“RESTANO DIECI PAESI DA DESTABILIZZARE”, PAROLA DI NEOCON

“Dieci paesi la cui stabilità non può essere date per garantita ( Ten countries whose stability can’t be taken for granted ), è il titolo dello studio, che il famoso think tank dedica al prossimo presidente degli Stati Uniti, segnalandoli alla sua attenzione, perché saranno questi, nei prossimi quattro anni “una sfida per la Casa Bianca”.

A far correre un brivido lungo la schiena è il nome del  famoso think tank: American Enterprise Institute, AEI. Il vostro vecchio cronista si ricorda benissimo come, dall’11 Settembre 2001, da questa “fondazione culturale” uscissero tutte le politiche di aggressione che adottò il presidente W. Bush, il junior. Essi avevano decretato che a fare gli attentati era stata sì Al Qaeda, ma che bisognava attaccare l’Irak e rovesciare Saddam, perché  aveva armi di distruzione di massa. Saddam soprattutto, che preoccupava Israele per la sua forza militare.

 

Da lì veniva una buona metà del personale dell’amministrazione Bush jr.  E’ ancora dell’AEI, vedo, l’allora vicepresidente Dick Cheney,  presidente del Think Tank. Di lì veniva Paul Wolfowitz, il primo dei tre ebrei viceministri  della Difesa, allievo di Leo Strauss, che poi Bush mise a  capo della Banca Mondiale. Di ,lì John Bolton, ex ambasciatore all’Onu. Di lì veniva Jeane Kirpatrick, ministra degli esteri.  Membro influente dell’American Enterprise era  Richard Perle, che in quei giorni  aveva allestito un ufficio  al Pentagono dove, da privato, senza alcuna carica  ufficiale, stava preparando la guerra all’Irak, dando ordini ai  militari al posto del ministro, Rumsfeld. Erano giorni  di euforia, per costoro: mi ricordo Michael Ledeen che mi rilasciò interviste, mi ricordo di Irving Kristol, di Kagan,  stelle dei neocon, mebri della fondazione; di Joshua Muravchik, di James Woolsey, di  Michael Novak, cattolico, del tutto guadagnato alla impresa.  Mi ricordo che era ricevuto lì spesso e volentieri un giovane politico polacco di Donald Tusk.

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Di ciascuno di questi  nomi ci sarebbe da scrivere un libro. Basti dire che  quasi tutti   sono ebrei, e la loro American Enterprise mi è fitta nella memoria come la centrale  intellettuale del vero e proprio  colpo di Stato che fu l’11 Settembre.  Quello è il gruppo che prese il potere, o i suoi apparati di forza e di strategia,   e  diresse  la enorme potenza americana alle guerre per devastare i paesi musulmani,  chiamandola “lunga guerra al terrorismo globale”.

Vedo che   non ha placato la loro sete la devastazione dell’Irak, o dell’Afghanistan, che non gli  è bastata la Libia, la Somalia, la Siria che stanno  distruggendo da cinque anni. Adesso costoro additano al presidente Usa “dieci paesi la cui stabilità non può essere data per certa”,  in cui “prevedono” malcontento e  la nascita di “terrorismo islamico”.

Vediamo dunque il documento dell’American Enterprise. Metto i paesi secondo l’ordine di importanza e grandezza.

 

Algeria.     E’ la preda più ambita, la più “matura”, e la più ricca (come dicono loro stessi)  per il petrolio. Cos’è che non va in Algeria? C’è il terrorismo di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, purtroppo. Attiva nel sud del paese, nella vastissima estensione senza precisi confini tra Libia del Sud, Mali e Mauritania.  Il “potere” (le pouvoir) formato dai vecchi combattenti della “liberazione d’Algeria”, ormai decrepiti,  è poco stabile. L’uomo forte, il presidente Bouteflika, tiene l’ordine  con mano   di ferro. Ma  è vecchio e malato, e “sparirà probabilmente entro al fine dei quattro anni prossimi”.  Gli islamisti aspettano il momento di prendere il potere, da cui sono stati espulsi un ventennio fa.  Al Qaeda del Magreb Islamico non s’avventura ancora  troppo  dentro il paese;  ma è potentemente armata dal  saccheggio degli arsenali di Gheddafi, ed altre armi può ricevere da chissà dove. Certo, la presa del potere da parte dei terroristi islamisti, profetizza l’AEI, sarà un disastro per l’Europa; dopo la Libia,scomparirà uno stabile fornitore energetico. Gli Usa dovranno intervenire ancora una volta a salvare gli europei.

