Non solo nozze gay . La deriva nichilista dei “diritti umani”.

 

di Roberto PECCHIOLI

 

Barack Obama, il beniamino di tutti i progressismi del pianeta, ha affermato di essere orgoglioso di avere allargato i “diritti” delle cosiddette comunità LGBT ( lesbiche, gay, bisessuali e transessuali ). In occasione della promulgazione della legge sul matrimonio per tutti – così lo chiamano, con una pericolosa torsione semantica – affermò che aveva “vinto l’amore”. In Italia, Renzi si è detto orgoglioso che il suo governo abbia realizzato le unioni civili, ossia il matrimonio omosessuale sotto mentite spoglie, dotato di una sorta di nome d’arte per chiamare “formazioni sociali” i soggetti uniti civilmente e bypassare l’art. 29 della costituzione con la sua antiquata definizione di famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. La signorina Maria Etruria Boschi e la senatrice Cirinnà, madre surrogata della legge, parlano di “avanzamento di civiltà”. Strano davvero che durante millenni di culture umane la più diverse non ci avesse pensato nessuno, nemmeno Semiramide, e neppure a Sodoma, dove anzi un Dio arcigno e reazionario distrusse la città “omofila” ( oh, i bei neologismi della neomorale aperta e postmoderna!).

La verità è, ovviamente, diversa e ben più prosaica: la civiltà in viviamo, una delle tante che l’umanità ha costruito nella storia, si fonda sulla sacralizzazione della ( grande) proprietà privata e sull’assolutizzazione dell’individuo definito libero. La società di oggi si fonda sulla forma-merce, sul monoteismo del mercato e sull’individualismo proprietario ed utilitaristico. Si è quindi data una sua nuova religione, frutto della secolarizzazione e della manipolazione delle religioni trascendenti: si tratta della religione dei Diritti Umani e della Democrazia Rappresentativa. In assenza e proibizione di principi condivisi, regnano il soggettivismo erto a unica verità indiscutibile ed il più ampio relativismo morale, che vira rapidamente in nichilismo. Una somma aritmetica di individui non è una comunità, che per natura possiede un’etica condivisa e prescrive comportamenti sulla base di un’idea di bene e di male, ma a rigore non è neppure una società, che ha bisogno comunque di regole minime introiettate, almeno una deontologia, e di un sistema di norme codificate che definiscano il perimetro dei patti tra i soggetti partecipanti, atomi desideranti interessati esclusivamente all’utile individuale. E’ la società liberale, disinteressata a qualunque criterio veritativo diverso dalla Proprietà, dal Mercato e dal Consumo.

Le leggi sulla famiglia ed il matrimonio non possono fare eccezione alla religione dei Diritti Umani: in fondo,  altro non si tratta che registrare, a fini di burocratica distribuzione di talune prestazioni pubbliche dette “diritti sociali”, delle volontà soggettive presupposte libere ( i diritti umani divinizzati) di natura contrattuale, pattizia. Sotto questo profilo, appare davvero intollerabile ad un cervello progressista che l’istituto matrimoniale sia limitato a questioni secondarie o del tutto irrilevanti in termini astratti, come il diverso sesso dei contrenti, ma anche eventuali legami di parentela (incesto) e, in prospettiva assai vicina, anche il numero dei contraenti. Desta addirittura orrore interpretare il matrimonio alla luce dell’apertura a nuove vite ( nel passato si chiamavano figli) ed alla regolazione della paternità e della maternità –  genitorialità in neolingua. Quel che conta, l’unico elemento accettato, di cui la legge liberale ( positivismo giuridico) prende atto senza commenti o valutazioni è “l’amore”, ovvero l’esistenza ( per la persistenza, l’amore è eterno finché dura), ad insindacabile giudizio delle parti, anche di una sola di esse, del più indicibile, instabile, non descrivibile né razionalizzabile dei sentimenti umani, derubricato a contratto con clausole e diritti di recesso. Hanno quindi ottime ragioni i sostenitori del matrimonio omosessuale ad esultare perché “vince l’amore”, o la sua versione volgarizzata nello spirito del tempo, ma non vi è nulla di più lontano dal matrimonio e dalla famiglia della semplice e provvisoria protezione giuridica dell’amore basato sull’intesa e la pratica sessuale. Pure, omnia vincit amor, et nos cedamus amori, canta Virgilio nelle Bucoliche, ma il mantovano era un poeta, non un giurista.

