IL POLIZIOTTO: “L’ACCOGLIENZA? BUSINESS DEI POTERI FORTI. E CHI PARLA, VIEN FATTO FUORI”

E’ uno dei poliziotti più fa­mosi d’Italia, grazie alle sue denunce pubbliche su quanto suc­cede nei centri d’acco­glienza e nelle procedure per identificare i migranti. Daniele Contucci, assi­stente capo della Polizia di Stato in forza presso la Di­rezione centrale immigra­zione e Polizia delle Fron­tiere, ora dirigente sinda­cale Consap, racconta quan­to visto negli sbar­chi di migranti sulle coste italiane.

  • Daniele Contucci, lei è stato in prima linea du­rante l’emergenza immi­grazione…
    Ho fatto parte dell’URI, l’unità specializzata rapida di intervento specializzata sull’immi­grazione. Si trattava di un’unita il cui obiettivo era quello dell’impiego in tutte le emergenze di immigrazione. Facevamo ‘inter­viste’ a tutti i migranti che duravano circa 20 minuti e durante le quali ricostrui­vamo tutto il loro trascorso: tra cui le generalità, il percorso fatto per arri­vare fino all’Italia e se avevano ricevuto ritorsioni nel loro paese d’origine. Succes­sivamente, i dati venivano inviati in un database che veniva girato alla commis­sione territoriale la quale decideva se concedere l’asi­lo politico.
  • Lei ha visto da vicino il Cara di Mineo, uno dei più grandi centri richiedenti l’asilo d’Eu­ropa…
    Un centro in grado di ospitare 4000 richiedenti, ognuno dei quali ha un costo giornaliero di circa 37 euro, di più se il richiedente è mino­renne [Sono almeno 52 milioni di euro l’anno. Per il solo centro di Mineo, ndr.] Potete quindi immaginare il tipo di business, per non dire altro, che ci sia dietro. Centinaia di persone che la­vorano all’interno del centro, quindi un indotto economico enorme per l’entroterra siciliano. Con tutti gli inte­ressi del caso e gli scambi clientelari [ha forse detto Mafia? No, non pare. NDR ]. La task force di cui facevo parte riusciva a ridurre i tempi di permanenza di un anno. Successivamente l’unità è stata demansionata e chiusa, chissà perché…

I migranti che ha incontrato le da­vano tutti l’impressione di scappare da qualcosa?
Assolutamente no! Abbiamo avuto a che fare con tante persone dal pas­sato tragico, ma anche da tanti mi­granti che si capiva sin da subito che avevano altri obiettivi. D’altronde i numeri parlano chiaro: nel 2014 sono arrivati in Italia 172mila mi­granti. Di questi solo il 10% riconosciuto lo status di asilante politico, per un totale di 36mila migranti a cui è stato riconosciuto un titolo per stare sul territorio europeo. Tutti gli altri avrebbero dovuto rimpatriare e invece la maggior parte è sparita nel nulla.

Lei è conosciuto anche per essere stato il primo a denunciare casi di turbercolosi e malattie infettive…
Durante un’operazione di sbarco mi­granti nel Porto Augusta nel giugno 2014, siamo stati un giorno e mezzo a trat­tare con 1’200 persone, di cui 66 con la scabbia e altri con la tubercolosi. Ma, contro ogni procedura, siamo stati mandati allo sbaraglio con delle semplici mascherine e guanti in lat­tice. Io ho un figlio che all’epoca era appena nato e, per paura di con­tagiarlo, non l’ho incontrato per un mese e ho fatto degli esami privati per accertarmi di non aver contratto alcuna malattia infettiva. Potete immaginare la frustra­zione nel non poter vedere il proprio figlio crescere nei primi mesi di vita. Allora ho voluto denunciare questa situazione assurda che metteva i po­liziotti a serio rischio.

Aveva paura delle malattie che si potevano contrarre?
Certamente. Salivamo e scendevamo dalle navi senza le protezioni neces­sarie, incontrando persone che ma­gari avevano malattie infettive

Le sue denunce hanno portato a qualcosa?
Prima le visite mediche duravano pochi minuti, adesso sono fortunata­mente più approfondite, anche se non abbastanza. Proprio qualche giorno fa è stato trovato nella provincia di Como un migrante con una diagnosi di scabbia riscontrata pochi giorni prima nel Meridione d’Italia, senza sapere se aveva effettuato la profilassi del caso. Questi sono pericoli per la salute pubblica. Ma non è l’unico problema nelle procedure con i migranti in Italia.

Cosa intende dire?
La mancata fotosegnalazione dei mi­granti ha creato dei grandissimi problemi. Io sono stato il primo a de­nunciare queste manchevolezze, che impedivano il rispetto dei trattati di Dublino. Molti di questi migranti evi­tavano di farsi fotografare, con la compiacenza delle autorità italiane: parliamo di 100mila persone non fotosegnalate tra il 2014 e il 2015. Magari alcuni di loro sono terroristi o legati ad asso­ciazioni dai fini criminali. Anche se fosse solo uno su mille sarebbe una cosa gravissima dalla portata decisa­mente pericolosa con evidenti responsabilità dei vertici governativi e di sicurezza.

