolerà il funzionamento e stabilirà i diritti e gli oneri delle banche esistenti o che intendessero stabilirsi nel territorio della Repubblica.

Art. 9 – L’esercizio delle industrie, delle professioni e dei mestieri è libero per tutti i cittadini della Repubblica. Le industrie stabilite o da stabilirsi con capitale straniero saranno soggette alle norme di una legge speciale che regolerà pure l’esercizio professionale degli stranieri.

Art. 10 – Tre elementi concorrono a formare le basi costituzionali della Repubblica:

a) i Cittadini;

b) le Corporazioni;

c) i Comuni.

Dei cittadini

Art. 11 – Sono cittadini della Repubblica tutti gli attuali cittadini della Libera Città di Fiume e degli altri territori che ad essa dichiarano di volersi unire; tutti coloro cui venga conferita la cittadinanza per meriti speciali; tutti coloro che ne faranno domanda, quando questa sia accettata dagli organi competenti, in base alla apposita legge.

Art. 12 – I cittadini della Repubblica entrano nel pieno possesso di tutti i diritti civili e politici non appena compiuto il ventesimo anno di età, diventando perciò elettori ed eleggibili per tutte le cariche pubbliche senza distinzione di sesso. Saranno tuttavia privati dei diritti politici, con regolare sentenza, tutti quei cittadini:

a) che risultano condannati a pene infamanti;

b) che rifiutano di prestare il servizio militare per la difesa del paese o di pagare le tasse;

c) che vivono parassitariamente a carico della collettività, salvo casi d’incapacità fisica al lavoro dovuta a malattia od a vecchiaia.

Delle corporazioni

Art. 13 – I cittadini che concorrono alla prosperità materiale ed allo sviluppo civile della Repubblica con un continuativo lavoro manuale ed intellettuale sono considerati cittadini produttivi e sono obbligatoriamente inscritti in una delle seguenti categorie, che costituiscono altrettante corporazioni, e cioè:

la. Operai salariati dell’industria, dell’agricoltura, del commercio e dei trasporti. A questa categoria appartengono pure i piccoli artigiani ed i piccoli proprietari di terre che non hanno dipendenti se non in limitatissimo numero o come aiuto saltuario e temporaneo.

2a. Personale tecnico ed amministrativo di aziende private industriali ed agricole, purché non si tratti di comproprietarii delle aziende stesse.

3a. Addetti alle aziende commerciali non operai propriamente detti, purché non si tratti di comproprietarii delle aziende stesse.

4a. Datori di lavoro dell’industria, dell’agricoltura, del commercio e dei trasporti. S’intendono datori di lavoro coloro che, essendo proprietarii o comproprietarii di aziende, si occupano personalmente direttamente e continuativamente della gestione delle aziende stesse.

5a. Impiegati pubblici statali e comunali di qualsiasi ordine.

6a. Insegnanti delle scuole pubbliche e studenti degli istituti superiori.

7a. Esercenti professioni libere non comprese nelle 5 categorie precedenti.

Le cooperative di produzione, lavoro e consumo tanto agricole che industriali costituiscono esse pure una corporazione che può essere rappresentata esclusivamente dagli amministratori delle cooperative stesse.

Art. 14 – Le corporazioni godono di piena autonomia per quanto riguarda la loro organizzazione e funzionamento interno. Esse hanno il diritto d’imporre una tassa commisurata sul salario, stipendio profitto d’azienda, o lucro professionale degli inscritti, per provvedere ai propri bisogni finanziari. Le corporazioni hanno pure il diritto di possedere in nome collettivo beni di qualsiasi specie.

I rapporti della Repubblica con le corporazioni e delle corporazioni fra loro sono regolati dalle norme contemplate agli art. 16, 17 e 18 della presente Costituzione per i rapporti fra i poteri centrali della Repubblica e i Comuni, e dei Comuni fra loro.

Gli inscritti a ciascuna corporazione costituiscono un corpo elettorale per l’elezione dei propri rappresentanti al Consiglio Economico secondo le norme fissate dall’art. 23 della Costituzione.

Dei Comuni

Art. 15 – I Comuni sono autonomi fin dove l’autonomia non è limitata dalla Costituzione ed esercitano tutti i poteri che non sono da questa attribuiti agli organi legislativi esecutivi e giudiziari della Repubblica.

Art. 16 – I Comuni sono in diritto di darsi quella Costituzione interna che ritengono migliore; ma devono chiedere per le loro costituzioni la garanzia della Repubblica che l’assume quando:

a) esse nulla contengono di contrario alle prescrizioni della Costituzione della Repubblica;

b) risultino accettate dal popolo e possano essere riformate quando la maggioranza assoluta dei cittadini lo richieda.

Art. 17 – I Comuni hanno diritto di stipulare fra loro accordi, convenzioni e trattati sopra oggetti di legislazione e di amministrazione; però devono presentarli all’esame del potere esecutivo della Repubblica, il quale, se ritiene che tali accordi, convenzioni o trattati siano in contrasto con la Costituzione della Repubblica o con i diritti di altri Comuni, li rimanda al giudizio della Corte Suprema che può dichiararne l’incostituzionalità. In tal caso il potere esecutivo della Repubblica è autorizzato ad impedirne l’esecuzione.

Art. 18 – Allorché l’ordine interno di un Comune è turbato o quando è minacciato da un altro Comune, il potere esecutivo della Repubblica è autorizzato ad intervenire:

a) se l’intervento è richiesto dalle autorità del Comune interessato;

b) se l’intervento è richiesto da un terzo dei cittadini in possesso dei diritti politici del Comune stesso.

Art. 19 – I Comuni hanno segnatamente il diritto:

a) di organizzare l’istruzione primaria in base alle norme stabilite dall’art. 38 della Costituzione;

b) di nominare i giudici comunali;

c) di organizzare e mantenere la polizia comunale;

d) d’imporre tasse;

e) di contrarre prestiti nel territorio della Repubblica. Quando invece tali prestiti devono essere contratti all’estero occorre la garanzia del governo che la concede soltanto in caso di riconosciuta necessità.

Del potere legislativo

Art. 20 – Il potere legislativo è esercitato da due corpi elettivi:

a) La Camera dei Rappresentanti;

b) Il Consiglio Economico.

Art. 21 – La Camera dei Rappresentanti viene eletta a suffragio universale diretto e segreto da tutti i cittadini della Repubblica che hanno compiuto il 20° anno di età e che sono in possesso dei diritti politici. Ogni cittadino della Repubblica avente diritto a voto è eleggibile a membro della Camera dei Rappresentanti.

I rappresentanti vengono eletti per un periodo di tre anni, in ragione di uno ogni mille elettori ed in ogni caso in numero non inferiore a 30. Tutti gli elettori formano un unico corpo elettorale e l’elezione si compie a suffragio universale segreto e diretto col sistema della rappresentanza proporzionale.

Art. 22 – La Camera dei Rappresentanti tratta e legifera sui seguenti oggetti che sono di sua competenza:

a) Codice Penale e Civile;

b) Polizia;

c) Difesa Nazionale;

d) Istruzione pubblica secondaria;

e) Belle Arti;

f) Rapporti dello Stato con i Comuni.

La Camera dei Rappresentanti si riunisce ordinariamente una volta all’anno nel mese di ottobre.

Art. 23 – Il Consiglio Economico si compone di 60 membri eletti nelle seguenti proporzioni a suffragio universale segreto e diretto, col sistema della rappresentanza proporzionale:

15 dagli operai e lavoratori della terra;

15 dai datori di lavoro;

5 dai tecnici industriali ed agricoli;

5 dagli impiegati amministrativi delle aziende private;

5 dagli insegnanti delle scuole pubbliche e dagli studenti degli istituti superiori;

5 dai professionisti liberi;

5 da impiegati pubblici;

5 dalle cooperative di lavoro e di consumo.

Art. 24 – I membri del Consiglio Economico vengono eletti per un periodo di due anni. Per essere eleggibili occorre appartenere alla categoria rappresentata.

Art. 25 – Il Consiglio Economico si aduna ordinariamente due volte all’anno, nei mesi di maggio e di novembre, per trattare e legiferare sui seguenti oggetti, che sono di sua competenza:

a) Codice Commerciale e Marittimo;

b) Disciplina del lavoro;

c) Trasporti;

d) Lavori pubblici;

e) Trattati di commercio, dogane, ecc.;

f) Istruzione tecnica e professionale;

g) Legislazione sulle Banche, sulle Industrie e sull’esercizio delle professioni e mestieri.

Art. 26 – La Camera dei Rappresentanti ed il Consiglio Economico si riuniscono insieme una volta all’anno nella prima quindicina di dicembre formando l’Assemblea Nazionale, che tratta e legifera sui seguenti oggetti di sua competenza:

a) rapporti internazionali;

b) finanza e tesoro della Repubblica;

c) istruzione superiore;

d) revisione della Costituzione.

Del potere esecutivo

Art. 27 – Il potere esecutivo della Repubblica si compone di sette Commissari eletti nel modo che segue:

Presidenza e Affari Esteri, Finanza e Tesoro, Istruzione pubblica: dall’Assemblea Nazionale;

Interni e Giustizia, Difesa Nazionale: dalla Camera dei Rappresentanti;

Lavoro, Economia pubblica: dal Consiglio Economico.

Art. 28 – Il potere esecutivo siede in permanenza e delibera collettivamente su tutti gli oggetti che non siano d’ordinaria amministrazione. Il Presidente rappresenta la Repubblica di fronte agli altri paesi, dirige le discussioni ed ha voto decisivo in caso di parità. I Commissari sono eletti per un anno e sono rieleggibili per una volta soltanto. Dopo l’interruzione di un anno possono però essere nuovamente eletti.

