VERITA’ CRISTIANA E PERENNIALISMO di Luigi Copertino – terza parte

VERITA’ CRISTIANA E PERENNIALISMO

terza parte

ADAMO ED EVA – UOMO E DONNA

L’esegesi gnostica della creazione biblica della Donna presume la confusione tra l’Adam Kadmon/Verbo-Divino e l’Adam creatura. Riproponendo lo stesso tema del mito platonico dell’androgino, e di altre similari concezioni, l’Uomo Primordiale è presentato come asessuato, o, meglio, come al di là del dualismo sessuale. Quest’ultimo risponde alla necessità intrinseca della creazione retta, per l’appunto, dalla ciclicità duale della simmetria spazio-temporale ritmata sull’alternarsi del giorno e della notte, delle stagioni e dei punti cardinali. Sicché l’Adam Kadmon è necessariamente al di là di tale dualismo.

La distinzione di genere per sessi, quindi, è sentita come la conseguenza della caduta ontologica nello spazio-tempo dell’Adamo Universale, in origine superiore a tale polarità ora, invece, necessitata nell’immanenza. Ed è per questo che la distinzione di genere è considerata in modo negativo, dovendosi operare affinché l’essere umano la abolisca in sé e nella società.

All’Adamo Primordiale asessuato segue, per involuzione e degradazione, la polarità Adamo/Maschio-Eva/Femmina nella quale la Femmina rappresenta il polo opposto e dualisticamente complementare al Maschio, allo stesso modo della coppia “Purusha-Prakriti” nell’Induismo. L’attrazione sessuale è dovuta, in tale prospettiva, dalla spinta alla riunificazione della polarità Maschio-Femmina nell’Unità senza distinzioni dell’originario Adamo Asessuato.

Questa esegesi stravolge l’autentico significato, ad un tempo simbolico e storico, del racconto biblico. Nella narrazione biblica della comparsa, accanto ad Adamo, all’uomo creatura, di Eva, la donna creatura, non è negata la legge del dualismo che permea la creazione visibile e materiale ma non si fa confusione tra l’Adam Kadmon/Verbo-Divino e l’Adam creatura ed viene affermato che la distinzione di genere sessuale, nel caso dell’essere umano, non è soggezione alla legge del dualismo cosmico ma segue la logica intrinseca all’essenza, alla natura, umana quale Icona Dei.

Il Verbo di Dio, l’Adam Kadmon, non è certamente essere soggetto alla determinazione sessuale – la Natura Divina, delle Tre Persone Trinitarie, è certamente al di là delle polarizzazioni di cui è intessuto il cosmo creato – tuttavia Egli, comunicando all’Adamo creatura la propria immagine, inizialmente lo crea, nel rispetto del dualismo immanente ma indipendentemente da esso, Uomo ossia di  genere sessuato maschile nel quale è, tuttavia, già sotteso anche quello femminile.

In altri termini, l’Adamo creatura, sin dall’origine sessualmente maschio, esprime sul piano immanente la natura umana tanto nella mascolinità quanto nella femminilità: «Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (Gn. 1,27). Ma – ecco il punto nodale della questione – l’essere umano non deriva la distinzione sessuale per necessitato effetto del gioco duale delle polarità della creazione ma dalla sua stessa natura umana fatta ad immagine e somiglianza di Dio, dell’Adam Kadmon/Verbo. La Donna, Eva o Madre dei viventi, ossia madre degli uomini che sarebbero nati dall’amore fecondo della coppia primigenia, nasce non per effetto passivamente subito della legge del dualismo immanente ma, per volere di Dio, direttamente dall’Uomo, da Adamo, che pertanto, secondo il racconto biblico, può riconoscerla quale “sua carne”.

Simbolicamente, la nascita di Eva da una costola di Adamo sta a significare non solo l’eguaglianza di dignità agli occhi di Dio – la Donna è infatti tratta non da una zona inferiore del corpo dell’Uomo, né da una zona superiore, bensì da una zona centrale, quasi dal cuore, ad indicare la medesima dignità di natura – ma, in senso più metafisico, sta a significare il suo essere espressione della medesima natura umana di Adamo. La natura umana ha nell’Uomo la prima espressione, temporalmente prioritaria, che tuttavia abbisogna quasi immediatamente della Donna alter ego a sé “interno” nonché creatura speciale e privilegiata e non solo femmina biologica per meri animali scopi riproduttivi. La nascita di figli – “siate fecondi e moltiplicatevi” (Gn. 1,28), per i Progenitori è più della semplice riproduzione: è trasmissione della Vita in senso spirituale oltre che biologico. L’Uomo e la Donna non sono chiamati ad una mera riproduzione istintuale della specie, come gli animali, ma all’amore spirituale corporalmente fecondo e vitale, donatore della vita, quale immagine dell’Amore creativo di Dio (motivo, sia detto per inciso, per il quale l’omosessualità, per essenza sempre infeconda, non è contemplata nell’originaria architettura della creazione).