Le sue denunce le hanno portato ripercussioni sul posto di lavoro?
Solo problemi e ritorsioni. La nostra sezione è stata ufficialmente chiusa, noi demansionati dai nostri incarichi. Io lavoro a Roma e hanno cercato ad ogni modo di convincermi a far domanda di trasferimento, situazione comoda vista la lontananza da un ufficio centrale di importanza così rilevante. E anche i colleghi che prima mi sostenevano sono piano piano spariti, lasciandomi solo contro tutti. Chissà se qualcuno di loro comprato?

La politica si è però interessata a lei e al suo caso…
La Lega Nord aveva presentato delle interpellanze sui casi da me denun­ciati, ma quando il gioco ha co­minciato a farsi più serio sono spariti anche loro. Forse gli interessi che ho toccato sono troppo grandi. Poi ho accettato la candidatura al Consiglio comunale a Roma con Fratelli d’Italia: se avesse vinto la Meloni forse avrei fatto parte del Consiglio comunale per continuare a lottare affinché giustizia, verità e libertà trionfino contro la casta e il malaffare legato al business dell’immigrazione. 

Quindi cercava anche lei la pol­trona…
Ma per niente! Solo che in questa si­tuazione è praticamente impossibile proseguire in Po­lizia il mio lavoro di verità e giustizia. Ricoprendo un incarico politico elettivo rinuncerei a qualsiasi euro in più ri­spetto alla mia ultima busta paga a dimostrazione del mio disinteresse economico. Lo avrei fatto solo per continuare la lotta contro la delinquenza, ovunque essa sia.

Come valuta la situazione a Como?
E’ una situazione molto partico­lare. I migranti che arrivano vo­gliono passare il confine svizzero. Solo che se entrano in Svizzera e non sono stati fotose­gnalati prima in Italia è più difficile accertare il primo paese di approdo per poi esser riaccompagnati alla frontiera. Ma comunque dalle interviste delle polizie locali si risale poi ai fatti e quindi rispediti lo stesso in Italia. A questo punto è giusto che le Guardie di Confine siano li per garantire la sicurezza del loro popolo, visto anche il concreto rischio terrorismo. 

Ma l’Italia ha colpe in tutto questo?
Direi proprio di si. I trattati di Dublino probabilmente penaliz­zano l’Italia, ma la soluzione non è non identificare i migranti. Durante il semestre di presi­denza europeo, l’Italia poteva far qualcosa su questo fronte ma in realtà, nonostante i proclami, non si è fatto nulla. Un’immigrazione control­lata e integrabile può essere sana, ma non è certo questo il caso.

“Immigrazione integrabile”. Ritiene che molti immigrati ri­fiutino di integrarsi?
Chiedete alle donne poli­ziotte quando alcuni migranti di sesso maschile si rifiutavano di rilasciare le dovute interviste. Già questo indicativo della differenza di mentalità.

Cosa pensa di Mare Nostrum e Triton?
Mare Nostrum è stata un’operazione italiana dai costi incredibili  che ha fatto il gioco degli scafisti, visto le regole d’ingaggio che permettevano di arrivare a 10 miglia dalle coste libiche. Mentre Triton, sotto Frontex e tutt’ora in atto, ha come obiettivo salvaguardare le coste e arrestare gli scafisti con l’ingaggio a 30 miglia dalle coste libiche. Un migrante prima di queste missioni pagava 2-3 mila euro per il viaggio verso l’Italia, successivamente solo 700-800 perché ovvia­mente i rischi, ppur  sempre altissimi, sono diminuiti con Mare Nostrum. Bisogna arrivare alle origini del fenomeno, facendo lavo­rare le diplomazie. All’estero ci sono consolati e ambasciate italiane: si potrebbe gestire la cosa nei paesi d’origine organizzando e gestendo le richieste d’asilo direttamente presso le nostre diplomazie all’estero. In quel modo la gente potrebbe sapere che c’è una strada normale e ordina­ria per arrivare in Italia e si toglie­rebbe un business mortale dalle mani dei trafficanti di esseri umani. Poi servirebbe un’operazione ‘cusci­netto’ sotto l’egida dell’Onu creando dei campi sosta per selezionare da lì i richiedenti asilo. Accompagnando inoltre corridoi umanitari per le popolazioni effettivamente in guerra come la Siria o Libano. Purtroppo invece si preferisce la politica delle lacrime di coccodrillo e delle morti annun­ciate.

Nonostante le ritorsioni, continuerà a denunciare i malfunzionamenti delle politiche migratorie?
Certo, continuerò a lottare da uomo libero quale sono e non mi fermerò di fronte ad alcuna ritorsione o minaccia. Rac­conterò i fatti, nella convinzione che molti apriranno gli occhi… 

MATTIA SACCHI

Il Mattino, 22 agosto 2016-08-23