Del potere giudiziario

Art. 29 – Il potere giudiziario si compone:

a) dei giudici municipali;

b) dei giudici del lavoro;

c) dei giudici di secondo grado;

d) della giuria;

e) della Corte Suprema.

Art. 30 – I giudici municipali giudicano sulle controversie civili e commerciali fino al valore di cinquemila lire e sui crimini che importano pene non superiori ad un anno. I giudici di primo grado sono eletti in proporzione della popolazione da tutti gli elettori dei vari comuni.

Art. 31 – I giudici del lavoro giudicano sulle controversie individuali fra salariati o stipendiati e datori di lavoro. Essi costituiscono uno o più collegi di giudici eletti dalle Corporazioni che eleggono il Consiglio Economico, nelle seguenti proporzioni: due dagli operai industriali e dai lavoratori della terra, due dai datori di lavoro, uno dai tecnici industriali ed agricoli, uno dai professionisti liberi, uno dagli impiegati amministrativi delle aziende private, uno dagli impiegati pubblici, uno dagli insegnanti pubblici e dagli studenti degli istituti superiori, uno dalle cooperative di lavoro e di consumo. Ogni collegio di giudici del lavoro si divide in sezioni, per il più sollecito disbrigo dei giudizi. Le sezioni riunite costituiscono il giudizio di appello.

Art. 32 – I giudici di secondo grado giudicano su tutte le questioni civili, commerciali e penali che non sono di competenza dei giudici municipali e dei giudici del lavoro – (salve quelle di spettanza della giuria) – e funzionano da Tribunale d’Appello per le sentenze dei giudici municipali. I giudici di secondo grado sono scelti in base a concorso dalla Corte Suprema, fra i cittadini muniti della laurea di dottore in legge.

Art. 33 – Tutti i delitti politici e tutti i crimini e delitti che comportano la privazione della libertà personale per un tempo superiore ai tre anni sono giudicati da una giuria composta di sette cittadini assistiti da due supplenti e presieduti da un giudice di secondo grado.

Art. 34 – La Corte Suprema viene eletta dall’Assemblea Nazionale e si compone di 5 membri effettivi e due supplenti. Almeno due dei membri effettivi ed un supplente dovranno essere muniti della laurea di dottore in legge.

La Corte Suprema è competente a giudicare:

a) sulla costituzionalità degli atti dei poteri legislativo ed esecutivo;

b) su tutti i conflitti di carattere costituzionale fra i poteri legislativo ed esecutivo, fra la Repubblica ed i Comuni, fra i Comuni fra loro, fra la Repubblica e Corporazioni o privati, fra i Comuni e Corporazioni o privati;

c) sui casi di alto tradimento contro la Repubblica ad opera di membri del potere legislativo o esecutivo;

d) sui crimini e delitti contro il diritto delle genti;

e) nelle contestazioni civili fra la Repubblica ed i Comuni; fra i Comuni tra loro;

f) sui casi di responsabilità dei membri dei poteri della Repubblica e di funzionari;

g) nelle questioni circa i diritti di cittadinanza e circa i privi di patria.

La Corte Suprema giudica inoltre le questioni di competenza fra i vari organi giudiziari, rivede in ultima istanza le sentenze pronunziate da questi, e nomina i giudici di secondo grado in base a concorso.

I membri della Corte Suprema non possono coprire alcuna altra carica, neppure nei rispettivi comuni, né esercitare qualsiasi altra professione, industria o mestiere per tutta la durata della carica.

Del Comandante

Art. 34 – In caso di grave pericolo per la Repubblica l’Assemblea Nazionale può nominare un Comandante per un periodo non superiore ai sei mesi. Il Comandante durante il periodo in cui rimane in carica esercita tutti i poteri politici e militari, sia legislativi che esecutivi. I membri del potere esecutivo funzionano come suoi segretari. Può essere eletto Comandante qualunque cittadino, nel possesso dei diritti politici, facente parte o no dei poteri della Repubblica.

Allo spirare del termine fissato per la durata della carica del Comandante, l’Assemblea Nazionale si riunisce nuovamente e delibera sulla conferma in carica del Comandante stesso, sulla sua eventuale sostituzione o sulla cessazione della carica.

Della difesa nazionale

Art. 35 – Tutti i cittadini della Repubblica, senza distinzione di sesso, sono obbligati al servizio militare nell’età dai 17 ai 52 anni per la difesa della Repubblica.

Gli uomini dichiarati validi presteranno questo servizio nelle varie armi dell’esercito. Le donne e gli uomini non validi saranno adibiti, secondo le loro attitudini, ai servizi ausiliari, amministrativi e di sanità.

Tutti coloro che a causa del servizio militare perdono la vita o soggiacciono ad un’imperfezione fisica permanente, hanno diritto per sé e per le loro famiglie in caso di bisogno, al soccorso della Repubblica.

Art. 36 – La Repubblica non può mantenere truppe permanenti. L’esercito e la flotta della Repubblica saranno organizzati sulla base della Nazione Armata con apposita legge. I cittadini prestano il servizio militare soltanto per i periodi d’istruzione od in caso di guerra per la difesa del paese.

Il cittadino non perde nessuno dei suoi diritti civili e politici durante i periodi d’istruzione o quando venga chiamato in servizio per la difesa della Repubblica, salve le necessità del servizio militare.

Dell’istruzione pubblica

Art. 37 – La Repubblica considera come il più alto dei suoi doveri l’istruzione e l’educazione del popolo, non soltanto per quel che riguarda la scuola primaria o professionale, ma anche per le manifestazioni superiori della scienza e dell’arte, che devono essere rese accessibili a tutti coloro che dimostrano capacità d’intenderle.

Le scuole superiori esistenti verranno perciò riunite in un’Università libera e completate con nuovi corsi e facoltà, in base ad una apposita legge la quale dovrà contemplare puranche la istituzione di una scuola di Belle Arti e di un Conservatorio Musicale.

Art. 38 – L’organizzazione delle Scuole medie e affidata alla Camera dei Rappresentanti e quella delle Scuole tecniche e professionali al Consiglio Economico. Nelle Scuole medie sarà obbligatorio l’insegnamento delle diverse lingue parlate nel territorio della Repubblica.

L’istruzione primaria è gratuita ed obbligatoria. Essa resta affidata ai Comuni che la organizzano in base a programmi stabiliti da un Comitato di Istruzione primaria composto di un rappresentante per ciascun comune, di due rappresentanti delle scuole medie, di due rappresentanti delle scuole tecniche professionali, e di due rappresentanti degli istituti superiori, eletti dagli insegnanti e dagli studenti.

L’insegnamento primario verrà impartito nella lingua parlata dalla maggioranza degli abitanti di ciascun comune accertata, ove occorra, per mezzo di referendum; ma fra le materie d’insegnamento dovrà in ogni caso essere compresa la lingua parlata dalla minoranza. Inoltre quando lo richieda un numero di alunni sufficiente, a giudizio del Comitato per l’istruzione primaria, il Comune sarà obbligato ad istituire corsi paralleli nella lingua parlata dalla minoranza.

In caso di rifiuto da parte del Comune, il Governo della Repubblica ha diritto d’istituire esso stesso i corsi paralleli caricandone la spesa al Comune.

Art. 39 – Le scuole pubbliche devono poter essere frequentate dai seguaci di tutte le confessioni religiose e da chi non professa nessuna religione, senza pregiudizio della libertà di coscienza di chicchessia.

Della revisione costituzionale

Art. 40 – Ogni dieci anni l’Assemblea Generale si riunisce in sessione straordinaria per la riforma della Costituzione.

La Costituzione può però esser riformata in ogni tempo:

a) quando lo chieda uno dei due rami del potere legislativo;

b) quando lo chieda almeno un terzo dei cittadini aventi diritto al voto di cui all’art. 12.

Sono in diritto di proporre modificazioni alla Costituzione:

a) i membri dell’Assemblea Nazionale;

b) le rappresentanze dei Comuni;

c) la Suprema Corte;

d) le Corporazioni.

Del diritto d’iniziativa

Art. 41 – I componenti dei corpi elettorali hanno diritto di proporre leggi di loro iniziativa sulle materie spettanti ai rispettivi corpi legislativi, purché l’iniziativa sia proposta da almeno un quarto dei componenti il corpo elettorale competente.

Del referendum

Art. 42 – Tutte le leggi approvate dai due rami del potere legislativo possono essere sottoposte a referendum quando questo sia chiesto da un numero di elettori non inferiore ad un quarto dei cittadini aventi diritto al voto.

Del diritto di petizione

Art. 43 – Tutti i cittadini hanno diritto di petizione in confronto dei corpi legislativi che hanno diritto di eleggere.

Incompatibilità

Art. 44 – Nessuno può esercitare più di un potere o far parte contemporaneamente di due corpi legislativi.

Revocabilità

Art. 45 – Tutte le cariche sono revocabili:

a) quando gli eletti perdano i diritti politici mediante sentenza confermata dalla Corte Suprema;

b) quando la metà più uno dei componenti il corpo elettorale voti regolarmente la revoca.

Responsabilità

Art. 46 – Tutti i membri dei poteri e tutti i funzionari della Repubblica sono penalmente e civilmente responsabili dei danni che possono derivare alla Repubblica, ai Comuni, alle Corporazioni od ai privati in caso di abuso o di trascuranza nell’adempimento dei propri doveri. La Corte Suprema giudica su questi casi. I membri della Corte Suprema sono giudicati in questi casi dall’Assemblea Nazionale.

Indennità

Art. 47 – Tutte le cariche contemplate dalla Costituzione sono retribuite mediante indennità da fissarsi per legge votata annualmente dall’Assemblea Nazionale.

FONTE: G. Negri e S. Simoni, Le Costituzioni inattuate, Editore Colombo, Roma 1990.