La sensibilità della Donna, portata ricettivamente ad accogliere l’amore dell’Uomo ed a donare il proprio amore protettivo ai figli, fa emergere nello stesso Adamo, all’atto della creazione sessualmente maschio, quanto è in lui originariamente insito in modo inespresso ma destinato a “fuoriuscire” da lui senza che egli perda la propria identità sessuale maschile, ossia senza “scissione” nel dualismo maschio-femmina di un presunto originario androgino asessuato. In altri termini, la natura umana di Adamo, sessualmente maschio, conteneva in sé, nell’iconicità divina, inespressa, ma non polarizzata, la sua componente, la sua versione, femminile non, però, meramente animalesca.

Se Adamo, dopo aver inutilmente cercato “un aiuto che gli fosse simile” nelle altre creature animali, può dire di Eva «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta» (Gn.2,23) è a motivo del fatto che Eva non proviene da una generazione animale, quindi dalla legge necessitata della polarizzazione dualistica cui è soggetta la creazione, ma, per opera di Dio, proviene dalla sua stessa natura umana e reca in sé l’immagine divina.

Probabilmente l’antico mito, apocrifo, di Lilith, che sarebbe stata la prima moglie di Adamo, vuole sottolineare proprio questa generazione non animalesca della Donna, dato che Lilith, secondo il mito, aveva una natura infera, animale. Eva, al contrario, è la Donna come Adamo è l’Uomo. Ma dopo il cedimento alle dottrine ofidiche – al suadente ma ingannevole fascino della ciclicità naturalistica dell’ourobouros espressa nei culti e nei miti della fecondità animale e tellurica – Eva resta soggetta all’istinto animale verso il maschio nonché al dolore del parto (dato che il parto di Eva non avrebbe inizialmente comportato dolore) ed Adamo resta soggetto alla seduzione sensuale della femminilità ed alla fatica del sudore quotidiano (dato che il lavoro umano sarebbe inizialmente stato gioia creatrice artistica e contemplazione mistica, non fatica) (Gn. 3,16-19).

Questo spiega perché alla Donna futura, ossia Maria, promessa in vista dell’Incarnazione del Verbo, è ora, dopo il peccato originale, assegnato anche il compito di schiacciare Lucifero, mediante la sua stirpe ossia mediante Cristo (Gn. 3,15). Ciò consente di comprendere, nel suo significato metafisico, la realtà di Cristo quale Nuovo Adamo e di Maria quale Nuova Eva. Nostro Signore e Nostra Signora sono il Nuovo Adamo e la Nuova Eva non solo perché Cristo restaura l’originario Adamo e Maria l’originaria Eva ma perché il Signore e la sua Immacolata Madre adempiono al disegno per il quale Adamo aveva trovato sé stesso solo in Eva, non per generazione animale. In un certo senso si può dire che Maria è tratta dal Cuore di Cristo affinché Cristo nascesse al mondo per il Cuore di Maria. Il Verbo di Dio si sarebbe incarnato, anche se non ci fosse stato il peccato originale, assumendo la natura umana secondo il suo genere maschile, che è biblicamente il genere originale con il quale l’umanità compare sulla scena del mondo, ma assumendo tale natura da Maria, Vera Donna, nella quale la femminilità non animale insita nella natura umana, che fu in origine di Eva, torna ad esprimersi all’infinito. Per questo, secondo la Tradizione, Maria è, come ben ricorda Silvano Panunzio, “complementum Trinitatis”, sicché Dante poté cantarla “più che creatura”.

Maria è sempre stata, ab aeterno, in Mente Dei, quasi come archetipo ideale della Pienezza dell’Essere. Maria è, per Grazia, l’Immacolata ossia è priva di ogni macchia. L’essere privi di qualsiasi ombra di macchia è attributo esclusivo di Dio, Luce Infinita e Purissima. Per questo Maria è la Piena di Grazia nel senso metafisicamente più alto. E’ Vera Donna e Sede della Sapienza.

