VERITA’ CRISTIANA E PERENNIALISMO di Luigi Copertino – prima parte

VERITA’ CRISTIANA E PERENNIALISMO

prima parte

QUALE PHILOSOPHIA PERENNIS?

Secondo la Treccani “Philosophia perennis” è espressione coniata dal teologo agostiniano Agostino Steuco (“De perenni philosophia”, 1540), il quale riprendendo motivi di Marsilio Ficino e di Giovanni Pico della Mirandola, soprattutto quello relativo all’accordo tra la “prisca theologia” e il Cristianesimo, intese riferirsi alla presenza di un nucleo comune di verità – consistente nella ricerca del principio delle cose e nel conseguente anelito alla conoscenza di Dio – in tutta la storia della filosofia e in tutte le religioni, dai testi della tradizione ermetica fino a Platone ed ai teologi cristiani. Fondato sulla commistione, tipica del platonismo rinascimentale, tra filosofia e religione, il tema della Philosophia perennis  era volto soprattutto a dimostrare la verità e la superiorità del Cristianesimo, di cui gran parte del pensiero precedente, e in particolare quello di Platone, avrebbe colto il più intimo ed essenziale nucleo, poi chiaramente espresso soltanto dai teologi e dai filosofi cristiani.

A dire il vero, in età umanistico-rinascimentale la riproposizione del tema patristico dei “semina Verbi” non riuscì ad impedire, in quella che, a proposito di Pico della Mirandola, padre Henri De Lubac ha definito “l’alba incompiuta del Rinascimento”, il disallineamento tra Fede cristiana e platonismo, con conseguente divaricazione tra fides et ratio poi portata a radicale opposizione da Lutero, che invece l’attenta e secolare opera dei Padri della Chiesa, culminata in terra latina con Agostino e lo Pseudo-Areopagita, era riuscita ad evitare discernendo tra il “Plato christianus” ed il “Plato non christianus”.

E’ comunque vero che le intenzioni di fondo di Agostino Steuco e, forse, degli stessi Pico e Ficino fossero quelle di dimostrare e riaffermare la superiorità e centralità del Cristianesimo proponendolo come vera ed autentica Philosophia perennis.

Il termine “Philosophia perennis” fu poi ripreso da Gottfried Leibiniz che lo uso per designare la filosofia eterna soggiacente e comune a tutte le religioni, se messe a paragone sotto il loro profilo mistico e non meramente teologico.

Se Agostino Steuco intendeva ancora dimostrare che Philosophia perennis e Verità Cristiana non solo coincidono ma addirittura che il Cristianesimo è esso la Rivelazione primordiale, già un paio di secoli più tardi in Leibniz prevale una interpretazione latudinarista – quella poi fatta propria dalla teosofia massonica – per la quale il Cristianesimo, lungi dal poter rivendicare qualsiasi primato, è solo una delle tante religioni, uno dei raggi di una ruota che tutti conducono ad un unico centro il quale, quindi, non coincide più con la Verità cristiana. Il “perennialismo” diventava così la via del relativismo, perdendo la sua caratteristica di via mistica all’Essere.

In tempi più recenti Aldous Huxley scelse per un suo saggio, pubblicato nel 1945, il titolo “La filosofia perenne” . La tesi principale di questo saggio si pone sulla scia di Leibniz ed è quella per cui, in ogni forma più o meno sviluppata di religione, si trovano correnti di pensiero puramente mistiche che riconoscono – attenzione al termine qui usato! – una stessa “Realtà divina consustanziale al mondo”. Essendo alla ricerca del divino “consustanziale” al mondo, la filosofia perenne viene definita da Huxley come un approccio di tipo psicologico che scopre l’identità tra l’anima e la Realtà divina. Tra gli scrittori mistici annoverati da Huxley quali “padri nobili” del perennialismo, così inteso, si registrano, a suo dire, in ambito cristiano sant’Agostino, Bernardo di Chiaravalle, Meister Eckhart, san Francesco di Sales. Il loro “magistero” è letto, da Huxley, mediante il filtro dell’orientalismo desunto dalla Bhagavadgita, dalle Upanisad, dal Buddismo e dai maestri Lao Tzu, Chuang-tzu e Huineng. Si tratta, tuttavia, di una forzatura senza alcun autentico fondamento, salvo forse che per Eckhart. Non a caso il primo capitolo del saggio di Huxley ha come titolo l’indù ta tvam asi, “Quello sei tu”, a significare l’identificazione panteista dell’Ātman, il Sé eterno, con il Brahman ossia il principio assoluto di ogni esistenza.