 

LA CARTA DEL CARNARO 1920  – TESTO DI GABRIELE D’ANNUNZIO

Della perpetua volontà popolare

Fiume, libero comune italico da secoli, pel voto unanime dei cittadini e per la voce legittima del Consiglio nazionale, dichiarò liberamente la sua dedizione piena e intiera alla madre patria, il 30 ottobre 1918. Il suo diritto è triplice, come l’armatura impenetrabile del mito romano. Fiume è l’estrema custode italica delle Giulie, è l’estrema rocca della cultura latina, è l’ultima portatrice del segno dantesco. Per lei, di secolo in secolo, di vicenda in vicenda, di lotta in lotta, di passione in passione, si serbò italiano il Carnaro di Dante. Da lei s’irraggiarono e s’irraggiano gli spiriti dell’italianità per le coste e per le isole, da Volosca a Laurana, da Moschiena ad Albona, da Veglia a Lussino, da Cherso ad Arbe. E questo è il suo diritto storico. Fiume, come già l’originaria Tarsàtica posta contro la testata australe del Vallo liburnico, sorge e si stende di qua dalle Giulie. È pienamente compresa entro quel cerchio che la tradizione la storia e la scienza confermano confine sacro d’Italia. E questo è il suo diritto terrestre. Fiume con tenacissimo volere, eroica nel superare patimenti insidie violenze d’ogni sorta, rivendica da due anni la libertà di scegliersi il suo destino e il suo compito, in forza di quel giusto principio dichiarato ai popoli da taluno dei suoi stessi avversari ingiusti. E questo è il suo diritto umano. Le contrastano il triplice diritto l’iniquità la cupidigia e la prepotenza straniere; a cui non si oppone la trista Italia, che lascia disconoscere e annientare la sua propria vittoria. Per ciò il popolo della libera città di Fiume, sempre fiso al suo fato latino e sempre inteso al compimento del suo voto legittimo, delibera di rinnovellare i suoi ordinamenti secondo lo spirito della sua vita nuova, non limitandoli al territorio che sotto il titolo di «Corpus separatum» era assegnato alla Corona ungarica, ma offrendoli alla fraterna elezione di quelle comunità adriatiche le quali desiderassero di rompere gli indugi, di scuotere l’opprimente tristezza e d’insorgere e di risorgere nel nome della nuova Italia. Così, nel nome della nuova Italia, il popolo di Fiume costituito in giustizia e in libertà fa giuramento di combattere con tutte le sue forze, fino all’estremo, per mantenere contro chiunque la contiguità della sua terra alla madre patria, assertore e difensore perpetuo dei termini alpini segnati da Dio e da Roma.

Dei fondamenti

I – Il popolo sovrano di Fiume, valendosi della sua sovranità non oppugnabile né violabile, fa centro del suo libero stato il suo «Corpus separatum», con tutte le sue strade ferrate e con l’intiero suo porto. Ma, come è fermo nel voler mantenere contigua la sua terra alla madre patria dalla parte di ponente, non rinunzia a un più giusto e più sicuro confine orientale che sia per essere determinato da prossime vicende politiche e da concordati conclusi coi comuni rurali e marittimi attratti dal regime del porto franco e dalla larghezza dei nuovi statuti.

II – La Reggenza italiana del Carnaro è costituita dalla terra di Fiume, dalle isole di antica tradizione veneta che per voto dichiarano di aderire alle sue fortune; e da tutte quelle comunità affini che per atto sincero di adesione possano esservi accolte secondo lo spirito di un’apposita legge prudenziale.

III – La Reggenza italiana del Carnaro è un governo schietto di popolo – «res populi» – che ha per fondamento la potenza del lavoro produttivo e per ordinamento le più larghe e le più varie forme dell’autonomia quale fu intesa ed esercitata nei quattro secoli gloriosi del nostro periodo comunale.

IV – La Reggenza riconosce e conferma la sovranità di tutti i cittadini senza divario di sesso, di stirpe, di lingua, di classe, di religione. Ma amplia ed innalza e sostiene sopra ogni altro diritto i diritti dei produttori; abolisce o riduce la centralità soverchiante dei poteri costituiti; scompartisce le forze e gli officii, cosicché dal gioco armonico delle diversità sia fatta sempre vigorosa e più ricca la vita comune. 

V – La Reggenza protegge difende preserva tutte le libertà e tutti i diritti popolari; assicura l’ordine interno con la disciplina e con la giustizia; si studia di ricondurre i giorni e le opere verso quel senso di virtuosa gioia che deve rinnovare dal profondo il popolo finalmente affrancato da un regime uniforme di soggezioni e di menzogne; costantemente si sforza di elevare la dignità e di accrescere la prosperità di tutti i cittadini, cosicché il ricevere la cittadinanza possa dal forestiero esser considerato nobile titolo e altissimo onore, come era un tempo il vivere con legge romana. 

VI – Tutti i cittadini dello Stato, d’ambedue i sessi, sono e si sentono eguali davanti alla nuova legge. L’esercizio dei diritti riconosciuti dalla costituzione non può essere menomato né soppresso in alcuno se non per conseguenza di giudizio pubblico e di condanna solenne.

VII – Le libertà fondamentali di pensiero, di stampa, di riunione e di associazione sono dagli statuti guarentite a tutti i cittadini. Ogni culto religioso è ammesso, è rispettato, e può edificare il suo tempio; ma nessun cittadino invochi la sua credenza e i suoi riti per sottrarsi all’adempimento dei doveri prescritti dalla legge viva. L’abuso delle libertà statutarie, quando tenda a un fine illecito e turbi l’equilibrio della convivenza civile, può essere punito da apposite leggi; ma queste non devono in alcun modo ledere il principio perfetto di esse libertà.

VIII – Gli statuti guarentiscono a tutti i cittadini d’ambedue i sessi:

l’istruzione primaria in scuole chiare e salubri;

l’educazione corporea in palestre aperte e fornite;

il lavoro remunerato con un minimo di salario bastevole a ben vivere;

l’assistenza nelle infermità, nella invalitudine, nella disoccupazione involontaria;

la pensione di riposo per la vecchiaia;

l’uso dei beni legittimamente acquistati;

l’inviolabilità del domicilio;

l’habeas corpus;

il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario o di abusato potere.

IX – Lo Stato non riconosce la proprietà come il dominio assoluto della persona sopra la cosa, ma la considera come la più utile delle funzioni sociali.

Nessuna proprietà può essere riservata alla persona quasi fosse una sua parte; né può esser lecito che tal proprietario infingardo la lasci inerte o ne disponga malamente, ad esclusione di ogni altro.

Unico titolo legittimo di dominio su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è il lavoro.

Solo il lavoro è padrone della sostanza resa massimamente fruttuosa e massimamente profittevole all’economia generale. 

X – Il porto, la stazione, le strade ferrate comprese nel territorio fiumano sono proprietà perpetua incontestabile ed inalienabile dello Stato.

È concesso – con un Breve del Porto franco – ampio e libero esercizio di commercio, di industria, di navigazione a tutti gli stranieri come agli indigeni, in perfetta parità di buon trattamento e immunità da gabelle ingorde e incolumità di persone e di cose. 

XI – Una Banca nazionale del Carnaro, vigilata dalla Reggenza, ha l’incarico di emettere la carta moneta e di eseguire ogni altra operazione di credito. Una legge apposita ne determinerà i modi e le regole, distinguendo nel tempo medesimo i diritti gli obblighi e gli oneri delle Banche già nel territorio operanti e di quelle che fossero per esservi fondate. 

XII – Tutti i cittadini d’ambedue i sessi hanno facoltà piena di scegliere e di esercitare industrie professioni arti e mestieri. Le industrie iniziate e alimentate dal denaro estraneo e ogni esercizio consentito a estranei troveranno le loro norme in una legge liberale. 

XIII – Tre specie di spiriti e di forze concorrono all’ordinamento al movimento e all’incremento dell’università:

i Cittadini

le Corporazioni

i Comuni.

XIV – Tre sono le credenze religiose collocate sopra tutte le altre nella università dei Comuni giurati:

la vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l’uomo rifatto intiero dalla libertà;

l’uomo intiero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria virtù per ogni giorno offrire ai suoi fratelli un nuovo dono;

il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia bene eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo.

Dei cittadini 

XV – Hanno grado e titolo di cittadini nella Reggenza tutti i cittadini presentemente noverati nella libera città di Fiume; tutti i cittadini appartenenti alle altre comunità che chiedano di far parte del nuovo Stato e vi sieno accolte; tutti coloro che per pubblico decreto del popolo sieno di cittadinanza privilegiati; tutti coloro che, avendo chiesta la cittadinanza legale, l’abbiano per decreto ottenuta. 

XVI – I cittadini della Reggenza sono investiti di tutti i diritti civili e politici nel punto in cui compiono il ventesimo anno di età. Senza distinzione di sesso diventano legittimamente elettori ed eleggibili per tutte le cariche. 

XVII – Saranno privi dei diritti politici, con regolare sentenza, i cittadini condannati in pena d’infamia; ribelli al servizio militare per la difesa del territorio; morosi al pagamento delle tasse; parassiti incorreggibili a carico della comunità, se non sieno corporalmente incapaci di lavorare per malattia o per vecchiezza. 

XVIII – Lo Stato è la volontà comune e lo sforzo comune del popolo verso un sempre più alto grado di materiale e spirituale vigore. Soltanto i produttori assidui della ricchezza comune e i creatori assidui della potenza comune sono nella Reggenza i compiuti cittadini e costituiscono con essa una sola sostanza operante, una sola pienezza ascendente. Qualunque sia la specie del lavoro fornito di mano o d’ingegno, d’industria o d’arte, di ordinamento o di eseguimento, tutti sono per obbligo inscritti in una delle dieci Corporazioni costituite che prendono dal comune l’immagine della lor figura, ma svolgono liberamente la loro energia e liberamente determinano gli obblighi mutui e le mutue provvidenze. 