«Nascosta fu la mia vita, quasi ignorata dal mondo; ma fui amata da Dio sin dall’inizio dei secoli; come futura madre del Verbo fatto uomo mi trovai immersa nella beatissima Trinità. (…). E tutto ciò me lo mostrò l’Altissimo con giubilo affinché comprendessi i grandiosi disegni che sin dal principio dei tempi Egli aveva tracciato su di me. Allora vidi un grande mistero, che contemplai estasiata: lo Spirito di Dio si librava sulle acque e – come mi fu concesso di vedere – la beatissima Trinità forgiava provvidenzialmente la mia anima, e compresi, perché mi fu dato d’intenderlo, che Egli non pensò al mondo senza prima avere pensato a me. (…). Sì … io ero già generata molto prima che le acque si separassero dalla terra, prima che si formasse la volta celeste e l’universo stellare, prima che si formassero gli oceani e i mari si riempissero di pesci e crostacei, prima che la terra si popolasse di animali d’ogni specie. Nella mente del Creatore già sussisteva la mia anima e l’Altissimo mi stringeva al seno come fa l’amante con l’amata, colmandomi di grazie e di doni. Così fu modellata la mia anima, che uscì pura e immacolata, senza ombra di peccato, dalla mano di Dio, tra l’ammirazione degli angeli celesti che lodavano in coro il divino Artefice per la perfettissima opera delle sue mani. (…) e dicevano sorpresi tra sé: “Chi è costei che sale dal deserto, come colonna di fumo olezzante di mirra e d’incenso e d’ogni grazia e profumo, ornata di tanta bellezza da formare la delizia del suo Dio? Chi è costei che lo chiama amato, sposo, amico e padrone? Chi è costei che cerca Dio per portarselo nella dimora terrena? Chi è costei che sorge come l’aurora, più bella della luna e più splendente del sole? Come fa ad essere tanto prudente e coraggiosa, tanto umile e raccolta, pur essendo una così fragile creatura umana? Come mai, mentre i cieli sono chiusi agli uomini, questa Donna ne varca la soglia, lasciandone socchiusa la porta per farvi entrare tutti i suoi discendenti? Chi è questa creatura così bella, eccelsa e sublime, da innamorare Dio?”. E si udì una voce che diceva: “Questa Donna è la prediletta dell’eterno Padre, la sua amatissima figlia, la madre di Dio Figlio e la sposa di Dio Spirito Santo”» (7).

ATTILIO MORDINI

Abbiamo già annotato di alcune “sviste” nell’opera di un esegeta attento e profondo come Silvano Panunzio, che fu oltretutto allievo di Eugenio Zolli.

Dobbiamo ora osservare, a proposito della narrazione biblica della creazione dell’Uomo e della Donna, qualcosa riguardo al tentativo di effettuarne una lettura comparata, con la tradizione vedantica-upanishadica, fatto da un altro importante esegeta cristiano, Attilio Mordini, onde verificarne fino a che punto è possibile sostenere tale comparazione e quanto del Vedanta, e del suo commento “filosofico” delle Upanishad, è effettivamente riconducibile alla Philosophia perennis nella sua integrità originaria come trasmessa dalla Rivelazione biblica.

Attilio Mordini è stato per l’autore di questo contributo un “maestro” carissimo che ha avuto un ruolo importante nel suo percorso di vita spirituale avendone favorito l’incontro con Cristo. Non è tuttavia possibile, debito e gratitudine a parte, non sottolineare alcune problematicità riscontrabili nella sua opera.

Ne “Il mito primordiale del Cristianesimo quale fonte perenne di metafisica” ad esempio – un libricino assolutamente fondamentale per una comprensione metafisica del Cristianesimo – Mordini incespica in una tesi di matrice platonica, non accuratamente purificata, in difformità con la Verità primordiale, biblica, della bontà ontologica dell’Opera Dei. Secondo tale tesi, incautamente accreditata da Mordini, la creazione materiale sarebbe stata indirettamente indotta da Lucifero con la sua opposizione al disegno divino. Il quale disegno, in Mente Dei, sarebbe stato, originariamente, volto soltanto alla mera “creaturalizzazione spirituale” ovvero “angelica” e non avrebbe, pertanto, previsto anche la creazione del mondo materiale (8).

Sposando incautamente tale tesi in alcun passaggi del suo, pur prezioso, libricino, Attilio Mordini non si è reso conto di affermare, in contrasto con la Rivelazione, che il mondo sarebbe un disvalore dato che Dio lo avrebbe creato soltanto per rimediare al tentativo di Lucifero di disturbare il suo disegno di una iniziale creazione esclusivamente spirituale o “sottile”.

Per preservare il meglio di Mordini è, pertanto, necessario riconoscere con onestà la problematicità di questi e di altri passaggi della sua opera. Sottoponendoli, senz’altro, a critica, tesa però non a “scomunicare” il grande fiorentino ma a preservarne la sua meritoria opera di testimone della Tradizione Cristiana, purificandola tuttavia da tali “sviste”. Sarebbe, infatti, un grave errore regalare Attilio Mordini agli gnostici, come fanno i “catto-talebani” i quali – dimenticando, oltretutto, che Mordini è stato un convinto ed attento tomista oltre che un terziario francescano – guardano più al sillogismo aristotelico, metodologicamente fatto proprio da san Tommaso, piuttosto che alla Verità cercata dallo stesso Aquinate.

Orbene, come dicevamo, dobbiamo ad Attilio Mordini, filologo, germanista e teologo volto agli studi di spiritualità comparata, in quella che forse è la sua opera più importante ossia “Verità del linguaggio”, una lettura dei testi del Vedanta alla luce del Genesi (9).