Nigeria.      Il più popoloso paese africano, fra i più ricchi di petrolio,  il più diviso etnicamente (250 tribù) e  per religione, ha il suo terrorismo islamico di marca: Boko Haram:  gruppo misterioso origine e finanziamento, con la curiosa caratteristica: la sua bandiera nera ha la professione di fede islamica scritta però in calligrafia ebraica…. Boko Haram è forte, dice AEI, per via della corruzione enorme della politica del paese:  i caporioni nigeriani hanno intascato  in tangenti, dal 1960 ad  oggi, 400 miliardi  di dollari, pari agli aiuti internazionali per tutta l’Africa:  ogni dieci dollari, 1 va al Sud, gli  altro 9 se li intascano al Nord. Guardate la Costa d’Avorio, dove la tensione fra  cristiani e musulmani, che hanno già prodotto una guerra civile;  la Nigeria è ancora più  instabile,  è spuntata   persino la pirateria nel golfo di Guinea. “Se la sua fragile democrazia (sic) cade, l’Africa occidentale vedrà un conflitto peggiore di quanti ne abbiamo visti in decenni”: Da qui la necessità di un intervento Usa per sostenere la democrazia, così fragile.

Scritta islamica, calligrafia ebraica. Vero è che essendo analfabeti per principio, i Boko Haram ("I libri scolastici sono impuri") si saranno fatti aiutare da qualcuno a scrivere.
Scritta islamica, calligrafia ebraica. Vero è che essendo analfabeti per principio, i Boko Haram (“I libri scolastici – books –  sono impuri”) si saranno fatti aiutare da qualcuno…

Etiopia.  Corruzione,  sistema dittatoriale repressivo,  povertà; ma ecco soprattutto, i musulmani sono il 30 per cento della popolazione e crescono demograficamente più rapidamente dei cristiani.  Poi sono cominciati disordini perché gli Oromo sono intolleranti del potere  tigrino. (Soprattutto, ma l’AEI non lo dice, la Cina ha messo piede in Etiopia e la sta sviluppando troppo: per esempio è stato inaugurato il primo treno elettrico internazionale sulla linea Addis Abeba-Gibuti. Ragion per cui il capo dell’opposizione Oromo, l’astro nascente Merera Gudina, gode di una borsa di studio del National Endowment for Democracy e va e viene da Washington.

Turchia. Interessanti  e inedite le informazioni fornite dall’AEI: “Il presidente Erdogan ha costruito un potere dittatoriale. Ha chiamato il fallito colpo di stato del 15 luglio “un dono di Dio”, e l’ha usato per operare la purga dei 100 mila  fra militari e dipendenti pubblici. Ci possono essere altre violente a all’orizzonte. Dogu Perinçek, un ex maoista diventato ultra-nazionalista,  un maneggione politico che  guida un gruppo oscuro  […]: si dice che Perincek è il vero ministro della Difesa,dietro le quinte. In agosto, Erdogan ha assunto Adnan Tanriveri,un ex membro delle forze speciali vicino a Perinçek .  Tutto sta a vedere se questo Tanriverdi sarà  più leale a Perinçk o a Erdogan quando verrà il prossimo colpo. In ogni caso Erdogan  è un uomo segnato, ed anche se viene ucciso e rovesciato, egli ha tanto svuotato lo stato che alla sua morte seguirà  necessariamente un caos politico”. Particolarmente grave dato che la Turchia è un paese NATO”.

Russia.        “Come la  Turchia, la  Russia – nota AEI –  è retta da un uomo forte che ha dato l’illusione di  stabilità invece della sostanza.  Quando il presidente Putin  muore, il popolo russo dovrà pagare  il prezzo per decenni di corruzione e mal amministrazione. L’eredità di Putin sarà il vuoto di potere sotto di lui. Ma, oltre al  cattivo governo, la Russia subirà presto le conseguenze della sua crisi demografica. La sua popolazione musulmana sta crescendo mentre la etnia russa diminuisce. Nello stesso tempo,  deve affrontare il radicalismo islamico non solo in Cecenia e Daghestan, ma  sempre più fra i Tartari. Da qui la domanda:  poiché i giovani coscritti sono in proporzione crescente musulmani, la Russia può contare sul  proprio esercito in un conflitto settario?”.

Arabia Saudita. Può diventare un grave problema per gli Stati Uniti  i quali, da Roosevelt in poi, hanno contato sull’Arabia Saudita per dare stabilità al Medio Oriente (sic) e ordine all’economia mondiale(!). Ma oggi, “la politica americana ha dato potere e risorse all’Iran”  [l’ossessione ebraica neocon, ndr.].  Il   petrolio in calo, l’Alzheimer del re, la guerra allo Yemen concentrano le possibilità di una crisi mai vista, una tempesta perfetta.