L’accezione post-cristiana della “philosophia perennis” è diventata nel XX secolo quella fatta propria dalla cosiddetta “Scuola tradizionalista” o “Scuola di Metafisica Tradizionale” che ha in René Guénon, Ananda Coomaraswamy, Frithjof Schoun ed Elémire Zolla i suoi più noti esponenti.

Ora, però, quel che vorremmo sottolineare e ricordare, in particolare ai cattolici alquanto affascinati dal perennialismo post-cristiano, è che, sussistendo nel panorama religioso dell’umanità una irriducibile eccezione ossia quella abramitico-mosaica – la quale prende le mosse dalla Rivelazione dell’Essere Ineffabile ad Abramo e Mosè, quale continuazione di quella adamitica, noachica e melchisedecchiana –, il concetto di Philosophia perennis, senza i necessari distinguo, è ambiguo, a doppio taglio, e che lo stesso può essere cristianamente accreditato a patto che lo si colga secondo le intenzioni di Agostino Steuco, ossia riconoscendo che non c’è vero Perennialismo senza la centralità del Verbo di Dio e – attenzione! – non del Verbo inteso soltanto in senso principiale ma del Verbo incarnato.

Infatti, la Verità cristiana è, insieme, sovrastorica e storica, tiene unite Eternità e tempo, e non si da senza questo indissolubile “et – et”. La teologia, nel suo sviluppo, ha una storia, perché lo sviluppo storico è necessario per intendere bene il significato delle categorie teologiche. Non esiste però teologia autenticamente cristiana senza la Fede che deriva dall’accettazione della Rivelazione abramitico-mosaica adempiutasi in Cristo. Ora, però, la Fede, fondata sulla Rivelazione, è una ed è sempre la stessa lungo tutti i secoli e in tutti i luoghi. Partendo da questa constatazione fu chiaro, sin dall’inizio, ai cristiani più colti – si pensi ai Padri della Chiesa o ai Dottori medioevali – che non è possibile  enunciare in modo corretto la Verità cristiana senza attingere a categorie la cui “astrazione”  garantisca ad Essa l’atemporalità. Tali categorie non possono che essere quelle della Metafisica. Solo essa infatti supera la storia senza tuttavia rinnegarla ed impedisce al cristiano di cadere e spiritualmente morire nello storicismo (è quanto è accaduto a chi ha fatto di un certo tipo di metodo storico-critico il criterio unico, supposto scientifico, di esegesi). Solo la Metafisica consente di trattare ciò che va oltre i movimenti epilettici dei nostri avvenimenti terreni e di riscoprire una Philosophia perennis coerente con la Verità rivelata. In tal modo, e solo in tal modo, la Metafisica, il Perennialismo, possono diventare l’alleato privilegiato della Fede, fornendo alla teologia categorie (sostanza, accidente, forma o materia, etc.) senza storia ma, al tempo stesso, “viventi” nella storia.

In un ottica, ad esempio, induista il Perennialismo, inteso relativisticamente, non fa una piega. Al di fuori dell’ambito abramitico-mosaico non esiste, infatti, alcuna pretesa di unicità veritativa. Le tre fedi abramitiche, Ebraismo, Cristianesimo ed Islam, si propongono invece come uniche depositarie della Verità. Cosa che le espone da parte dei detrattori ad accuse di intolleranza. Ma per costoro la tolleranza coincide sic et simpliciter con il relativismo che è la morte stessa della spiritualità umana.