Il punto che spesso sfugge anche ai settori critici dei nuovi pseudo diritti della modernità terminale è che il matrimonio non fu istituito per rendere omaggio all’amore, né ad esso si riferisce la constatazione cosmogonica del Genesi “maschio e femmina li creò”, nella cornice colpevolmente limitata ai due sessi ( oops, generi canonici conosciuti in quei tempi primitivi).

L’uomo, una volta uscito dalla primitività, ha dato un senso alla propria presenza nel mondo e si è costituito come creatura nel modo che Ugo Foscolo, un ateo, sintetizzò nei “Sepolcri” con i grandiosi versi  “Dal dì che nozze e tribunali ed are/ diero alle umane belve esser pietose/di se stesse e d’ altrui, toglieano i vivi/all’ etere maligno ed alle fere/i miserandi avanzi che Natura/con veci eterne a sensi altri destina.” Il matrimonio nacque per stabilizzare la società attraverso la monogamia, regolarizzare e legittimare la filiazione, istituendo doveri precisi a carico dei padri e dei mariti, inserire la sessualità e l’istinto alla procreazione nel circolo della comunità e della sua riproduzione. Contestualmente, gli uomini presero a onorare i propri morti, tanto che di molte civiltà ci restano soprattutto le necropoli e le vestigia del culto dei defunti. L’uomo si rese conto di possedere un logos, una ragione del tutto speciali ed imparagonabili alle altre creature e volse lo sguardo in alto, verso la trascendenza e l’infinito. Il suo logos gli impose di porre regole collettive di comportamento, munite di efficacia etica non meno che di strumenti pratici di applicazione e sanzione.

La civilizzazione postmoderna è ampiamente fuoruscita dal quadro che abbiamo tracciato, e viaggia imperterrita verso il nulla.

Indifferente alla trascendenza ed all’attribuzione di un senso qualsiasi alla vita dell’essere umano, ha pressoché abolito non solo il culto, ma il rispetto minimo per la morte . Se al tempo di Foscolo, alba della modernità borghese e mercantile post 1789, l’editto giacobino di Saint Cloud imponeva la sepoltura lontano dai centri abitati, il senso comune contemporaneo espelle il cimitero dal panorama urbano e suburbano. Meglio bruciare i corpi, disperderli nell’aria o in mare o, per i più sentimentali, tenere presso di sé le ceneri dei propri cari.

La morte non è più il grande mistero, ma una sbrigativa pratica da affidare ad “esperti” o operatori specializzati. Eutanasia, testamento biologico, le insopportabili campagne per espropriarci persino dei nostri resti, dei quali, come per il maiale, “non si butta via niente”, per cui dobbiamo “donare” – ma in una società di mercato nulla è dono ! – gli organi in buona condizione. Forse occorrerebbe un habeas corpus non solo a tutela della libertà personale dei vivi dagli abusi legali, ma a difesa estrema della dignità delle salme .

Desacralizzata la morte è desacralizzata la vita; non a caso l’aborto è banalizzato come intervento di routine che espelle come un rottame, un escrescenza ed un fastidio la vita che si sviluppa nel ventre materno. Di più: settori importanti del femminismo bollano come “ingiustizia” della natura il fatto che la gravidanza si svolga nel modo che la Natura o Dio hanno previsto. Un politico omosessuale di sinistra come Nichi Vendola, per soddisfare il suo capriccio di paternità ha pagato una donna povera, nuova schiava, per essere fecondata artificialmente e poi cedere il frutto dell’inseminazione. All’uomo moderno, tutto questo sembra normale, anzi si ingegna a trarre profitto personale dalle nuove opportunità della tecnica.