Mordini coglie nella radice KR del termine sanscrito “Prakriti” l’essenza profonda del significato di tale parola che è quello di fare, produrre, effettuare, di forza generante e causa pro-creatrice. Egli evidenzia giustamente che il  senso semantico di tale parola è diverso dal nostro “creare”. Prakriti infatti, nel sistema vedantico-upanishadico, sta ad indicare il “principio femminile”, plastico e fluido, correlativo al “Purusha” che è il principio virile, maschile, veramente attivo ed immobile laddove, invece, Prakriti è movimento ciclico, cosmico. Secondo il Vedanta, Purusha e Prakriti in origine sono virtualmente contenuti in una Unità superiore dalla quale decadono dando avvio alla prima distinzione maschio-femmina nel dualismo cosmico. Purusha è simbolicamente rappresentato da un punto che ha sede nel cuore, centro dell’intuizione pura – questa centralità metafisica del cuore è effettivamente un elemento proprio della vera gnosi primordiale evidentemente conservato nel sistema vedantino – mentre Prakriti indica l’anima quale passività e ricettività, dunque femminilità. Il Purusha, che significa Uomo, sul piano cosmico coincide con l’“ātman” «…che sta nel cuore, è anche più grande della terra, più grande dell’atmosfera, più grande del cielo, più grande di tutti questi mondi messi insieme …» (Chhāndogya Upanishad, III Prapāthaka, 14° Khanda, shruti 3).

Pertanto Purusha, quale ātman, è l’Essere, il Motore Immobile, intorno al quale si muove, in circolo, Prakriti, simboleggiata dall’acqua ossia dall’elemento più fluido che c’è, benché lo stesso movimento di Prakriti altro non sia che espressione della quiete di Purusha. Prakriti genera il movimento ed è radice della manifestazione visibile ma è Purusha che la feconda. La sessualità animale, compresa quella umana, si spiega, secondo il Vedanta, come legge del dualismo immanente generato, per scissione e caduta, dal monismo cosmico originario. In questo, il parallelo con il mito platonico dell’Androgine è immediato.

L’Aranyaka Upanishad, I, 4, Brahmana, 1-9, citata da Mordini (10), descrive la creazione nei termini seguenti

«L’ātma, ecco ciò che era questo all’inizio, in foggia di Purusha. Esso, avendo rivolto i suoi sguardi in ogni senso, non vide altro all’infuori del proprio essere … ora, nell’insieme, esso era così come un uomo ed una donna che si abbracciano. Esso fece cadere in due questo suo ātma. Da ciò ebbero origine lo sposo e la sposa. E’ perciò che Yājnavalkya ha detto così: “Noi siamo, noi due, ciascuno come una metà”. Ecco perché questo vuoto viene colmato dalla donna. Esso la possedette, e da questo nacquero gli uomini. Esso, che era anche essa, considerò: “In qual modo mi possiede avendomi partorita dal suo ātma? Ah, bisogna che io mi trasformi”. Essa diventò vacca, l’altro toro. Egli la possedette. Da ciò nacquero le vacche. L’una divenne giumenta e l’altro stallone; l’una asina e l’altro asino. Egli la possedette. Da ciò nacquero i solipedi. L’una divenne capra, l’altro montone; l’una pecora, l’altro ariete. Egli la possedette. Da ciò nacquero capre e montoni. Così propriamente tutto ciò che si propaga per coppie, sino alle formiche, esso emanò tutto ciò».

Il compito dell’esegeta comparatista, ossia di colui che cerca di dipanare nelle culture extra-abramitiche il grano dal loglio, è molto difficile perché in esse, come si è detto, sono mescolati elementi di Verità primordiale ad elementi di seduzione ourobourica.

Dio, Colui che è ciò che è, non ha propriamente al di fuori di Sé nulla, ed infatti l’espressione teologica “ad extra” non deve essere intesa come “esteriorità” a Dio. L’Altissimo, infatti, non ha esteriori a Sé e tutto ricomprende in Sé. Ma – ecco il punto di Verità primordiale restituita dalla Rivelazione abramitica – Egli è ontologicamente “altro” dalle sue creature che sono in Lui senza essere Lui benché, tuttavia, partecipate da Lui. Le creature, senza tale partecipazione ontologica, non sarebbero – ricordiamo quanto Nostro Signore Gesù Cristo ha rivelato a Caterina da Siena «Tu sei quella che non è; Io, invece, Colui che sono» – ma, una volta poste in Lui, esse godono, per suo dono, di una relativa autonoma consistenza. Quindi la creazione non consiste in un “far cadere in due l’unità originaria” mediante una scissione dualistica, per “doppio contrario”, interna alla Sostanza Divina. Se si accetta questa prospettiva si deve anche accettare l’idea della connaturalità panteista tra la Sostanza Divina e le sue “emanazioni”, che sarebbero, pertanto, del tutto prive di ogni e qualsiasi consistenza ontologica.

Attilio Mordini, accostando la mitologia vedantico-upanishadica alla Rivelazione biblica, tenta di evidenziare alcune linee di comunanza e continuità, con esiti non sempre coerenti. Tuttavia egli, oltre ogni comparazione, alla fine coglie l’eccezionalità abramitica nel generale panorama religioso dell’umanità.

