Sulla pratica delle Benedizioni e sul Culto delle Reliquie

di Gianluca Marletta

 

Tacciate di “idolatria” nel mondo protestante, ridicolizzate dal materialismo scientista, incomprese e quindi marginalizzate anche da larga parte del clero cattolico, ridotte a reale “superstizione” da parte di certo devozionalismo religioso, il Culto delle Reliquie e la pratica delle Benedizioni rispondono al contrario a leggi di tipo “sottile” che, se comprese, permettono di inquadrarne la reale importanza e il giusto significato.

LA MATERIA E’ MOLTO PIU’ CHE “MATERIALITA’”

Riguardo al Culto delle Reliquie e alla pratica delle Benedizioni, peraltro, quello che appare più incomprensibile agli occhi dell’uomo moderno è soprattutto l’idea che la “materia” (sia essa un oggetto o le parti del corpo di un santo defunto o una particolare sostanza che viene “benedetta”, ecc.) possa avere la capacità di veicolare un “influsso spirituale”. E in effetti –almeno da Cartesio in poi- agli occhi dell’uomo moderno la materia appare come qualcosa di inerte e inanimato, del tutto separata dallo Spirito e, per così dire, “autosufficiente” e chiusa in se stessa. Nelle civiltà tradizionali e ispirate al sacro, al contrario, quello che noi moderni chiamiamo materia –ma che sarebbe meglio definire come l’aspetto “grossolano” e manifesto della realtà- non è affatto vista una dimensione “separata e autosufficiente” del creato, ma solo come un suo aspetto esteriore, che tuttavia rimane sempre legato alla Realtà totale attraverso stati e passaggi differenti –oltre alla dimensione “fisica” e grossolana e a quella puramente Spirituale, vi è anche una dimensione intermedia, psichica e “sottile” che, in certo modo, fa da ponte fra le due.

La cosiddetta “materia”, dunque, è davvero molto più di quello che suppongono i moderni e, in determinati casi, può assumere sembianze e caratteristiche ben diverse da quelle a cui siamo abituati (lo stesso dogma monoteista della Resurrezione dei Corpi, implica necessariamente che la materia, sotto l’effetto dello Spirito, possa essere “glorificata” e “trasfigurata”).

Tale prospettiva, non solo rende intellegibili le cause di innumerevoli fenomeni che i moderni definiscono, in mancanza di termini più adatti, come “paranormali”, ma apre anche alla comprensione di pratiche e culti religiosi che proprio l’incomprensione ha fatto cadere nel disprezzo o nell’abuso.

L’IMPORTANZA DELLE BENEDIZIONI

Per molti sacerdoti cattolici moderni, cresciuti in contesti culturali protestantizzati e secolarizzati, la pratica delle Benedizioni –quando ancora non viene rifiutata decisamente- è ridotta al più ad una metafora, ad un “segno” dal valore puramente metaforico e soprattutto privo di qualsiasi effetto reale. In realtà, innumerevoli vicende realmente accadute che hanno come “protagonisti” oggetti benedetti –sia nelle storie dei santi che negli scenari di esorcismi, che nella stessa esperienza di vita di milioni di fedeli- dimostra a fortiori come il valore delle Benedizioni impartite sugli oggetti sia tutt’altro che “metaforico”.

Nella tradizione cristiano-ortodossa, per spiegare il cambiamento ontologico che avviene in un oggetto “benedetto”, si parla letteralmente di “materia noumenizzata”, ovvero di materia trasfigurata dalla Benedizione e resa, per così dire, trasparente e permeabile agli “influssi spirituali”.

SUL CULTO DELLE RELIQUIE

Un discorso analogo, ma per certi versi più complesso, può esser fatto riguardo il Culto delle Reliquie. Qui, in particolare, siamo di fronte ad oggetti o a parti del corpo appartenuti ad un Santo, attraverso i quali sembra prolungarsi un influsso spirituale strettamente legato all’Essere che li ha posseduti.

Sempre rimanendo alla tradizione cristiano-ortodossa, il culto delle reliquie è compreso a partire dalla realtà teantropica (divino-umana) e dalla partecipazione dello stesso corpo del santo alle “energie increate” divine. In questo senso, non solo l’anima ma lo stesso corpo sono “divinizzati” e trasfigurati a partire da alcuni “centri sottili” che sono, del resto, gli stessi che vengono segnati durante il Rito dell’Illuminazione (Battesimo, Cresima e Comunione ) con il sacro myron. Tali “centri sottili” sono i punti da dove, per azione dello Spirito Santo, agiscono le Energie Increate nel processo di trasfigurazione di tutto l’essere. Al pari delle Icone –che non sono affatto “quadri” di soggetto sacro, ma vere e proprie “finestre” sul mondo divino- anche il corpo dei santi assume pertanto questa caratteristica, divenendo veicolo di benedizione e di grazie anche dopo il trapasso.