Come poteva uscire indenne il matrimonio da una follia tanto potente? La vulgata odierna pensa, anzi prescrive che quel che conta è solo la volontà immediata e momentanea, postulata libera, di una o più persone. Due, tre, quattro, poco conta, tanto è vero che negli Stati Uniti, autonominatisi patria della libertà, si cominciano a regolarizzare unioni poligamiche: semplice diritto civile privato. Una grande conquista di civiltà, le nozze monogamiche come evento pubblico dinanzi alla comunità che accoglie la nuova famiglia, viene quindi rovesciata nel suo contrario, ristretta nel recinto privato, ma sempre in nome della libertà e, naturalmente, dell’amore! Anche per il cognome – il nome di  famiglia – tutto deve cambiare: Basta con l’antiquata, ingiusta ed non egalitaria patrilinearità, ognuno si chiamerà come preferisce, due fratelli potranno portare due diversi cognomi. Nel tempo e nel nome dei Trottolini amorosi, sembra vicina l’ultima spallata, quella che farà superare, con un ultimo salto mortale all’indietro, anche l’antichissimo tabù dell’incesto, quello che Claude Lévi Strauss individuò come elemento comune di tutte le comunità civili  umane. Ma questo è il punto: comunità che si fa civiltà.  Quella che viviamo è la fase febbrile e convulsiva di una civiltà estenuata, una sorta di epilessia collettiva che abbiamo chiamato libertà.

Non ci importa di avere figli e non vogliamo padri, due fastidi uguali e contrari, responsabilità e limitazione di diritti e libertà, non riconosciamo più il dato naturale che qualunque società, per sopravvivere, deve riprodursi e “trasmettersi” attraverso la filiazione e l’educazione dei nuovi membri della comunità, non sopportiamo né il dolore né la malattia, molto meglio una igienica morte assistita, già sperimentata nei disinfettati obitori a cielo aperto degli Stati dell’Europa settentrionale ex protestante. Non c’è motivo alcuno per credere che il matrimonio, parola che presto sarà sostituita da qualcosa come libera unione, unione civile o simili, debba essere limitato ad un uomo ed una donna interessati ad un progetto di vita comune, tendenzialmente valido per la vita intera, aperto alla nascita ed all’educazione dei figli secondo le regole della natura ed i principi di una specifica comunità umana. Se la nostra religione è quella dei “diritti”, nessuno deve essere escluso da nulla.

Il criterio, peraltro falso ed ingannevole, è l’amore. Nessuna giurisdizione aveva mai preso in considerazione come oggetto di “ius” l’amore: era uno di quegli ambiti in cui il diritto scritto si dichiarava incompetente, e, in qualche misura, si ritraeva  in un discreto non luogo a procedere.

Di fatto, le cose non sono cambiate, è l’inganno ad essere diventato padrone del campo.

Non a caso, anche in Italia le unioni civili vengono utilizzate anche da “formazioni sociali” ( innalziamo pure noi un altare al politicamente corretto !) il cui unico interesse è quello, pratico, di ottenere assegni familiari, provvidenze sociali originariamente destinate alla famiglia di cui all’art. 29 della Costituzione-più-bella-del-mondo, pensioni di reversibilità, esenzioni da ticket, nessun obbligo di testimonianza “contro” in tribunale, e tutto l’armamentario di quel che resta dello Stato sociale aggredito dal rampante liberismo.

Che l’argomento-amore sia un inganno ad uso dei gonzi e delle sciampiste è dimostrato dal fatto che è in corso anche da noi l’iter legislativo che porterà all’abolizione dell’obbligo di fedeltà nei matrimoni e nelle unioni civili.