Proponendo il parallelo tra Prakriti quale proiezione di Purusha ed Eva quale proiezione di Adamo, l’ātma in foggia di Purusha è da Mordini fatto corrispondere all’Adamo avente ancora in sé la Donna che sarà poi tratta dalla sua costola. Mordini è, però, perfettamente consapevole che sussiste una differenza capitale tra il mito indù e la Rivelazione abramitica. Tale differenza sta nell’affermazione biblica della “partecipe distanza ontologica” tra Dio e la sua creatura. Su questa distanza è fondata, da un lato, la simbolicità e storicità della Tradizione ebraico-cristiana (ed abramitica in generale considerando anche l’islam) e, dall’altro, l’idea della “Trascendenza immanente”, della Trascendenza che in-forma, da forma, all’immanente, intesa non come scissione dualista dell’unità primordiale ma, appunto, come Atto di Amore di Dio il Quale fa sorgere in Sé le creature senza che – qui sta anche la differenza tra la lettura spuria e quella autentica della dottrina cabalista dello zim-zum – Egli venga meno nel punto stesso nel quale esse compaiono per partecipazione ontologica.

«Tutti gli esseri viventi – scrive Attilio Mordini – sono dunque generati, secondo il saggio Aranyaka, dalle successive trasformazioni di Prakriti e per differenziarsi da Purusha senza peraltro riuscirvi dato che ogni manifestazione possibile è già presente in lui; non solo, ma le metamorfosi di Prakriti hanno effetto validamente creativo solo in quanto fecondate da Purusha medesimo. Possiamo ora avvicinare il testo citato alla Genesi e vedremo come Eva sia tratta da Adamo quale possibilità già implicita in lui, e ciò corrisponde anche all’impossibilità di Prakriti di differenziarsi realmente da Purusha; il principio dinamico femminile non può sfuggire al principio virile e puntuale come la carne stessa dell’uomo non può sfuggire dal corpo; “et erunt duo in carne una” (Genesi II, 24). (…) l’atto (colpevole) di Eva non sarà colpito da Dio sino a quando Adamo non avrà gustato del frutto proibito (che è la falsa conoscenza della gnosi spuria simboleggiata nel serpente ouroborico dei culti extra-abramitici, NdA); è allora, e soltanto allora, che i progenitori si accorgono d’essere nudi (ossia si accorgono di essere rimasti privi, denudati, della Grazia di Dio in precedenza perennemente presente al loro cuore, NdA). Eva tentata tenta a sua volta, ma è Adamo che in realtà pecca; e in Adamo pecca anche Eva, come nel nuovo Adamo, in Cristo, Eva sarà salva; e ancora in Cristo Maria è immacolata. Essa è concepita esente da peccato “ab aeterno”, ma concepita sempre nel Verbo che è presso il Padre, la sua purezza e la sua innocenza sono purezza e innocenza del Figlio. La Sacra Scrittura ci mostra Adamo creato per ultimo, mentre la Aranyaka Upanishad pone l’uomo al primo posto nella successione delle creature; ma la differenza sta nel fatto che il testo indù vuole proclamare l’uomo, quale microcosmo, sintesi di tutto il creato virtualmente contenuto in lui, la Sacra Scrittura, invece, vuol stabilire l’ordine, per così dire, storico della creazione, poiché … la Tradizione ebraico-cristiana è l’unica a fondarsi su di un testo che sia simbolico e storico al tempo stesso; infatti la Torah, la Legge, è anche e prima di tutto vita. Del resto nella Genesi “Il Signore Dio disse: ‘Non è bene che l’uomo stia solo: Io gli farò un aiuto convenevole a lui’. E il Signore Iddio, avendo formate dalla terra tutte le bestie della campagna e tutti gli uccelli del cielo, li menò ad Adamo, ché vedesse qual nome porre a ciascuno di essi, e qualunque nome Adamo avesse posto a ciascun animale fosse il suo vero nome. Ed Adamo pose nome ad ogni animale domestico, ed agli uccelli del cielo e ad ogni fiera della campagna; ma non si trovava ad Adamo aiuto convenevole a lui” (Genesi II, 19-20). Adamo cerca l’aiuto, il principio “pratico”, e lo cerca in tutti gli animali sottoponendoli quasi ad una seconda creazione, quella del linguaggio. Erano stati creati tutti per il Verbo di Dio, e l’uomo, ad immagine e somiglianza di Dio, ha il dono del verbo. Dio aveva già pronunciato su ciascun animale il suo vero nome all’atto della creazione (infatti attribuire il “nome” significa, metafisicamente parlando, attribuire l’essenza e quindi creare, NdA); Adamo alla vista dell’animale creato sente quel nome nella sua stessa anima e lo pronuncia con voce umana per la prima volta. E può farlo, perché tutto il creato sente presente in sé come immagine di Dio da un lato e del cosmo dall’altro (11). Ma non può trovare il suo aiuto, il suo principio pratico, fuori di se stesso alla stregua degli altri animali creati a coppie; il principio pratico di Adamo ha da essere principio pratico universale, già implicito quindi nella sua stessa pienezza spirituale. Solo una proiezione di se stesso può essergli aiuto adeguato in quanto espressione della sua unità ad attuarsi nel molteplice; ed è così che Eva è tratta dal suo fianco pur rimanendo sempre con lui, e a lui porgendo sempre presente tutta la molteplicità delle creature» (12).