In un’altra prospettiva, e riferendoci alla tradizione biblica ed ebraica, è nota inoltre l’idea che, al momento della morte di un individuo, certi “elementi” psichici e sottili rimangano legati ai resti corporei. Questi elementi, che non hanno direttamente a che fare con l’anima superiore (ruach) ma con quella parte della dimensione sottile più legata al corpo (nefesh), sono definiti nella Tradizione Ebraica come habal de garbin, letteralmente “il respiro delle ossa” (nel testo biblico vengono indicati come ob, plurale obòt). Si tratta di una sorta di “ombra” che non è identificabile con l’anima imperitura, ma che può considerarsi come una specie “doppio” sottile destinato a dissolversi presto o tardi insieme al corpo, secondo un’idea che si ritrova in forma identica anche presso altre tradizioni come quella egizia o indù[1].

L’esistenza di questi “residui psichici”, il cui contatto è considerato solitamente pericoloso –donde le tradizionali regole ebraiche sull’impurità dei cadaveri, del sangue umano e animale, ecc.- spiegano, peraltro, quale sia la vera natura di certi fenomeni che sbalordiscono i nostri contemporanei, quali i presunti “messaggi” postumi ricevuti mediante “sedute spiritiche”, i sedicenti “ricordi” di vite passate che sembrano affiorare alla coscienza di determinati individui, o persino alcuni strani fenomeni riscontrati dalla scienza medica, per i quali, a seguito di trasfusioni o trapianti, certi pazienti sembrerebbero aver assunto “ricordi” appartenenti ai propri donatori[2].

Tuttavia, quando sono appartenuti ad un santo, tali “residui” sottili sono essi stessi santificati e trasfigurati, divenendo “veicoli” di influssi spirituali. Per tale motivo, le reliquie dei santi diventano realmente, per quanto è possibile, dei veri e propri “ponti” che legano questo mondo alla Personalità imperitura e trascendente del Santo, il quale a sua volta è divenuto perfetta Immagine di Dio e dispensatore delle Sue grazie.    .

Del resto, anche nel caso delle Reliquie, il Cristianesimo riprende e in certo modo “glorifica” una conoscenza di carattere universale condivisa nei millenni da tutte le culture tradizionali. Come spiega Titus Burkhardt, in un passaggio che vogliamo riportare integralmente, già “l’uso di coprire con una maschera il volto di un morto (…) nel senso originario di questa usanza doveva però essere il medesimo ovunque. Con la sua forma simbolica – talvolta simile a quella del Sole – questa maschera rappresentava il prototipo spirituale in cui si riteneva che il morto dovesse integrarsi. Si considera generalmente la maschera che copre i volti delle mummie egiziane come un ritratto stilizzato del defunto; ma ciò è vero solo in parte benché questa maschera divenga realmente, verso la fine del mondo egiziano e per l’influsso dell’arte greco-romana, un vero e proprio ritratto funebre. Prima di questa decadenza, la maschera non mostra il defunto come egli era, ma come sarebbe dovuto diventare: è un volto umano che si avvicina in qualche modo alla forma immutabile e luminosa degli astri. Ora, questa maschera svolge un ruolo ben determinato nell’evoluzione postuma dell’anima: secondo la dottrina egiziana, la modalità sottile inferiore dell’uomo, quella che gli Ebrei chiamano il «soffio delle ossa» e che si dissolve di norma dopo la morte, può essere trattenuta è fissata dalla forma sacra della mummia. Questa forma – o questa maschera – svolgerà dunque, in rapporto a questo insieme di forze sottili diffuse e centrifughe, il ruolo di un principio formale: essa sublimerà questo «soffio» e lo fisserà, facendone un legame fra questo mondo e l’anima stessa del defunto, un «ponte» attraverso il quale gli incantesimi e le offerte dei vivi raggiungeranno l’anima, e la benedizione del defunto potrà raggiungere i vivi. Questa fissazione del «soffio delle ossa», d’altronde, si produce spontaneamente alla morte di un santo, e da questo ha origine la virtù specifica delle reliquie.  Nell’uomo che ha raggiunto la santità, la modalità psichica inferiore, o la coscienza corporea, è già stata trasformata nel corso della sua esistenza terrena: essa è diventata veicolo di una presenza spirituale, che verrà fissata alle reliquie ed alla tomba del santo” (Da «La maschera sacra e altri saggi»).

[1] Nella tradizione indù, tali elementi sono indicati col termine preta; nella tradizione egizia, questa sorta di “anima inferiore” destinata a rimanere legata ai resti cadaverici è detta ka, mentre l’anima superiore –identificata col Cuore e che dopo la morte è sottoposta al giudizio divino- è detta ba.

[2] Un caso piuttosto noto di “memoria ereditata” attraverso un trapianto di cuore è quello di Claire Sylvia: https://wellthiness.wordpress.com/2011/10/18/claire-sylvia-il-cuore-trapiantato-le-danno-abitudini-e-gusti-del-donatore/. Inutile dire come tali fenomeni siano assolutamente inspiegabili in un’ottica scientista ma sia comprensibili, al contrario, alla luce delle scienze sacre tradizionali.

http://www.gianlucamarletta.it/wordpress/2016/06/benedizioni-reliquie/