XIX – Alla prima Corporazione sono inscritti gli operai salariati dell’industria, dell’agricoltura, del commercio, dei trasporti; e gli artigiani minuti e i piccoli proprietarii di terre che compiano essi medesimi la fatica rurale o che abbiano aiutatori pochi e avventizii.

La corporazione seconda raccoglie tutti gli addetti ai corpi tecnici e amministrativi di ogni privata azienda industriale e rurale, esclusi i comproprietarii di essa azienda.

Nella terza si radunano tutti gli addetti alle aziende commerciali, che non sieno veri operai; e anche da questa sono esclusi i comproprietarii.

La quarta corporazione associa i datori d’opra in imprese d’industria, d’agricoltura, di commercio, di trasporti, quando essi non sieno soltanto proprietarii ma – secondo lo spirito dei nuovi statuti – conduttori sagaci e accrescitori assidui dell’azienda.

Sono compresi nella quinta tutti i pubblici impiegati comunali e statuali di qualsiasi ordine.

La sesta comprende il fiore intellettuale del popolo: la gioventù studiosa e i suoi maestri: gli insegnanti delle scuole pubbliche e gli studenti degli istituti superiori; gli scultori, i pittori, i decoratori, gli architetti, i musici, tutti quelli che esercitano le arti belle, le arti sceniche, le arti ornative.

Della settima fanno parte tutti quelli che esercitano professioni libere non considerate nelle precedenti rassegne.

L’ottava è costituita dalle Società cooperatrici di produzione, di lavoro e di consumo, industriali e agrarie; e non può essere rappresentata se non dagli amministratori alle società stesse preposti.

La nona assomma tutta la gente di mare.

La decima non ha arte né novero né vocabolo. La sua pienezza è attesa come quella della decima Musa. È riservata alle forze misteriose del popolo in travaglio e in ascendimento. È quasi una figura votiva consacrata al genio ignoto, all’apparizione dell’uomo novissimo, alle trasfigurazioni ideali delle opere e dei giorni, alla compiuta liberazione dello spirito sopra l’ànsito penoso e il sudore di sangue. È rappresentata, nel santuario civico, da una lampada ardente che porta inscritta un’antica parola toscana dell’epoca dei Comuni, stupenda allusione a una forma spiritualizzata del lavoro umano: «Fatica senza fatica».

XX – Ogni corporazione svolge il diritto di una compiuta persona giuridica compiutamente riconosciuta dallo Stato.

Sceglie i suoi consoli;

manifesta nelle sue adunanze la sua volontà;

detta i suoi patti, i suoi capitoli, le sue convenzioni;

regola secondo la sua saggezza e secondo le sue esperienze la propria autonomia;

provvede ai suoi bisogni e accresce il suo patrimonio riscotendo dai consociati una imposta pecuniaria in misura della mercede, dello stipendio, del profitto d’azienda, del lucro professionale;

difende in ogni campo la sua propria classe e si sforza di accrescerne la dignità;

si studia di condurre a perfezione la tecnica delle arti e dei mestieri;

cerca di disciplinare il lavoro volgendolo verso modelli di moderna bellezza;

incorpora lavoratori minuti per animarli e avviarli a miglior prova;

consacra gli obblighi del mutuo soccorso;

determina le provvidenze in favore dei compagni infermi o indeboliti;

inventa le sue insegne, i suoi emblemi, le sue musiche, i suoi canti, le sue preghiere;

instituisce le sue cerimonie e i suoi riti;

concorre, quanto più magnificamente possa, all’apparato delle comuni allegrezze, delle feste anniversarie, dei giochi terrestri e marini;

venera i suoi morti, onora i suoi decani, celebra i suoi eroi.

XXI – Le attinenze fra tra Reggenza e le Corporazioni, e fra l’una e l’altra Corporazione, sono regolate nei modi medesimi che gli statuti definiscono nel regolare le dipendenze fra i poteri centrali della Reggenza e i Comuni giurati, e fra l’uno e l’altro Comune.

I socii di ciascuna Corporazione costituiscono un libero corpo elettorale per eleggere i rappresentanti al Consiglio dei Provvisori.

Ai consoli delle Corporazioni e alle loro insegne è dovuto nelle cerimonie

pubbliche il primo luogo.

Dei Comuni 

XXII – Si ristabilisce per tutti i Comuni l’antico «potere normativo», che è il diritto d’autonomia pieno: il diritto particolare di darsi proprie leggi, entro il cerchio del diritto universo.

Essi esercitano in sé e per sé tutti i poteri che la Costituzione non attribuisce agli officii legislativi esecutivi e giudiziarii della Reggenza. 

XXII – A ogni comune è data amplissima facoltà di formarsi un corpo unitario di leggi municipali, variamente derivate dalla consuetudine propria, dalla propria indole, dall’energia trasmessa e dalla nuova coscienza.

Ma deve ogni comune chiedere per i suoi statuti la mallevadoria della Reggenza, che la concede:

quando essi statuti non contengano nulla di palesemente o copertamente contrario allo spirito della Costituzione;

quando essi statuti sieno approvati accettati votati dal popolo e possano essere

riformati o emendati dalla volontà della schietta maggioranza cittadina. 

XXIV – Ai Comuni è riconosciuto il diritto di condurre accordi, di praticare componimenti, di concludere trattati fra loro, in materia di legislazione e di amministrazione.

Ma è fatto a essi obbligo di sottoporli all’esame del Potere esecutivo centrale.

Se il potere stima che tali accordi componimenti trattati sieno in contrasto con lo

spirito della Costituzione, li raccomanda per il giudizio inappellabile alla Corte della Ragione.

Se la Corte li dichiara illegittimi e invalidi, il Potere esecutivo della Reggenza

provvede a romperli e disfarli. 

XXV – Quando l’ordine interno di un comune sia turbato da fazioni, da sopraffazioni, da macchinazioni, o da una qualunque altra forma di violenza e d’insidia, quando l’integrità e la dignità di un Comune sieno minacciate o lese da un altro Comune prevaricante, il Potere esecutivo della Reggenza interviene mediatore e pacificatore, se richiedano l’intervento le autorità comunali concordi, se lo richieda il terzo dei cittadini esercitanti i diritti politici nel luogo stesso. 

XXVI – Ai Comuni segnatamente si appartiene fondare l’istruzione primaria secondo le norme stabilite dal Consiglio scolastico dello Stato;

nominare i giudici comunali;

instituire e mantenere la polizia comunale;

mettere imposte;

contrarre prestiti nel territorio della Reggenza, o anche fuori del territorio ma con la mallevadoria del Governo che dimandato non la concede se non nei casi di manifesta necessità.

 Del potere legislativo

XXVII – Esercitano il potere legislativo due corpi formati per elezione:

il Consiglio degli Ottimi

il Consiglio dei Provvisori. 

XXVIII – Eleggono il Consiglio degli Ottimi, nei modi del suffragio universale diretto e segreto, tutti i cittadini della Reggenza che abbiano compiuto il ventesimo anno di età e che sieno investiti dei diritti politici.

Ogni cittadino votante della Reggenza può essere assunto al Consiglio degli Ottimi.

XXIX – Gli Ottimi durano nell’officio tre anni.

Sono eletti in ragione di uno per ogni migliaio di elettori; ma in ogni caso non può il loro numero essere di sotto al trenta.

Tutti gli elettori formano un corpo elettorale unico.

L’elezione si compie nei modi del suffragio universale e della rappresentanza

proporzionale.

XXX – Il Consiglio degli Ottimi ha potestà ordinatrice e legislatrice nel trattare

del Codice penale e civile,

della Polizia,

della Difesa nazionale,

della Istruzione pubblica e secondaria,

delle Arti belle,

dei Rapporti fra lo Stato e i Comuni.

Il Consiglio degli Ottimi per ordinario non si aduna se non una volta l’anno, nel

mese di ottobre, con brevità spiccatamente concisa.

XXXI – Il Consiglio dei Provvisori si compone di sessanta eletti, per elezione compiuta nel modo del suffragio universale segreto e con la regola della rappresentanza proporzionale:

Dieci Provvisori sono eletti dagli operai d’industria e dai lavoratori della terra;

dieci dalla gente di mare;

dieci dai datori d’opra;

cinque dai tecnici agrarii e industriali;

cinque dagli addetti alle amministrazioni delle aziende private;

cinque dagli insegnanti delle scuole pubbliche, dagli studenti delle scuole

superiori, e dagli altri consociati della sesta corporazione;

cinque dalle professioni libere;

cinque dai pubblici impiegati;

cinque dalle Società cooperatrici di produzione, di lavoro e di consumo. 

XXXII – I Provvisori durano nell’officio due anni.

Non sono eleggibili se non appartengano alla corporazione rappresentata. 

XXXIII – Per ordinario il consiglio dei Provvisori si aduna due volte l’anno, nei mesi di maggio e di novembre, usando nel dibattito il modo laconico.

Ha potestà ordinatrice e legislatrice nel trattare del Codice commerciale e marittimo;

delle Discipline che conducono il lavoro continuato;

dei Trasporti;

delle Opere pubbliche;

dei Trattati di commercio, delle dogane, delle tariffe, e d’altra materie affini;

della Istruzione tecnica e professionale;

delle Industrie e delle Banche;

delle Arti e dei Mestieri. 

XXXIV – Il Consiglio degli Ottimi e il Consiglio dei Provvisori si riuniscono una volta l’anno in un sol corpo, sul principio del mese di dicembre, costituendo un grande Consiglio nazionale sotto il titolo di Arengo del Carnaro.

L’Arengo tratta e delibera delle Relazioni con gli altri Stati;

della Finanza e de1 Tesoro;

degli Alti Studii;

della riformabile Costituzione;

dell’ampliata libertà. 