Come abbiamo già osservato la distinzione sessuale di genere nell’essere umano non è effetto del dualismo immanente, come per le altre creature, ma gli deriva, “ab intra”, dall’essenza della propria natura umana fatta ad immagine e somiglianza di Dio, ad immagine dell’Adam Kadmon/Verbo. La Donna non compare per effetto del dualismo immanente, passivamente subito al modo degli animali, ma è tratta, per volere di Dio, direttamente dall’Uomo, da Adamo, che pertanto può riconoscerla quale sua stessa carne, ossia della sua stessa natura e, quindi, ella medesima Icona Dei.

Questo significa che la Donna, di cui Maria è in Mente Dei ab aeterno il Modello Archetipico sine macula, non è il derivato della scissione di un antecedente sessualmente indeterminato. Essa non si pone dinamicamente nella polarità opposta all’Uomo – quale scissione  dell’Androgino in Femmina e Maschio –,  ma è il Volto “gentile” di Adamo; esprime quel che è insito nello stesso Adamo e che Adamo riconosce ed ama quale essere prezioso e grazioso nel quale egli si specchia.

Eva è corporalmente più piccola di Adamo, più debole di lui, psicologicamente più emotiva di lui ed ha bisogno della sua forza protettiva, sia fisica che psicologica. Questo perché ella è “alter ego” di Adamo, tratta da lui in quanto implicita in lui. Ma, al tempo stesso, Adamo, corporalmente più forte e psicologicamente più stabile, trova la realizzazione della sua virilità – “Vir”, Uomo, con senso di verticalità assiale, da cui anche “Virgo”, la Donna Vergine ovvero Maria – nell’amare, proteggere e custodire, questa preziosa creatura che Dio ha tratto direttamente da lui e, quindi, a sé non aliena ma contenuta in sé.

In tal senso è legittimo porre un simbolico rapporto tra la Donna e la Creazione, quale “sposa” o “amata” di Dio. Allo stesso modo un tale simbolico rapporto è stato tradizionalmente affermato tra la Donna e la Chiesa, sposa di Cristo. Ma facendo molta attenzione a non tralignare nel contro-simbolismo ourobourico, apparentemente simile, connesso con i miti della fertilità cosmica e tellurica, che indica nella Donna la Natura/Femmina o la Natura/Deità o ancora la Natura/Madre/Matrigna.

Il simbolo della ruota o del cerchio indicano la creazione quale macrocosmo ed è simbolismo sovente connesso, anche in ambito cristiano, con la Donna, ad iniziare dalla Corona di stelle che circonda il capo di Maria o dal rosone delle cattedrali. Ma, qui, il riferimento è alla creazione quale opera buona – Opus Magnum – dono dell’Amore di Dio, che nella Donna – in Eva e nella Nuova Eva ossia in Maria – trova l’apice “virginale” ovvero espressivo dell’elemento gentile e materno dell’adamicità. Non si tratta, dunque, di un simbolismo “mono-dualista” indicante la polarizzazione scissionista tra la “Madre-Terra” ed il “Padre-Cielo”, come nei miti pagani.