Per il Cristianesimo, in particolare, Verità e Salvezza in senso pieno ed esclusivo, si trovano solo in Cristo benché, appunto, “semi del Verbo” sono riconosciuti nelle altre espressioni religiose dell’umanità che vengono, tutt’al più, considerate in più o meno consapevole cammino verso la Pienezza.

Ora, riconoscere che in molte esperienze spirituali possano trovarsi elementi di Verità non è affatto la stessa cosa che affermare che la stessa Verità si manifesta in tutte le esperienze spirituali. Ecco perché dai Padri della Chiesa fino ad Agostino Steuco non si è mai dato un Perennialismo che non riconoscesse in Cristo la Pienezza della Verità.

Questo riconoscimento di Pienezza tronca subito le gambe alla spiegazione proposta dalla “Scuola di Metafisica Tradizionale” per rendere ragione del pluralismo religioso a fronte dell’Unicità Universale della Verità. La spiegazione di detta Scuola è fondata sulla, mai dimostrata, sussistenza di due livelli interni ad ogni religione: quello “essoterico”, esteriore, attinente appunto al pluralismo delle espressioni religiose e proprio della fede popolare, e quello “esoterico”, interiore, attinente alla Verità misteriosofica, comune a tutte le vie spirituali, e proprio dei soli “iniziati”.

E’ evidente che il Perennialismo latudinarista, post-cristiano, minimizza e relativizza l’eccezione abramitica ed in particolare l’Unicità Universale e Salvifica di Cristo, Dio-Uomo. La cosiddetta “unità trascendente delle religioni” cozza frontalmente con tale Unicità cristiana che è irrinunciabile anche laddove, come è giusto sulla scia di una rinnovata conoscenza della Patristica, il “nulla salus extra Ecclesiam” non può più essere interpretato, come un tempo e come continuano a fare oggi i “catto-talebani”, alla stregua di un confine perfettamente coincidente con le mura istituzionali, dato che, invece, solo Cristo sa dove siano effettivamente tali confini, benché a nessuno sia concesso di credere che della Chiesa gerarchica, Corpo Mistico di Cristo medesimo, si possa, protestanticamente, fare a meno.

SANTA CATERINA E IL SEGRETO DELLA VERITA’

Sul finire della sua vita terrena, santa Caterina da Siena, come testimonia nella Legenda Maior il suo confessore e biografo Raimondo da Capua, aspettava con impazienza il momento, che ella già conosceva, nel quale sarebbe volata in Cielo nell’Amore del suo Cristo Signore. Caterina voleva finalmente contemplare direttamente la Verità. Ma proprio in quegli ultimi anni la mistica senese fu beneficiata di una rivelazione particolare sulla Verità con l’ingiunzione che avrebbe dovuto farne partecipe tutta l’umanità. Come era suo solito, quindi chiamò a sé i suoi discepoli affinché essi, durante le sue estasi, trascrivessero tutto quello che avrebbe detto o ripetuto per averlo sentirlo da Cristo-Amore. Nacque così il “Dialogo” o “Dialogo della Divina Provvidenza”, che ha per tema principale la Verità. A Caterina Essa fu rivelata, come dice Raimondo da Capua, in una Luce straordinaria quasi due anni prima del suo transito terreno.

Veniva così a compimento un percorso mistico iniziato anni prima quando Gesù la introdusse sul sentiero che conduce alla Verità ponendole una domanda. Racconta ancora Raimondo da Capua (“Vita”, 92) che nei primi tempi dell’ammissione di Caterina all’Ordine della Penitenza di san Domenico, il Signore le apparve chiedendole: «Sai chi sei tu e chi sono io? Se saprai queste due cose sarai beata». Una domanda, quindi, che sottende una promessa che è quella di essere beata mediante l’accesso alla vera Conoscenza del Segreto della Verità. Nostro Signore non diede tempo a Caterina di tentare una risposta, quasi che la creatura non possa, senza che gli sia rivelata, dare una risposta puntuale e vera, e immediatamente continuò: «Tu sei quella che non è; Io, invece, Colui che sono».