Giordania:  ha ricevuto al terza ondata di rifugiati nella sua storia (ora siriani, prima palestinesi cacciati da Israele), e ciò ha messo la sua economia alle corde. Il re e la regina sono popolari sui rotocalchi in Occidente, ma non fra il loro popolo.  Il terrorismo va  e viene liberamente (per forza: gli Usa hanno fatto della Giordania una piattaforma per il terrorismo anti-siriano e IS).  Si capisce che per AEI la Giordania potrebbe essere utilizzata come rifugio del resto dello Stato Islamico, se sconfitto.

Cina.  Nonostante  il boom economico, la Cina soffre di vari mali: lo sviluppo ineguale  tra le coste e l’interno rurale, poverissimo.  Decenni di politica del figlio unico stanno per  produrre gli effetti: “La Cina  è sull’orlo del precipizio demografico”.  “Gli Usa, più che il sollevarsi della Cina, devono temere il suo declino.   Per esempio, una Cina che declina reagirà con la forza militare, come fa  la Russia?”.

Maldive. Anche quelle vogliono destabilizzare i neocon. “L’estremismo islamico sta mettendo radici. Il governo maldiviano ha chiesto assistenza, ma [da Obama] non è arrivata risposta”. Poi la profezia: “Magari lo Stato Islamico  prenderà ostaggi dei turisti occidentali. Magari in governo islamista accoglierà armi e jihadisti da inoltrare poi via mare  nell’oceano Indiano?” all’India?  Sì, le Maldive sono isolate dagli Usa e lontanissime; “ma non si diceva lo stesso dell’Afghanistan?”. E guarda come abbiamo dovuto ridurre l’Afghanistan , causa il terrorismo islamista….

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Genealogia dei neocon: trotzkisti i nonni, ‘di destra’ i nipoti. Per Israele sempre.

Detto fatto,  sui giornali francesi appare la seguente notizia:

Presi in Tunisia due americani convertiti: preparavano attentati

Due fratelli, americani, “di recente convertiti” sono stati catturati dalla polizia tunisina a Jenduba, presso  la frontiera con l’Algeria. Hanno confessato che il loro scopo era introdurre la shariah.

Hillary prepara la fuga?

Secondo voci che è impossibile controllare, la coppia Clinton avrebbe trasferito ben 1,8 miliardi di dollari alla banca centrale del Katar, attraverso J P Morgan. Di questa transazione sarebbe traccia  alla Banca dei Regolamenti Internazionali.  Un’altra voce sostiene che Eric Braverman, il direttore  generale della Clinton Foundation, avrebbe  chiesto asilo al consolato russo a New York.

Voci inverosimili,  che paiono risalire ad una fonte dubbia  e disinformatrice, “Sorcha Faal”.  Ma un fatto è certo: che tante e così gravi sono le rivelazioni sulla corruzione della famiglia Clinton emanate dalle mail intercettate da Wikileaks, di così  evidente rilevanza  penale, che  se  Hillary perde le elezioni può finire facilmente sotto processo (e forse anche se le elezioni le vince). Tanto più che diventa ogni giorno più corposa la sensazione  che dietro “Wikileaks” agiscano – contro i Clinton – anche apparati dell’Intelligence Usa, che se ne vogliono liberare, ed elementi della polizia federale.

Preparare la fuga, facendosi precedere dai risparmi di una vita  affidati a  un monarca amico che non ha accordi di estradizione  con  gli Usa, è elementare prudenza.

Anche Obama – sarà un caso –  s’è comprato una villa al mare da quasi 5 milioni di dollari – e dove? In Dubai, altro emirato senza estradizione. Ovvio, c’è stata una smmentita. Ma lì Barack Hussein  potrà praticare apertamente  le sue due religioni: l’Islam da Fratello Musulmano, e  il Golf.

Obama Buys $4.9 Seaside Mansion in Non-Extradition Country of Dubai

Quanto a John Kerry  ha silenziosamente venduto la sua magione da 25 milioni a Nantucket a giugno, e a luglio il suo yacht da 3,9 milioni.

http://www.dailymail.co.uk/news/article-3634168/John-Kerry-puts-Nantucket-mansion-market-25million.html

Evidentemente ritengono , per qualche motivo, che  trascorrere  una serena vecchiaia negli Stati Uniti non sia più igienico, per loro.