In questo senso – nel senso della Donna quale simbolo della Creazione, Opera Magna dell’Amore di Dio – «Il macrocosmo e il microcosmo – scrive ancora Attilio Mordini –, la creazione e l’uomo, possono entrambi paragonarsi alla ruota. Nella tradizione cristiana il paragone è di Boezio, ma è presente in ogni tradizione spirituale (…). E’ il rosone che si apre sulla facciata delle nostre chiese … la ruota del Sole e del tempo che dalla romanità antica è passata alle meridiane dei nostri monasteri. Se percorriamo nella sua lunghezza, movendo dalla periferia al centro il raggio di una ruota in azione, possiamo constatare che la velocità dei giri diminuisce sempre più in ragione proporzionale al nostro avvicinarci al centro stesso, benché immutata rimanga la velocità del moto di rotazione dell’intera ruota. E ciò perché più angusta è la circonferenza percorsa da un punto del raggio in ragione della minor distanza che la separa dal centro; e il centro è un unico punto, un punto fermo girante solo su se stesso; da questo punto, percorrendo l’asse, l’uomo si trascende. Il centro è d’altronde il punto che determina i giri di tutta la ruota (…). Se trasferiamo il simbolismo della ruota dall’uomo alla creazione intera, quel punto fermo è l’eternità dalla quale si snodano gli evi, si squadernano i secoli, si riversano i giorni a piene mani sulla faccia della Terra. La periferia della ruota … è il mondo fluido … che Pascal chiamerebbe mondo del divertimento, da “de-vèrtere”, allontanarsi dal punto centrale. Per Agostino e per Boezio entrare in “interiorem hominem” significa trascendere i sensi nel sentimento, quindi nella ragione, ed infine nell’intuito, nel cuore dello spirito, nell’amore vero che nel poema di Dante “… muove il Sole e le altre stelle” (Paradiso, XXXIII, 145). E infatti quel punto è … la via dell’asse, la via del cielo, la “via sacra” di Isaia … che unisce l’uomo a Dio. (…). L’azione è il passaggio dalla potenza all’atto. Per San Tommaso Dio è atto puro; e nell’uomo, immagine di Dio, l’atto puro è contemplazione, quindi atto di Dio e dell’uomo al tempo stesso, o meglio presenza di Dio nell’uomo, ché l’uomo in quanto creatura non potrebbe essere capace da solo di atto puro. (…). Per passare efficacemente dalla potenza all’atto … è indispensabile ispirarsi all’atto già realizzato quale modello anteriore ad ogni azione e quale causa finale di ogni divenire; e quest’atto è appunto la presenza di Dio nell’uomo che si fa esperienza operante proprio nella contemplazione. L’uomo esteriore diviene sempre, e col divenire quasi si identifica, ma l’atto interiore con la sua presenza puntualizza ogni azione nell’identità del Sé. L’io psichico e sensoriale è mutamento continuo, alternarsi incessante di gioia e di dolore, di pianto e di riso, di godimento e di sofferenza; il Sé spirituale ed interiore è atto della presenza, è continuità di ciò che diviene o sembra divenire, ché non potrebbe divenire, né constatare alcun mutamento, se non fosse sempre lo stesso (…). E in questa presenza a se stesso e a Dio sta la memoria, l’intelletto e la volontà dell’uomo, che per san Bonaventura è l’immagine della Trinità nell’anima umana; sta la sua responsabilità tra il bene e il male; la responsabilità della scelta … (e nell’)abbraccio con Dio, sta la piena realizzazione della personalità, il conseguimento del fine eterno; del fine che è principio, perché è ben quel Fine che crea l’uomo evocandolo dal nulla. (…) un agire che non muova dalla contemplazione, è un assurdo, perché non v’è azione che non abbia il suo principio e il suo fine nell’atto pur muovendo dalla potenza, nel Verbo che è parola di Dio e dà vita e voce all’uomo. Una pratica che non è vera azione non crea, perché priva di atto, cioè della parola che ha creato l’universo. Adamo può dar nome agli animali perché contempla Dio, e Dio glieli indica uno per uno davanti ai suoi occhi ancora casti e innocenti. (…). (Quando aderisce alla falsa gnosi ouroborica) L’uomo si ribella … al suo primo Fattore e al tempo stesso alla puntualità del proprio essere che è immagine di Dio, alla radice della sua personalità che è il nome dell’uomo pronunciato dal Creatore nel fondo di ogni anima. (…). Dobbiamo render conto d’ogni parola oziosa, d’ogni parola cioè che non sia libera e consapevole adesione alla parola di Dio; e sono parole oziose tutte le azioni che non muovono dall’atto interiore della Grazia per elezione veramente libera, cioè per elezione nel bene. Se le parole non procedono dalla parola divina sono parole oziose, le azioni che non procedono dall’atto interiore della contemplazione sono dissipazione …» (13).

Luigi Copertino

 

NOTE

7) Sono, quelle citate, parole stesse di Maria nella sua rivelazione alla veggente Consuelo nel libro “Maria porta del Cielo”, Editrice Ancora, Milano, 1991, pp. 28-37, pubblicato con imprimatur ecclesiale.