Il Segreto della Verità, dunque, sta nel Nome Santo di Dio già rivelato a Mosè (Es. 3,14). Un Segreto al quale si accede solo quando il Dio apofatico – tale, ossia apofatico, è il senso dell’“Io Sono Colui che Sono” – si rivela, si mostra anche Dio catafatico affinché la sua creatura possa entrare in Lui, nel Segreto stesso della Verità, altrimenti inaccessibile a qualunque sforzo umano.

Tuttavia è difficile accettare l’idea che ciascuno di noi “non è”. Siamo vivi, lavoriamo, ci muoviamo, soffriamo, godiamo, gioiamo, studiamo, sicché come può essere che noi non siamo?

Caterina, ammessa al Segreto della Verità, intuì perfettamente cosa significa quanto le aveva rivelato Cristo dolce Iesu, come lei chiamava Nostro Signore. L’essere creaturale non può motivare autonomamente la propria esistenza e deve trovare il suo principio al di fuori di sé. Il niente di ogni essere è messo in evidenza dal confronto con la Pienezza dell’Essere, con Colui che è l’Essere in Sé ed è causa dell’esistenza di tutto ciò che esiste.

La Conoscenza della Verità è pertanto l’esito della Conoscenza di Dio e della Conoscenza di sé. Due Conoscenze che non possono essere separate perché ciascuna da sola non ci porta alla Verità piena. La sola conoscenza di Dio conduce, in un eccesso di apofatismo radicalizzato, all’identificazione, impossibile, con la Sostanza Divina che è sempre altra da noi, pur essendo noi in Essa. La sola conoscenza di sé, senza la consapevolezza che il nostro “nulla” può appoggiarsi su Colui che è, conduce alla disperazione, alla mortificazione nichilista, al disprezzo della creatura o, al contrario, alla presunzione di essere ontologicamente non dipendenti.

Dopo averle svelato il Segreto della Verità, Nostro Signore promise a Caterina che se vi si fosse attenuta avrebbe percorso, con il Suo aiuto, la Via Regia che porta alla Pienezza della Grazia e della Luce Metafisica.

Percorrendo tale cammino, Caterina comprese, un po’ alla volta, ispirata da Cristo-Amore, il motivo per il quale Colui che è, e che non ha alcun bisogno di altri all’infuori di Sé Stesso, ha chiamato all’esistenza il mondo e l’uomo. In un accesso mistico alla Verità, a Caterina fu dato di capire che nulla se non l’Amore aveva indotto “Io Sono” a creare quanto esiste.

La creazione come atto di amore è, quindi, la terza Conoscenza dopo quella di Dio e di sé, che porta il cuore alla gioia ed alla lode.

Caterina espresse questo stupore mistico in una preghiera

«Adunque, Padre etterno, come creasti questa tua creatura? Io di questo so’ forte stupefatta; e veramente io veggo, sì come tu mi dimostri, che per neun’altra cagione el facesti se none che col tuo lume ti vedesti constrengere dal fuoco della tua carità a darci l’essere» (Orazioni, IV).

Il linguaggio della santa è ardito. Ella dice a Dio che Lui fu “costretto” a darci l’essere dall’incontenibile Fuoco della Sua Carità, del Suo Amore.

L’Amore di Dio diventa poi, nella riflessione ispirata della mistica senese, l’unico motivo per la creazione dell’uomo, ritratto vivente del Dio Vivente. Caterina non manca, infatti, di osservare che, nella narrazione del Genesi, Dio all’atto della creazione delle cose inanimate ed animate dice soltanto “Sia fatto …”, mentre al momento della creazione di Adamo dice “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza …”. Sicché ella commenta: «E questo facesti volendo tu, Trinità eterna, che l’uomo partecipasse tutto a te, alta ed eterna Trinità. (…). Chi ne fu cagione, che tu ponessi l’uomo in tanta dignità? L’amore inestimabile col quale riguardasti in te medesimo la tua creatura e innamorastiti di lei; e perciò la creasti per amore e destile l’essere, acciò che ella gustasse il tuo sommo eterno bene» (Dialogo, XIII).