Del potere esecutivo

XXXV – Esercitano il potere esecutivo della Reggenza sette Rettori partitamente eletti dall’Assemblea nazionale, dal Consiglio degli Ottimi, dal Consiglio dei Provvisori.

Il Rettore degli Affari Esteri, il Rettore delle Finanze e del Tesoro, il Rettore

dell’Istruzione pubblica sono eletti dall’Assemblea nazionale.

Il Rettore dell’Interno e della Giustizia, il Rettore della Difesa nazionale sono eletti dal Consiglio degli Ottimi.

Il Consiglio dei Provvisori elegge il Rettore dell’Economia pubblica e il Rettore del Lavoro.

Il Rettore degli Affari esteri assume titolo di Primo Rettore, e rappresenta la Reggenza al cospetto degli altri Stati «primus inter pares». 

XXXVI – L’officio dei sette Rettori è stabile e continuo. Delibera di ogni cosa che non competa all’amministrazione corrente.

il Primo Rettore regola il dibattito, e ha voto decisivo in caso di parità.

I Rettori sono eletti per un anno, e non sono rieleggibili se non per una volta sola.

Ma, dopo l’intervallo di un anno, possono essere nuovamente nominati.

Del potere giudiziario 

XXXVII – Partecipano del potere giudiziario

i Buoni uomini

i Giudici del Lavoro

i Giudici togati

i Giudici del Maleficio

la corte della Ragione. 

XXXVIII – I Buoni uomini, eletti per fiducia popolare da tutti gli elettori dei varii comuni in misura del numero, giudicano delle controversie civili e commerciali sino al valore di cinquemila lire e sentenziano delle colpe che cadano sotto pene di durata non superiore a un anno. 

XXIX – I Giudici del Lavoro giudicano delle controversie singolari fra i salariati e i datori d’opra.

Essi costituiscono collegi di giudici nominati dalle Corporazioni che eleggono il Consiglio dei Provvisori.

In questa misura:

due dagli operai d’industrie e dai lavoratori della terra;

due dalla gente di mare;

due dai datori d’opra;

dai lavoratori della terra;

uno dai tecnici industriali ed agrarii;

uno dalle libere professioni;

uno dagli addetti alle amministrazioni delle private aziende;

uno dagli impiegati pubblici;

uno dagli Insegnanti, dagli studenti degli Istituti superiori e dagli altri socii della

sesta Corporazione;

uno dalle Società cooperatrici di produzione, di lavoro e di consumo.

I Giudici del Lavoro hanno facoltà di dividere in sezioni i loro collegi per sollecitare i giudizii, servitori pronti d’una giustizia leggera ed espeditissima.

Alle sezioni ricongiunte compete il giudizio d’appello. 

XXXX – I Giudici togati giudicano di tutte quelle questioni civili commerciali e penali in cui i Buoni uomini e i Giudici del Lavoro non abbiano competenza, eccettuate quelle spettanti ai Giudici del Maleficio.

Costituiscono il Tribunale d’appello per le sentenze dei Buoni uomini.

Sono dalla Corte della Ragione scelti per concorsi fra i cittadini addottorati in

legge. 

XXXXI – Sette cittadini giurati, assistiti da due supplenti e presieduti da un giudice togato, compongono il Tribunale del Maleficio, che giudica tutti i delitti di colore politico e tutti quei misfatti che sieno da unire con la privazione della libertà corporale per un tempo superiore al triennio. 

XXXII – Eletta dal Consiglio nazionale, la Corte della Ragione si compone di cinque membri effettivi e di due supplenti.

Dei membri effettivi almeno tre, dei supplenti almeno uno saranno scelti fra i dottori di legge.

La corte della Ragione giudica:

degli atti e decreti emanati dal Potere legislativo e dal Potere esecutivo, per accertarli conformi alla Costituzione;

di ogni conflitto statutario fra il Potere legislativo e il Potere esecutivo, fra la Reggenza e i Comuni, fra Comune e Comune, fra la Reggenza e le Corporazioni, fra la Reggenza e i privati, fra i Comuni e le Corporazioni, fra i Comuni e i privati;

dei casi di alto tradimento contro la Reggenza per opera di cittadini partecipi del

Potere legislativo e dell’esecutivo;

degli attentati al diritto delle genti;

delle contestazioni civili fra la Reggenza e i Comuni, fra Comune e Comune;

delle trasgressioni commesse da partecipi dei poteri;

delle questioni di competenza fra i varii magistrati giudiciali.

La Corte della Ragione rivede in ultima istanza le sentenze, e nomina per concorso i Giudici togati.

Ai cittadini costituiti in Corte della Ragione è fatto divieto di tenere alcun altro officio, sia nella sede in altro Comune.

Né possono esercitare professione o industria o mestiere per tutta la durata della carica.

Del Comandante 

XXXXIII – Quando la Reggenza venga in pericolo estremo e veda la sua salute nella devota volontà d’un solo, che sappia raccogliere eccitare e condurre tutte le forze del popolo alla lotta e alla vittoria, il Consiglio nazionale solennemente adunato nell’Arengo può nominare a viva voce per voto il Comandane e a lui rimettere la potestà suprema senza appellazione.

Il Consiglio determina il più o men breve tempo dell’imperio non dimenticando

che nella Repubblica romana la dittatura durava sei mesi. 

XXXXIV – Il Comandante, per la durata dell’imperio, assomma tutti i poteri politici e militari, legislativi ed esecutivi.

I partecipi del Potere esecutivo assumono presso di lui officio di segretarii e commissarii. 

XXXXV – Spirato il termine dell’imperio, il Consiglio nazionale si raduna e delibera di riconfermare il Comandante nella carica, oppure sostituire in suo luogo un altro cittadino, oppure di deporlo, o anche di bandirlo. 

XXXXVI – Ogni cittadino investito dei diritti politici, sia o non sia partecipe dei poteri nella Reggenza, può essere eletto al supremo officio.

Della difesa nazionale 

XXXXVII – Nella reggenza italiana del Carnaro tutti i cittadini, d’ambedue i sessi, dall’età di diciassette anni all’età di cinquantacinque, sono obbligati al servizio militare per la difesa della terra.

Fatta la cerna, gli uomini validi servono nelle forze di terra e di mare, gli uomini meno atti e le donne salde servono nelle ambulanze, negli ospedali, nelle amministrazioni, nelle fabbriche d’armi, e in ogni altra opera ausiliaria, secondo l’attitudine e secondo la perizia di ognuno.

XXXXVIII – A tutti i cittadini che durante il servizio militare abbiano contratto una infermità insanabile, e alle loro famiglie in bisogno, è dovuto il largo soccorso dello Stato.

Lo Stato adotta i figli dei cittadini gloriosamente caduti in difesa della terra, soccorre i consanguinei se sieno in distretta, raccomanda i nomi dei morti alla memoria delle generazioni. 

XXXXIX – In tempo di pace e di sicurezza, la Reggenza non mantiene l’esercito armato; ma tutta la nazione resta armata, nei modi prescritti dall’apposita legge, e allena con sagace sobrietà le sue forze di terra e di mare.

Lo stretto servizio è limitato ai periodi d’istruzione e ai casi di guerra guerreggiata o di pericolo prossimo.

In periodo d’istruzione e in caso di guerra, il cittadino non perde alcun dei suoi diritti civili e politici; e può esercitarli quando sieno conciliabili con la necessità della disciplina attiva. 

Dell’istruzione pubblica 

L – Per ogni gente di nobile origine la coltura è la più luminosa delle armi lunghe.

Per la gente adriatica, di secolo in secolo costretta a una lotta senza tregua contro l’usurpatore incolto, essa è più che un’arme; è una potenza indomabile come il diritto e come la fede.

Per il popolo di Fiume, nell’atto medesimo della sua rinascita a libertà, diviene il più efficace strumento di salute e di fortuna sopra l’insidia estranea che da secoli la stringe.

La coltura è l’aroma contro le corruzioni. La coltura è la saldezza contro le deformazioni.

Sul Carnaro di Dante il culto della lingua di Dante è appunto il rispetto e la custodia di ciò che in tutti i tempi fu considerato come il più prezioso dei popoli, come la più alta testimonianza della loro nobiltà originaria, come l’indice supremo del loro sentimento di dominazione morale.

La dominazione morale è la necessità guerriera del nuovo Stato. L’esaltazione delle belle idee umane sorge dalla sua volontà di vittoria.

Mentre compisce la sua unità, mentre conquista la sua libertà, mentre instaura la sua giustizia, il nuovo Stato deve sopra tutti i suoi propositi proporsi di difendere conservare propugnare la sua unità la sua libertà la sua giustizia nella regione dello spirito.

Roma deve qui essere presente nella sua coltura. L’Italia deve qui essere presente nella sua cultura.

Il ritmo romano, il ritmo fatale del compimento, deve ricondurre su le vie consolari l’altra stirpe inquieta che s’illude di poter cancellare le grandi vestigia e di poter falsare la grande storia.

Nella terra di specie latina, nella terra smossa dal vomere latino, l’altra stirpe sarà foggiata o prima o poi dallo spirito creatore della latinità: il quale non è se non una disciplinata armonia di tutte quelle forze che concorrono alla formazione dell’uomo libero.

Qui si forma l’uomo libero.

E qui si prepara il regno dello spirito, pur nello sforzo del lavoro e nell’acredine del traffico.

Per ciò la Reggenza italiana del Carnaro pone alla sommità delle sue leggi la coltura del popolo; fonda sul patrimonio della grande coltura latina il suo patrimonio. 

LI – È instituita nella città di Fiume una Università libera, collocata in un vasto edificio capace di contenere ogni maggiore aumento di studii e di studiosi, retta da suoi proprii statuti come la Corporazione.