Dunque, di che parliamo, da Obama  all’ultimo militante LGBT, passando per le laiche suorine democratiche, liberali e progressiste e per i buoni benpensanti  “moderati” che votano a destra per difendere i loro miserabili portafogli e rafforzare le questure? Senza l’obbligo giuridico di fedeltà, che resta di un’unione? Solo i “diritti”, solo e sempre loro. Del resto, è assai difficile definire in che consista la fedeltà: è un fatto esclusivamente fisico, che comporta l’astenersi da rapporti sessuali con persone diverse da quelle con cui si è stipulato un contratto, ovvero si estende al campo dei desideri, nel qual caso rientrerebbe dalla finestra la religione cacciata dalla porta ( “Ho molto peccato in pensieri, parole, opere ed omissioni “ ), oppure è qualcosa di diverso ed ulteriore ? La religione dei diritti non può riconoscere alcuna fedeltà, tutt’al più può stabilire obblighi e divieti di natura consensuale, ergo individuale.

Torniamo al punto di partenza: la religione dei diritti individuali non solo è elastica ed estensibile all’infinito, ma è tendenzialmente totalitaria e assolutamente intollerante. Qualunque cosa vi si opponga lede un diritto, o una pretesa, o un capriccio rivendicato da qualcuno con il codice alla mano. Per questo, a poco vale, dovere morale a parte, opporsi al matrimonio omosessuale, all’aborto generalizzato, alla deriva eugenetica e zootecnica della procreazione assistita ed a carico della mutua, esattamente come ha poco senso lottare esclusivamente per riconquistare la sovranità popolare e nazionale, per l’identità ed i diritti sociali. Il mondo in cui siamo precipitati pretende di presentarsi come qualcosa di dato ed immutabile, scientificamente provato una volta per tutte. L’economia politica travestita da formula matematica in cui hanno ristretto il mondo è, al contrario, un’ideologia come tante, purtroppo oggi fortissima ed apparentemente invincibile. Ma non c’è nulla di oggettivo o di neutrale: ha vari pilastri che devono essere aggrediti, il sensismo, lo scetticismo generalizzato e, su tutto, l’utilitarismo fondato sul primato della tecnica.

Per questo, non è sufficiente combattere battaglie settoriali, per quanto meritorie e sacrosante, come quella per la vita e la famiglia naturale. Questa non è una lotta, purtroppo, in cui basti separare il bambino dall’acqua sporca. L’acqua sporca ed avvelenata sono gli esiti dell’individualismo liberale progressista, ma il bambino, che disgraziatamente è un gigante, è la dittatura dell’ideologia del mercato e dei diritti umani, vestita da democrazia falsamente rappresentativa ogni giorno meno disposta ad accettare le idee non conformi.  Tutto è “privato”, tutto è contratto, nulla è comunità, nulla è principio condiviso, non siamo che frammenti, individui trasformati in monadi. E non è certo, come immaginava Leibniz, il migliore dei mondi possibili. Solo restituendo l’uomo a se stesso, vita, famiglia, comunità, identità, rispetto del creato e apertura alla trascendenza si può sconfiggere questo disgustoso ermafrodito, Dio di se stesso generato dall’Illuminismo e portato a compimento dai materialismi che hanno dominato e preso in ostaggio l’Occidente, terra del Tramonto.

L’idra ha infinite spire, ciascuno cerchi di recidere quella che sente più minacciosa per il suo animo, a partire dalla dilagante immoralità delle legislazioni relative alla famiglia, ma non sconfiggeremo mai il mostro se non arriveremo alla testa, che è e resta la cupola di chi ha privatizzato il pianeta a fini di dominio. Hanno nomi e cognomi, luoghi di elezione,  centri di direzione strategica e operativa, intellettuali a contratto, un clero regolare ed uno secolare, come ogni religione rivelata, un potere enorme, ma di loro cominciamo ad averne abbastanza .

Come sapeva Dante, non siamo stati fatti per vivere come bruti, guardare sempre più in basso, un’esistenza ridotta a contratti da rispettare e stracciare, eccessi, sballi e sodomie da consumare di corsa e poi, via, un’iniezione letale, antisettica, antibatterica con ticket prepagato.                                                                             

                                                                   Roberto PECCHIOLI