Adamo, tuttavia, non poteva restare solo in un mondo regolato dal dualismo naturale che lega insieme i contrari, notte e giorno, freddo e caldo, maschio e femmina. Ma Adamo, Icona di Dio, non avrebbe mai trovato nell’immanenza la “sua stessa carne”. Era necessario che essa scaturisse dalla sua stessa natura privilegiata. Eva è tratta, dall’Amore del Creatore, da Adamo perché «perché non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (Gn. 2,18). Non dunque scissione di un Adamo asessuato in Uomo e Donna ma, piuttosto, Eva quale femminilità insita in Adamo ossia la Donna quale alter ego dell’Uomo.

La Donna doveva essere tratta da Adamo perché sarebbe stata Colei che avrebbe consentito l’Incarnazione del Verbo, Nuovo Adamo. Contemplando il Mistero dell’Incarnazione Caterina invocava Maria “Tempio della Trinità”.

Il Dio trinitario è, nella visione mistica di Caterina, anche il Giardino Eterno sul quale in origine fu modellato il Giardino edenico per la vita buona dell’Uomo adamico

«O Trinità eterna, o Trinità eterna, nel tuo lume si cognosce che tu sei quello sommo et eterno giardino che tieni in te rinchiusi gli fiori e gli frutti, perché tu sei fiore di gloria il quale rendi gloria a te medesimo, rendi frutto a te medesimo (…). Nel giardino del seno tuo era rinchiuso l’uomo, o Padre eterno: tu el traesti de la santa mente tua come uno fiore distinto in tra potenzie de l’anima, e in ciascuna hai posta la pianta a ciò che potessimo fruttificare nel tuo giardino ritornando in te col frutto che gli hai dato» (Orazioni, XIII).

Ma il Dio creatore è anche sommamente Provvidente e non lascia la creazione e l’uomo senza la cura necessaria. Secondo la testimonianza di Raimondo da Capua, Caterina aveva una fiducia smisurata nella Provvidenza divina e che tale fiducia le veniva dall’essere stata ammessa misticamente alla duplice conoscenza – di Dio e dell’uomo – della Verità che le era stata rivelata. Il Signore stesso le ingiunse: «Figlia, pensa a me; se lo farai, Io penserò subito a te» (Vita, 97).

Il sommo grado della Provvidenza divina fu rivelata a Caterina nella kénosi di Dio, nel piegarsi del Creatore sulle ferite della creatura

«… avendo perduto il vestimento della innocentia – dice Dio Padre alla mistica a proposito di Adamo – e dinudato d’ogni virtù, periva di fame e moriva di freddo (…). Ma Io, somma providenzia, provvidi a questa necessità. Unde, non costretto dalle vostre giustizie né virtù, ma da la mia bontà, vi diei il vestimento per mezzo di questo dolce e amoroso Verbo unigenito mio Figliuolo. Il quale, spogliando sé della vita, rivestì voi di innocenzia e di grazia (…). Anco l’ò riscaldato manifestandovi l’unigenito mio Figliuolo, per l’apriture del corpo suo, il fuoco della mia carità (…). La mia providenzia gli à dato il cibo per confortarlo mentre ch’egli è viandante e peregrino in questa vita (…) e fatto indebilire i nemici suoi, che veruno gli può nuocere se non esso medesimo. La strada è battuta nel sangue della mia Verità acciò che possa giognere al termine suo, a quel fine per lo quale el creai. E che cibo è questo? (…) è il corpo e il sangue di Cristo crocifisso, tutto Dio e tutto uomo (…). Sì che vedi che la mia providenzia à proveduto di dargli conforto» (Dialogo, CXXXV).

Quindi per Adamo, vero uomo in spirito anima e corpo, la fame ed il freddo, ossia la soggezione alle dure condizioni spazio-temporali, sono sopraggiunte con la perdita della santità originaria, ossia dell’unione mistica con Dio. Prima del peccato la dimensione ontologica dell’uomo era tale che egli, pur dotato di un corpo quale quello attuale, ossia biologico, non pativa fame, freddo, malattie, morte.