Sono nella città di Fiume instituite una scuola di Arti belle, una Scuola di Arti decorative, una scuola di Musica, poste sopra l’abolizione di ogni vizio e pregiudizio magistrali, condotte dal più sincero e ardito spirito di ricerca nella novità, rette da un acume atto a purificarle dall’ingombro dei mal dotati e a sceverare i buoni dai migliori e a secondare i migliori nella scoperta di sé e dei nuovi rapporti fra la materia difficile e il sentimento umano. 

LII – Provvede a ordinare le Scuole medie il Consiglio degli Ottimi; provvede a ordinare le Scuole tecniche e professionali il Consiglio dei Provvisori; provvede a ordinare gli Alti Studi il Consiglio nazionale.

In tutte le scuole di tutti i Comuni l’insegnamento della lingua italiana ha privilegio insigne.

Nelle Scuole medie è obbligatorio l’insegnamento dei diversi idiomi parlati in tutta la Reggenza italiana del Carnaro.

L’insegnamento primario è dato nella lingua parlata dalla maggioranza degli abitanti di ciascun Comune e nella lingua parlata dalla minoranza in corsi paralleli.

Se alcun Comune tenti di sottrarsi all’obbligo d’instituire tali corsi, la Reggenza esercita il suo diritto di provvedervi, aggravando della spesa il Comune. 

LIII – Un Consiglio scolastico determina l’ordine e il modo dell’insegnamento primario, che è d’obbligo nelle scuole di tutti i Comuni.

L’insegnamento del canto corale fondato su i motivi della più ingenua poesia paesana e l’insegnamento dell’ornato su gli esempi della più fresca arte rustica hanno il primo luogo.

Compongono il Consiglio:

un rappresentante di ciascun Comune

due rappresentanti delle Scuole medie

due delle Scuole tecniche e professionali

due degli Istituti superiori, eletti dagli insegnanti e dagli studenti

due della Scuola di Musica

due della Scuola di Arti decorative.

LIV – Alle chiare pareti delle scuole aerate non convengono emblemi di religione né figure di parte politica.

Le scuole pubbliche accolgono i seguaci di tutte le confessioni religiose, i credenti di tutte le fedi, e quelli che possono vivere senza altare e senza Dio.

Perfettamente rispettata è la libertà di coscienza. E ciascuno può fare la sua preghiera tacita.

Ma ricorrono su le pareti quelle iscrizioni sobrie che eccitano l’anima e, come i temi d’una sinfonia eroica, ripetute non perdono mai il loro potere di rapimento.

Ma ricorrono sulle pareti le immagini grandiose di quei capolavori che con la massima potenza lirica interpretano la perpetua aspirazione e la perpetua implorazione degli uomini.

Della riforma statutaria 

LV – Ogni sette anni il grande Consiglio nazionale si aduna in assemblea straordinaria per la riforma della Costituzione.

Ma la Costituzione può essere riformata in ogni tempo quando sia chiesta dal terzo dei cittadini in diritto di voto.

Hanno facoltà di proporre emendamenti al testo della Costituzione i membri del Consiglio nazionale, le rappresentanze dei Comuni, la Corte della Ragione, le Corporazioni.

Del diritto d’iniziativa 

LVI – Tutti i cittadini appartenenti ai corpi elettorali hanno il diritto d’iniziare proposte di leggi che riguardino le materie riservate all’opera dell’uno o dell’altro Consiglio, rispettivamente.

Ma l’iniziativa non è valida se almeno il quarto degli elettori, per l’uno o per l’altro Consiglio, non la promuova e non la sostenga. 

Della riprova popolare 

LVII – Tutte le leggi sancite dai due corpi del Potere legislativo possono essere sottoposte alla riprova del consenso o del dissenso pubblico quando la riprova sia domandata da un numero di elettori eguale per lo meno al quarto dei cittadini in diritto di voto. 

Del diritto di petizione 

LVIII – Tutti i cittadini hanno diritto di petizione verso i corpi legislativi che da essi furono per buon diritto eletti. 

Della incompatibilità 

LIX – Nessun cittadino può esercitare più di un potere né partecipare di due corpi legislativi nel tempo medesimo. 

Della rivocazione 

LX – Ogni cittadino può essere rivocato dall’officio che occupa, quando egli perda i diritti politici per sentenza confermata dalla Corte della Ragione, quando la rivocazione sia imposta per voto schietto dalla metà più uno degli inscritti al corpo elettorale. 

Della responsabilità 

LXI – Tutti i partecipi dei poteri e tutti i pubblici ufficiali della Reggenza sono penalmente e civilmente responsabili del danno che allo Stato al Comune alla Corporazione al semplice cittadino rechino le loro trasgressioni, per abuso, per incuria, per codardia, per inettezza. 

Della retribuzione 

LXII – A tutti gli ufficiali pubblici, nominati negli statuti e collocati nel nuovo ordinamento, è fatta una retribuzione giusta; che una legge votata dal Consiglio nazionale determina di anno in anno. 

Della edilità 

LXIII – È instituito nella Reggenza un collegio di Edili, eletto con discernimento fra gli uomini di gusto puro, di squisita perizia e di educazione novissima. Più che l’edilità romana il collegio rinnovella quegli «ufficiali dell’ornato della città» che nel nostro Quattrocento componevano una via o una piazza con quel medesimo senso musicale che li guidava nell’apparato di una pompa repubblicana o in una rappresentazione carnascialesca.

Esso presiede al decoro del vivere cittadino;

cura la sicurezza, la decenza, la sanità degli edifizii pubblici e delle case particolari;

impedisce il deturpamento delle vie con fabbriche sconce o mal collocate;

allestisce le feste civiche di terra e di mare con sobria eleganza, ricordandosi di quei padri nostri a cui per fare miracoli di gioia bastava la dolce luce, qualche leggera ghirlanda, l’arte del movimento e dell’aggruppamento umano;

persuade ai lavoratori che l’ornare con qualche segno di arte popolesca la più umile abitazione è un atto pio, e che v’è un sentimento religioso del mistero umano e della natura profonda nel più semplice segno che di generazione in generazione si trasmette inciso o dipinto nella madia, nella culla, nel telaio, nella conocchia, nel forziere, nel giogo;

si studia di ridare al popolo l’amore della linea bella e del bel colore nelle cose che servono alla vita d’ogni giorno, mostrandogli quel che la nostra gente vecchia sapesse fare con un leggero motivo geometrico con una stella, con un fiore, con un cuore, con un serpe, con una colomba sopra un boccale, sopra un orcio, sopra una mezzina, sopra una panca, sopra un cofano, sopra un vassoio;

si studia di dimostrare al popolo perché e come lo spirito delle antiche libertà comunali si manifestasse non soltanto nelle linee, nei rilievi, nelle commettiture delle pietre, ma perfino nell’impronta dell’uomo posta su l’utensile fatto vivente e potente;

infine, convinto che un popolo non può avere se non l’architettura che meritano la robustezza delle sue ossa e la nobiltà della sua fronte, si studia di incitare e di avviare intraprenditori e costruttori a comprendere come le nuove materie – il ferro, il vetro, i cementi – non domandino se non di essere innalzate alla vita armoniosa nelle invenzioni della nuova architettura. 

Della musica 

LXIV – Nella reggenza italiana del Carnaro la Musica è una istituzione religiosa e sociale.

Ogni mille anni, ogni duemila anni sorge dalla profondità del popolo un inno e si perpetua.

Un grande popolo non è soltanto quello che crea il suo dio a sua simiglianza ma quello che anche crea il suo inno per il suo dio.

Se ogni rinascita d’una gente nobile è uno sforzo lirico, se ogni sentimento unanime e creatore è una potenza lirica, se ogni ordine nuovo è un ordine lirico nel senso vigoroso e impetuoso della parola, la Musica considerata come linguaggio rituale è l’esaltatrice dell’atto di vita, dell’opera di vita.

Non sembra che la grande Musica annunzi ogni volta alla moltitudine intenta e ansiosa il regno dello spirito?

Il regno dello spirito umano non è cominciato ancora.

«Quando la materia operante su la materia potrà tener vece delle braccia dell’uomo, allora lo spirito comincerà a intravedere l’aurora della sua libertà» disse un uomo adriatico, un uomo dalmatico: il cieco veggente di Sebenico.

Come il grido del gallo eccita l’alba, la musica eccita l’aurora, quell’aurora: «excitat auroram».

Intanto negli strumenti del lavoro e del lucro e del gioco, nelle macchine fragorose che anch’esse obbediscono al ritmo esatto come la poesia, la Musica trova i suoi movimenti e le sue pienezze.

Delle sue pause è formato il silenzio della decima Corporazione. 

LXV – Sono istituiti in tutti i Comuni della Reggenza corpi corali e corpi strumentali con sovvenzione dello Stato.

Nella città di Fiume al collegio degli Edili è commessa l’edificazione di una Rotonda capace di almeno diecimila uditori, fornita di gradinate comode per il popolo e d’una vasta fossa per l’orchestra e per il coro.

Le grandi celebrazioni corali e orchestrali sono «totalmente gratuite» come dai padri della Chiesa è detto delle grazie di Dio.

Statutum et ordinatum est.

Iuro ego.

FONTE : R. De Felice (cur.), La Carta del Carnaro nei testi di Alceste De Ambris e di Gabriele D’Annunzio, il Mulino, Bologna, 1973, pp. 35 ss.

 

LA CARTA DEL LAVORO – 21 aprile 1927

DELLO STATO CORPORATIVO E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE 

  1. La Nazione italiana è un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori per potenza e durata a quelli degli individui divisi o raggruppati che la compongono. E una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato fascista.
  2. Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzativi ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato.

Il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale; i suoi obiettivi sono unitari e si riassumono nel benessere dei singoli e nello sviluppo della potenza nazionale.