8) Cfr. Attilio Mordini “Il mito primordiale del Cristianesimo quale fonte perenne di metafisica”, Vanni Scheiwiller, Milano, 1976. In particolare, sulla questione, si vedano i capitoli dal IV al VII, pp. 26-53. In detti capitoli l’opposizione di Michele a Satana diventa, incautamente, al modo del doppio contrario manicheo, un dualismo Bene-Male quasi insito in Dio stesso. In una serie di passaggi come questi che si vanno a citare è evidente la buona intenzione di Mordini di spiegare metafisicamente il Disegno creatore di Dio ma anche l’inferenza dell’idea non biblica per la quale l’universo materiale sarebbe l’esito di un ritmo “emanativo” ed un “rimedio necessitato” per rispondere al non serviam di Lucifero, senza del quale, quindi, non ci sarebbe stata alcuna creazione materiale. «Il gesto di Lucifero – scrive Mordini – turba la creazione. Già create le gerarchie angeliche, era la volta della creazione dell’universo; ma l’universo non sarebbe stato creato ex nihilo, e sarebbe stato esente da ogni limitazione fisica e da ogni negatività. Non armonia dei contrasti, come l’universo attuale, bensì armonia da armonia; ma la ribellione di Lucifero dà luogo al chaos come tentativo di attuare il nulla osteggiato da Michele. (…). Su tale chaos il Signore pronuncia il “fiat Lux”, e la “nihilitas” di Lucifero vien trasformata, al suo stesso sorgere, in “limitatio” per la creazione della materia fisica. (…). La creazione della materia, dunque, e dell’universo sensibile altro non è che la manifestazione dell’Infinito nel finito, dell’uno nel molteplice per l’ordine e l’equilibrio tra Satana e Michele. (…) Ci sarebbe da domandarsi, a questo punto, se Dio, nel creare l’universo, sia stato condizionato da Lucifero a scapito della Sua Onnipotenza. In realtà non sarebbe condizionata la creazione, ma il “modo” della creazione fisica, in quanto il “non serviam” di Lucifero avrebbe portato un turbamento. (…) Dio ha creato l’universo migliore possibile rispettando l’esistenza di Satana e degli angeli ribelli; e si serve proprio della loro opera negativa per attuare quell’evoluzione di un universo perfettibile che, in forme meravigliose, manifesta sempre più la Sua gloria di Creatore. Ci troviamo, insomma, di fronte a tre personaggi di un dramma: il personaggio numero uno è Dio, ordine e ordinatore supremo per cui l’ordine stesso non è equilibrio di un contrasto, ma vera e suprema armonia. Il due è Lucifero, colui che divide ciò che è unito, nel tentativo di realizzare il non essere; e il tre è Michele, il bene di riflesso; è anch’egli, in certo qual modo, l’uno, ma inteso in posizione dialettica con il due anziché nella sua pienezza. Ed è appunto dall’equilibrio dialettico tra Michele e Satana che Dio crea equilibrio d’ordine e d’armonia sempre evolventesi in forme più complesse fino al prevalere ultimo dell’Arcangelo. (…). Lucifero dunque non è necessario a Dio per creare, ma è indispensabile a noi per spiegare questo universo fisico». La conseguenza di tale “svista”, per la quale sembra volersi incautamente sottendere che Satana come Michele, il Male ed il Bene, siano “parti” di Dio, è che Mordini, nei passaggi successivi, è costretto a parlare, in relazione alla prova cui secondo la Rivelazione sono stati sottoposti gli angeli viatori, di una iniziale intenzione di sola “creaturalizzazione” del Verbo, nel senso che il Verbo, non essendo affatto né prevista né ancora necessaria, quale conseguenza della ribellione angelica, la creazione del mondo fisico e quindi anche dell’uomo, si sarebbe ipostaticamente unito soltanto alla natura angelica, in quanto l’unica creazione nell’originario disegno divino avrebbe dovuto essere solo quella del livello spirituale, angelico, dell’universo. E’ evidente che una tesi del genere, non confortata dalla Rivelazione, sottende l’orrore gnostico per la carne, per la creazione materiale. Ed è, questo, in Mordini uno spiacevole incidente di percorso del quale l’esegeta fiorentino non sembra essersi accorto. L’orrore della carne, infatti, è esattamente ciò che, di fronte alla prospettiva dell’Incarnazione del Verbo, indusse Lucifero, il quale è il primo degli gnostici spuri, ha proferire il suo “non serviam”. L’incauta tesi di Mordini, come detto, postula implicitamente che l’uomo, con il mondo fisico, sarebbe “peccato”, negatività, in quanto sarebbe stato creato solo per conseguenza della ribellione di Lucifero. Sicché, come sostiene anche la teosofia gnostica della Blavatskij, noi dovremmo quasi ringraziare Satana per il nostro essere comparsi sulla scena della creazione dato che Dio non avrebbe pensato all’uomo. Sappiamo invece, secondo la Rivelazione biblica, che l’uomo è la Sua amata Icona nell’immanente “sin dagli albori dei secoli” ossia sin dall’Eternità.

9) Cfr. Attilio Mordini, “Verità del linguaggio”, Volpe, Roma, 1974, con Introduzione di padre Raimondo Spiazzi. In particolare il primo capitolo, pp. 11-21.

10) Cfr. A. Mordini “Verità …” op. cit. p. 13.

11) Vogliamo evidenziare che, dunque, per Mordini, conformemente alla Rivelazione, non è l’Adamo creatura a creare; chi crea è l’Adam Kadmon/Verbo, mentre l’Adamo creatura si limita a “ripetere” il nome già pronunciato da Dio. Adamo è re della creazione in quanto Icona Dei, è re nel Vero Re che è solo Dio; Adamo è più appropriatamente il “Luogotenente del Re”, quindi solo il custode dell’Eden.

12) Cfr. A. Mordini “Verità …” op. cit. pp. 13-15.

13) Cfr. A. Mordini “Verità …” op. cit. pp. 16-19.

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