«Io v’invito – così Caterina in una lettera a fra’ Bartolomeo Domenici – a entrare in uno mare pacifico, per questa ardentissima carità, e mare profondo: questo ò trovato ora di nuovo … in quella parola “Dio è amore” (…) così rappresenta nell’anima mia tutte quante l’operazioni essare solamente amore, però, che non è fatta d’altro che amore, e però dice egli: “Io so’ Dio amore”» (Lettere, 146).

Dio è un Oceano, un Abisso, infinito di Amore nel quale alla creatura è dolce perdersi perché alla fine vi si ritrova

«O Trinità eterna, o deità! (…) Tu, Trinità eterna se’ uno mare profondo, che quanto più c’entro più truovo, e quanto più truovo più cerco di te. Tu se’ insaziabile, ché saziandosi l’anima nell’abisso tuo non si sazia, perché sempre permane nella fame di te, assetisce di te (…). O abisso, o deità eterna, o mare profondo!» (Dialogo, CLXVII).

La distanza tra l’Infinito di Dio ed i limiti dell’uomo è il fondamento della comunione tra il Creatore e la creatura: Dio è Amore e la creatura di questo Amore è anch’essa amore, sicché essa è ontologicamente buona

«Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn. 1,31).

Questa è il segreto rivelato a Caterina dalla “Prima Dolce Verità”. In questo consiste la  Conoscenza della Verità.

GNOSI PURA E GNOSI SPURIA

«Non ogni “gnosi” – è stato osservato – … può essere considerata “gnostica”: autori decisamente ortodossi, come Clemente Alessandrino o Massimo il Confessore, parlano tranquillamente di una “gnosi” cristiana. I tratti salenti dello “gnosticismo”, esposti schematicamente, sarebbero allora i seguenti: a) la presenza di un complesso schema mitologico-cosmologico fondato sull’idea di “caduta” (rottura originaria di un ordine divino del cosmo, talora coincidente con la creazione del mondo sensibile ad opera di un demiurgo), cui corrisponderebbe sul piano antropologico b) un acceso dualismo tra mondo materiale e mondo spirituale e c) l’idea di un patrimonio sapienziale esclusivo, trasmissibile per via esoterica, in grado di condurre il gruppo ristretto che lo possiede alla salvezza e alla liberazione dai lacci della vita carnale. Un ulteriore tratto, tipico delle dottrine gnostiche, è ravvisabile nella mescolanza di elementi provenienti da tradizioni religiose eterogenee, spesso amalgamati senz’alcuna pretesa di coerenza. Molto frequente, infine, è una rigida classificazione dell’umanità secondo tre categorie: gli spirituali (o pneumatici, ossia coloro che posseggono la “gnosi” e sono già redenti), gli psichici (ossia gli uomini che, con l’aiuto dei “perfetti”, possono accedere alla “gnosi”) e gli ilici (nei quali predomina la hyle, cioè la materia, e che perciò sono destinati alla dissoluzione). Oltre al consueto richiamo ad insegnamenti nascosti, che sarebbero stati impartiti segretamente a personaggi della storia biblica o delle origini cristiane» (1).

Molto spesso i cultori della cosiddetta Philosophia perennis non s’avvedono che non è tutto oro ciò che luccica. Fuor di metafora essi non tengono conto degli “inquinamenti” subiti dalla Rivelazione primordiale nella sua trasmissione post-edenica. Da qui certi “errori” nei quali sono incorsi i principali esponenti contemporanei della “Scuola di Metafisica Tradizionale” propugnanti il Perennialismo latudinarista (2). L’inavvertenza di queste distorsioni ha creato seri problemi nel rapporto tra Fede cristiana e Philosophia perennis ed indotto, errore di reazione, i cristiani a rinchiudersi in decadenti scolastiche razionalistiche che, oltretutto, con l’autentico pensiero tradizionale dell’Aquinate hanno molto poco a che fare, laddove, invece, al contrario, è proprio Cristo il Restauratore della Rivelazione Primordiale e quindi della stessa Philosophia perennis.