III. L’organizzazione sindacale o professionale è libera. Ma solo il sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato, ha il diritto di rappresentate legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori, per cui è costituito: di tutelarne, di fronte allo Stato e alle altre associazioni professionali, gli interessi; di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti alla categoria, di imporre loro contributi e di esercitare, rispetto ad essi, funzioni delegate di interesse pubblico.

  1. Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidarietà tra i vari fattori della produzione, mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione.

V La Magistratura del lavoro è l’organo con cui lo Stato interviene a regolare le controversie del lavoro, sia che vertano sulla osservanza dei patti e delle altre norme esistenti, sia che vertano sulla determinazione di nuove condizioni di lavoro.

  1. Le associazioni professionali legalmente riconosciute assicurano l’uguaglianza giuridica tra i datori di lavoro e i lavoratori, mantengono la disciplina della produzione e del lavoro e ne promuovono il perfezionamento.

Le corporazioni costituiscono l’organizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi.

In virtù di questa integrale rappresentanza, essendo gli interessi della produzione interessi nazionali, le corporazioni sono riconosciute come organi di Stato.

Quali rappresentanti degli interessi unitari della produzione le corporazioni possono dettare norme obbligatorie sulla disciplina dei rapporti di lavoro e anche sul coordinamento della produzione tutte le volte che ne abbiano avuto i necessari poteri dalle associazioni collegate. 

VII. Lo Stato corporativo considera l’iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumento più efficace e più utile nell’interesse della Nazione.

L’organizzazione privata della produzione essendo una funzione di interesse nazionale, l’organizzatore dell’impresa è responsabile dell’indirizzo della produzione di fronte allo Stato. Dalla collaborazione delle forze produttive deriva fra esse reciprocità di diritti e di doveri. Il prestatore d’opera, tecnico, impiegato od operaio, è un collaboratore attivo dell’impresa economica la direzione della quale spetta al datore di lavoro che ne ha la responsabilità.

VIII. Le associazioni professionali di datori di lavoro hanno l’obbligo di promuovere in tutti i modi l’aumento, il perfezionamento della produzione e la riduzione dei costi. Le rappresentanze di coloro che esercitano una libera professione o un’arte e le associazioni di pubblici dipendenti concorrono alla tutela degli interessi dell’arte, della scienza e delle lettere, al perfezionamento della produzione e al conseguimento dei fini morali dell’ordinamento corporativo.

  1. L’intervento dello Stato nella produzione economica ha luogo soltanto quando manchi o sia insufficiente l’iniziativa privata o quando siano in gioco interessi politici dello Stato. Tale intervento può assumere la forma del controllo, dell’incoraggiamento e della gestione diretta.
  2. Nelle controversie collettive dei lavoro l’azione giudiziaria non può essere intentata se l’organo corporativo non ha prima esperito il tentativo di conciliazione.

Nelle controversie individuali concernenti l’interpretazione e l’applicazione dei contratti collettivi di lavoro, le associazioni professionali hanno facoltà di interporre i loro uffici per la conciliazione. La competenza per tali controversie è devoluta alla magistratura ordinaria, con l’aggiunta di assessori designati dalle associazioni professionali interessate.

DEL CONTRATTO COLLETTIVO DI LAVORO E DELLE GARANZIE DEL LAVORO. 

  1. Le associazioni professionali hanno l’obbligo di regolare, mediante contratti collettivi, i rapporti di lavoro fra le categorie di datori di lavoro e di lavoratori, che rappresentano.

Il contratto collettivo di lavoro si stipula fra associazioni di primo grado, sotto la guida e il controllo delle organizzazioni centrali, salva la facoltà di sostituzione da parte dell’associazione di grado superiore, nei casi previsti dalla legge e dagli statuti.

Ogni contratto collettivo di lavoro, sotto pena di nullità, deve contenere norme precise sui rapporti disciplinari, sul periodo di prova, sulla misura e, sul pagamento della retribuzione, sull’orario di lavoro.

XII. L’azione del Sindacato, l’opera conciliativa degli organi corporativi e la sentenza della Magistratura del lavoro, garantiscono la corrispondenza del salario alle esigenze normali di vita, alle possibilità della produzione e al rendimento dei lavoro.

La determinazione dei salario è sottratta a qualsiasi norma generale e affidata all’accordo delle parti nei contratti collettivi.

XIII. I dati rilevati dalle pubbliche Amministrazioni, dall’Istituto centrale di statistica e dalle associazioni professionali legalmente riconosciute, circa le condizioni della produzione e del lavoro e la situazione del mercato monetario, e le variazioni del tenore di vita dei prestatori d’opera, coordinati ed elaborati dal Ministero delle corporazioni, daranno il criterio per contemperare gli interessi delle varie categorie e delle classi fra di loro e di queste con l’interesse superiore della produzione.

XIV. La retribuzione deve essere corrisposta nella forma più consentanea alle esigenze del lavoratore e dell’impresa.

Quando la retribuzione sia stabilita a cottimo, e la liquidazione dei cottimi sia fatta a periodi superiori alla quindicina, sono dovuti adeguati acconti quindicinali o settimanali.

Il lavoro notturno, non compreso in regolari turni periodici, viene retribuito con una percentuale in più, rispetto al lavoro diurno.

Quando il lavoro sia retribuito a cottimo, le tariffe di cottimo debbono essere determinate in modo che all’operaio laborioso, di normale capacità lavorativa, sia consentito di conseguire un guadagno minimo oltre la paga base.

  1. Il prestatore di lavoro ha diritto al riposo settimanale in coincidenza con le domeniche.

I contratti collettivi applicheranno il principio tenendo conto delle norme di legge esistenti, delle esigenze tecniche delle imprese, e nei limiti di tali esigenze procureranno altresì che siano rispettate le festività civili e religiose secondo le tradizioni locali. L’orario di lavoro dovrà essere scrupolosamente e intensamente osservato dal prestatore d’opera.

XVI. Dopo un anno di ininterrotto servizio il prestatore d’opera, nelle imprese a lavoro continuo, ha diritto ad un periodo annuo di riposo feriale retribuito.

XVII. Nelle imprese a lavoro continuo il lavoratore ha diritto, in caso di cessazione dei rapporti di lavoro per licenziamento senza sua colpa, ad una indennità proporzionata agli anni di servizio. Tale indennità è dovuta anche in caso di morte del lavoratore.

XVIII. Nelle imprese a lavoro continuo, il trapasso dell’azienda non risolve il contratto di lavoro, e il personale ad essa addetto conserva i suoi diritti nei confronti del nuovo titolare. Ugualmente la malattia del lavoratore, che non ecceda una determinata durata, non risolve il contratto di lavoro. Il richiamo alle armi o in servizio della M.V.S.N. non è causa di licenziamento.

XIX. Le infrazioni alla disciplina e gli atti che perturbino il normale andamento dell’azienda commessi dai prenditori di lavoro, sono puniti secondo la gravità della mancanza, con la multa, con la sospensione dal lavoro e, per i casi più gravi, col licenziamento immediato senza indennità.

  1. Il prestatore di opera di nuova assunzione è soggetto ad un periodo di prova, durante il quale è reciproco il diritto alla risoluzione del contratto, col solo pagamento della retribuzione per il tempo in cui il lavoro è stato effettivamente prestato.

XXI. Il contratto collettivo di lavoro estende i suoi benefici e la sua disciplina anche ai lavoratori a domicilio. Speciali norme saranno dettate dallo Stato per assicurare la pulizia e l’igiene del lavoro a domicilio.

DEGLI UFFICI DI COLLOCAMENTO

XXII. Lo Stato accerta e controlla il fenomeno della occupazione e della disoccupazione dei lavoratori, indice complessivo delle condizioni della produzione e del lavoro.

XXIII. Gli uffici di collocamento sono costituiti a base paritetica sotto il controllo degli organi corporativi dello Stato. I datori di lavoro hanno l’obbligo di assumere i prestatori d’opera pel tramite di detti uffici. Ad essi è data facoltà di scelta nell’ambito degli iscritti negli elenchi con preferenza a coloro che appartengono al Partito e al Sindacato fascisti, secondo la anzianità di iscrizione.

XXIV. Le associazioni professionali di lavoratori hanno l’obbligo di esercitare un’azione selettiva fra i lavoratori, diretta ad elevarne sempre di più la capacità tecnica e il valore morale.

XXV Gli organi corporativi sorvegliano perché siano osservate le leggi sulla prevenzione degli infortuni e sulla pulizia del lavoro da parte dei singoli soggetti alle associazioni collegate.

DELLA PREVIDENZA, DELL’ASSISTENZA, DELL’EDUCAZIONE E DELL’ISTRUZIONE

XXVI. La previdenza è un’alta manifestazione del principio di collaborazione. Il datore di lavoro e il prestatore d’opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di essa. Lo Stato, mediante gli organi corporativi e le associazioni professionali, procurerà di coordinare e di unificare, quanto è più possibile, il sistema e gli istituti di previdenza.

XXVII. Lo Stato fascista si propone:

1) il perfezionamento dell’assicurazione infortuni;

2) il miglioramento e l’estensione dell’assicurazione maternità;

3) l’assicurazione delle malattie professionali e della tubercolosi come

avviamento all’assicurazione generale contro tutte le malattie;

4) il perfezionamento dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria;

5) l’adozione di forme speciali assicurative dotalizie per i giovani lavoratori.

XXVIII. E’ compito delle associazioni di lavoratori la tutela dei loro rappresentanti nelle pratiche amministrative e giudiziarie, relative all’assicurazione infortuni e alle assicurazioni sociali.

Nei contratti collettivi di lavoro sarà stabilita, quando sia tecnicamente possibile, la costituzione di casse mutue per malattia col contributo dei datori di lavoro e dei prestatori di opera, da amministrarsi da rappresentanti degli uni e degli altri, sotto la vigilanza degli organi corporativi.