Il punto cruciale, in argomento, è dunque quello di considerare l’esistenza di una gnosi spuria che si contrappone alla vera gnosi, alla vera conoscenza agapica di Dio, autenticata dalla Rivelazione originaria. Il tratto forse più indicativo della gnosi spuria è nella svalutazione della Creazione che non viene riconosciuta, come attesta il Genesi, quale Opus Magnum di Dio e quindi Sua Opera Buona. La gnosi spuria nella creazione vede una “caduta ontologica” dello Spirito nella materia.

L’essenza profonda della gnosi spuria è tutta svelata in Gen. 3,5 laddove la perenne tentazione suona come l’invito luciferino all’auto-deificazione. La gnosi spuria, in tutte le sue espressioni, muove dal concetto che l’uomo è un frammento divino esiliato, “gettato”, nel mondo oscuro dell’esistenza materiale. Facendo coincidere l’atman individuale con il Brahman o Atman universale, la spiritualità vedantica, ad esempio, non può che identificare panteisticamente lo spirito umano con lo Spirito Divino e derivarne che esso vive prigioniero di una illusoria manifestazione fenomenologica – “maya” – dalla quale deve liberarsi risvegliando la consapevolezza del “Quello sei tu” (“ta tvam asi”). Che è come dire: Dio, ossia “Quello”, “sei tu”. E’ una proclamazione della connaturalità della natura umana con la Sostanza Divina, una affermazione dell’auto-deificazione dell’uomo. Per la Rivelazione originaria, invece, l’uomo è soltanto ontologicamente partecipe della Divinità, essendo egli “in Dio” ma quale “altro da Dio”.

«Metafisica – scrive Frithjof Schuon – significa essenzialmente distinzione tra il Reale e l’apparente, o l’illusorio. In termini vedantici, Atma e Maya, il Divino e il cosmico. La metafisica si occupa anche delle radici di Maya e Atma, cioè la Personificazione Divina, il Dio creatore e rivelatore, e poi della proiezione di Atma in Maya, che sta a significare tutto ciò che è positivo e buono al mondo» (3).

Se, da un lato, Schuon sembra cogliere la positività e bontà della creazione, quale “proiezione” del Divino nel mondo, dall’altro, tuttavia, egli non riesce a superare la distorsione per la quale al Reale si opporrebbe l’apparente. Una distorsione che postula, inevitabilmente, la natura soltanto illusoria della creazione che, pertanto, sarebbe “maya”, illusione fenomenica senza alcuna consistenza reale, neanche per partecipazione ontologica.

L’Adam Kadmon, l’Uomo Primordiale, è il Verbo di Dio, la Seconda Persona della SS.ma Trinità. Non a caso Nostro Signore Gesù Cristo, con riferimento all’Adamo/Verbo, all’Adam Kadmon, del Quale l’Adamo creatura è solo una icona nella creazione, ha attribuito a Sé il titolo, tradizionalmente divino e messianico, di “Ben Adam”, Figlio dell’Uomo. Se l’Adam Kadom, ossia l’Uomo Primordiale, è il Verbo di Dio, consustanziale al Padre, dichiarandosi “Figlio dell’Uomo”, Gesù Cristo si è dichiarato Verbo di Dio, rivelando la sua Divinità umanata.

Nella Rivelazione primordiale, che è quella cristiana, l’Adam Kadmon, dunque, non è affatto la polarità maschile opposta a quella femminile nella prima “scissione” interna alla Divinità e che emerge all’avvio del processo di decadenza emanazionista dell’Uno nel molteplice e destinato a sfociare nell’“ossificazione” della manifestazione del mondo materiale.

La gnosi, al contrario, non identifica l’Uomo Primordiale o Adam Kadmon con il Verbo di Dio. Nel suo paradigma l’Adam Kadmon diventa la prima determinazione nella Sostanza divina sottoposta ad una “caduta”, ad un processo involutivo di degradazione e frammentazione, il cui esito finale è la produzione della “manifestazione sensibile”, della creazione. Tale caduta, con la comparsa del mondo fisico, costringe l’Adam Kadmon ad assumere una condizionata e limitata, oltre che spregevole, esistenza materiale, dando origine al primo Uomo corporeo e quindi al suo moltiplicarsi mediante la generazione. Nella sua molteplice discendenza, l’Adam Kadmon decaduto continua a perpetuare la frammentazione del Divino iniziata con la prima “scissione” tra Adamo ed Eva intesi, secondo questa lettura, al modo del doppio contrario taoista “Yin e Yang” o di quello vedantino “Purusha-Prakriti”.

La fonte luciferina della gnosi spuria spiega la considerazione negativa della procreazione. Infatti la spiritualità gnostica è avversa alla sessualità feconda, perché odia la vita. Essa è la segreta ed oscura radice delle culture “catare”, abortiste, onaniste e pansessualiste.

Secondo il paradigma della gnosi spuria – ed è qui che si svela la tentazione significata in Gen. 3,5 –, l’uomo, pur essendo un frammento dell’Adam Kadmon, dell’Uomo Universale, caduto nella carne, porta tuttavia in sé un residuo, una “scintilla”, della sua originaria natura divina. Lo scopo dell’esistenza sarebbe, pertanto, quello di recuperare, iniziaticamente, la consapevolezza perduta, a causa della caduta ontologica nella materia, della propria auto-divinità, del nostro essere già “dio” per connaturalità – “ta tvam asi” – e non per partecipazione, ossia per grazia. A tale scopo, l’uomo deve liberarsi dalla prigione dell’esistenza materiale, rigettare la natura decaduta  per emancipare esclusivamente la “scintilla divina” chiusa nel carcere dell’essere, dell’esistenza materiale.

Come è evidente, qui si postula, panteisticamente, la divinità dell’uomo per essenza, per natura, non per partecipazione (in termini teologici, per “grazia”). Non si tratta, per lo gnostico, di aprire il cuore a Dio ma di riscoprire, risvegliare, la consapevolezza di essere Dio, la consapevolezza che l’“io” è un “dio” imprigionato in un mondo negativo e malvagio. Invocare il soccorso di Dio per l’adempimento della Sua Promessa di trasfigurazione gloriosa della creazione e quindi di salvezza integrale dell’uomo, in spirito, anima e corpo, nel “nuovo cielo e … nuova terra” della Rivelazione (Apocalisse, 21,1) – nel che consiste la glorificazione del mondo immanente nella Gerusalemme celeste futura, la quale, non a caso, scenderà dal Cielo per “assumere” nella trasfigurazione la creazione attuale – è nella prospettiva gnostica cosa vana, “devozionale”, buona solo per le plebi ignoranti ed oranti.

Luigi Copertino

NOTE

1)Cfr. Luigi Walt “Gnosi e gnosticismo: appunti per una definizione” in www.paulus2.0

2) Tra essi, come detto, si devono annoverare René Guénon, Julius Evola, Elémire Zolla, Frithjof Schuon, Ananda Coomaraswamy, Silvano Panunzio, ed altri ancora. Per ognuno va effettuato un selettivo discernimento al fine di individuare cosa appartiene veramente all’autentica Philosophia perennis in linea con la Rivelazione e cosa invece ne è distorsione pseudo-gnostica.

3) Intervista a Frithjof Schuon sulla Metafisica, reperibile sul web. Va tuttavia riconosciuto che Frithjof Schuon è talvolta vicino alla Sapienza rivelata laddove ammette che la distinzione tra livello mistico e livello teologico – ossia, nel suo linguaggio, la distinzione tra esoterismo ed exoterismo – non è una esclusione dall’Amore creatore e salvifico di Dio di chi non è misticamente chiamato. Altrove, però, egli incorre in evidenti difficoltà evidenti. Come nel passo citato benché si sforzi di riconoscere ciò che è positivo nel mondo nonostante esso rimanga una mera illusione fenomenica dell’“io” imprigionato nella materia, ossia ingannato da Maya.

 

CONTINUA