XXIX. L’assistenza ai propri rappresentati, soci e non soci, è un diritto e un dovere delle associazioni professionali. Queste debbono esercitare direttamente le loro funzioni di assistenza, né possono delegarle ad altri enti od istituti, se non per obiettivi d’indole generale, eccedenti gli interessi delle singole categorie.

XXX. L’educazione e l’istruzione, specie l’istruzione professionale, dei loro rappresentati, soci e non soci, è uno dei principali doveri delle associazioni professionali. Esse devono affiancare l’azione delle Opere nazionali relative al dopolavoro e alle altre iniziative di educazione.

Chi dice lavoro dice borghesia produttiva e classi lavoratrici delle città e dei campi. Non privilegi alla prima, non privilegi alle ultime, ma tutela di tutti gli interessi che si armonizzano con quelli della produzione e della Nazione.” (BENITO MUSSOLINI, Discorso alla Camera dei deputati del 16 novembre 1922). L’importanza della Carta del Lavoro è tale che si può considerare senza alcun dubbio il documento più importante di tutto il periodo fascista. Per la prima volta i datori di lavoro furono costretti a tenere in considerazione le esigenze dei lavoratori nel regolare i loro rapporti. Le numerose dichiarazioni in essa contenute, una volta attuate, fecero dell’Italia uno Stato all’avanguardia per la garanzie sociali offerte a tutti i suoi cittadini.

 

I 18 PUNTI DI VERONA

IN MATERIA COSTITUZIONALE E INTERNA:

1) Sia convocata la Costituente, potere sovrano d’origine popolare, che dichiari la decadenza della monarchia, condanni solennemente l’ultimo re traditore e fuggiasco, proclami la repubblica sociale e ne nomini il Capo.

2) La Costituente sia composta dai rappresentanti di tutte le associazioni sindacali e di tutte le circoscrizioni amministrative, comprendendo i rappresentanti delle provincie invase attraverso le delegazioni degli sfollati e dei rifugiati sul suolo libero.

Comprende altresì le rappresentanze dei combattenti; quelle dei prigionieri di guerra, attraverso i rimpatriati per minorazione; quelle degli italiani all’estero; quelle della Magistratura, delle Università e di ogni altro Corpo o Istituto la cui partecipazione contribuisca a fare della Costituente la sintesi di tutti i valori della Nazione.

3) La Costituzione repubblicana dovrà assicurare al cittadino – soldato, lavoratore e contribuente – il diritto di controllo e di responsabile critica sugli atti della pubblica amministrazione.

Ogni cinque anni il cittadino sarà chiamato a pronunziarsi sulla nomina del Capo della Repubblica.

Nessun cittadino, arrestato in flagrante o fermato per misure preventive, potrà essere trattenuto oltre i sette giorni senza un ordine della autorità giudiziaria. Tranne il caso di flagranza, anche per le perquisizioni domiciliari occorrerà un ordine dell’autorità giudiziaria.

Nell’esercizio delle sue funzioni la magistratura agirà con piena indipendenza.

4) La negativa esperienza elettorale già fatta dall’Italia e l’esperienza parzialmente negativa di un metodo di nomina troppo rigidamente gerarchico contribuiscono entrambe ad una soluzione che concilii le opposte esigenze. Un sistema misto (ad esempio, elezione popolare dei rappresentanti alla Camera e nomina dei ministri per parte del Capo della Repubblica e del Governo e, nel Partito, elezione di Fascio salvo ratifica e nomina del Direttorio nazionale per parte del Duce) sembra il più consigliabile.

5) L’organizzazione a cui compete l’educazione del popolo ai problemi politici è unica.

Nel Partito, ordine di combattenti e di credenti, deve realizzarsi un organismo di assoluta purezza politica, degno di essere il custode dell’idea rivoluzionaria.

La sua tessera non è richiesta per alcun impiego o incarico.

6) La religione della Repubblica è la cattolica apostolica romana. Ogni altro culto che non contrasti alle leggi è rispettato.

7) Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri.

Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica.

8) Fine essenziale della politica estera della Repubblica dovrà essere l’unità, l’indipendenza, l’integrità territoriale della Patria nei termini marittimi ed alpini segnati dalla Natura, dal sacrifico di sangue e dalla storia, termini minacciati dal nemico con l’invasione e con le promesse ai Governi rifugiati a Londra. Altro fine essenziale consisterà nel far riconoscere la necessità degli spazi vitali indispensabili ad un popolo di 45 milioni di abitanti sopra un’area insufficiente a nutrirli.

Tale politica si adopererà inoltre per la realizzazione di una comunità europea, con la federazione di tutte le Nazioni che accettino i seguenti principi fondamentali:

a) eliminazione dei secolari intrighi britannici dal nostro Continente;

b) abolizione del sistema capitalistico interno e lotta contro le plutocrazie mondiali;

c) valorizzazione, a beneficio dei popoli europei e di quelli autoctoni, delle risorse naturali dell’Africa, nel rispetto assoluto di quei popoli, in ispecie musulmani, che, come l’Egitto, sono già civilmente e nazionalmente organizzati.

IN MATERIA SOCIALE

9) Base della Repubblica sociale e suo oggetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.

10) La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa non deve però diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro lavoro.

11) Nell’economia nazionale tutto ciò che per dimensioni o funzioni esce dall’interesse singolo per entrare nell’interesse collettivo, appartiene alla sfera d’azione che è propria dello Stato.

I pubblici servizi e, di regola, le fabbricazioni belliche debbono venire gestite dallo Stato a mezzo di Enti parastatali.

12) In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale) le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente – attraverso una conoscenza diretta della gestione – all’equa fissazione dei salari, nonché all’equa ripartizione degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili per parte dei lavoratori.

In alcune imprese ciò potrà avvenire con una estensione delle prerogative delle attuali Commissioni di fabbrica. In altre, sostituendo i Consigli di amministrazione con i Consigli di gestione composti da tecnici e da operai con un rappresentante dello Stato. In altre ancora, in forma di cooperativa parasindacale.

13) Nell’agricoltura, l’iniziativa privata del proprietario trova il suo limite là dove l’iniziativa stessa viene a mancare. L’esproprio delle terre incolte e delle aziende mal gestite può portare alla lottizzazione fra braccianti da trasformare in coltivatori diretti, o alla costituzione di aziende cooperative, parasindacali o parastatali, a seconda delle varie esigenze dell’economia agricola.

Ciò è del resto previsto dalle leggi vigenti, alla cui applicazione il Partito e le organizzazioni sindacali stanno imprimendo l’impulso necessario.

14) E’ pienamente riconosciuto ai coltivatori diretti, agli artigiani, ai professionisti, agli artisti il diritto di esplicare le proprie attività produttive individualmente, per famiglie o per nuclei, salvi gli obblighi di consegnare agli ammassi la quantità di prodotti stabilita dalla legge o di sottoporre a controllo le tariffe delle prestazioni.

15) Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà. Il Partito iscrive nel suo programma la creazione di un Ente nazionale per la casa del popolo, il quale, assorbendo l’Istituto esistente e ampliandone al massimo l’azione, provveda a fornire in proprietà la casa alle famiglie dei lavoratori di ogni categoria, mediante diretta costruzione di nuove abitazioni o graduale riscatto delle esistenti. In proposito è da affermare il principio generale che l’affitto – una volta rimborsato il capitale e pagatone il giusto frutto – costituisce titolo di acquisto.

Come primo compito, l’Ente risolverà i problemi derivanti dalle distruzioni di guerra, con requisizione e distribuzione di locali inutilizzati e con costruzioni provvisorie.

16) Il lavoratore è iscritto d’autorità nel sindacato di categoria, senza che ciò impedisca di trasferirsi in altro sindacato quando ne abbia i requisiti. I sindacati convergono in una unica Confederazione che comprende tutti i lavoratori, i tecnici, i professionisti, con esclusione dei proprietari che non siano dirigenti o tecnici. Essa si denomina Confederazione Generale del Lavoro, della tecnica e delle arti.

I dipendenti delle imprese industriali dello Stato e dei servizi pubblici formano sindacati di categoria, come ogni altro lavoratore.

Tutte le imponenti provvidenze sociali realizzate dal Regime Fascista in un ventennio restano integre. La Carta del Lavoro ne costituisce nella sua lettera la consacrazione, così come costituisce nel suo spirito il punto di partenza per l’ulteriore cammino.

17) In linea di attualità il Partito stima indilazionabile un adeguamento salariale per i lavoratori attraverso la adozione di minimi nazionali e pronte revisioni locali, e più ancora per i piccoli e medi impiegati tanto statali che privati. Ma perché il provvedimento non riesca inefficace e alla fine dannoso per tutti occorre che con spacci cooperativi, spacci d’azienda, estensione dei compiti della “Provvida”, requisizione dei negozi colpevoli di infrazioni e loro gestione parastatale o cooperativa si ottenga il risultato di pagare in viveri ai prezzi ufficiali una parte del salario. Solo così si contribuirà alla stabilità dei prezzi e della moneta e al risanamento del mercato.

Quanto al mercato nero, si chiede che gli speculatori – al pari dei traditori e dei disfattisti – rientrino nella competenza dei Tribunali straordinari e siano passibili di pena di morte.

18) Con questo preambolo alla Costituente il Partito dimostra non soltanto di andare verso il popolo, ma di stare col popolo.

Da parte sua il popolo italiano deve rendersi conto che vi è per esso un solo modo di difendere le sue conquiste di ieri, oggi, domani: ributtare l’invasione schiavista delle plutocrazie anglo-americane, la quale per mille precisi segni, vuole rendere ancora più angusta e misera la vita degli italiani. Vi è un solo modo di raggiungere tutte le mete sociali: combattere, lavorare, vincere.

La socializzazione altro non è se non la realizzazione italiana, umana, nostra, effettuabile del socialismo” (Mussolini)