ESSERE MUSULMANI, ED ESSERE ‘ROMANI’

Mea culpa. Qualche giorno fa ho postato una frase dell’islamologo   Rémi Brague che mi pareva un modello di acribia, ed ho suscitato un vespaio di reazioni di pancia:   mi han detto che volevo sostenere la superiorità di Cristo sull’Islam,  ho ricevuto persino, l’accusa di essere un adoratore della Fallaci, un odiatore dell’Islam,  un cristianista…Il peggio però non è questo. E’ che molti commenti mi hanno rivelato un dato: la cultura generale ormai è così bassa, l’argomento “religione” così rozzamente fondato su pregiudizi e luoghi comuni, e ignoranza dello sviluppo storico, che una frase “colta” e sapiente viene fraintesa del tutto, e suscita elucubrazioni demenziali, ed enormi spropositi dal parte di relativisti da bar.

Mea   culpa.

Riporto qui la frase di Brague, “la differenza fondamentale tra Cristianesimo ed Islam”

“L’idea di misericordia, e   dunque di perdono, è una delle tante nozioni che, dietro la stessa parola, non hanno lo stesso significato.

Dio, come lo vedono i cristiani, detesta il peccato che sfigura la Sua creatura, ma ama i peccatori che Egli vuol liberare dai loro peccati: “Cristo è morto per noi quando eravamo ancora peccatori” (Romani, 5,8). Il Dio del Corano ama quelli che sottomettono e odia quelli che non credono in Lui (Corano, XL, 10). Prima di parlare di misericordia, domandiamoci verso chi Dio ne dà  prova. Non facciamo confusione tra i Dio”.

Mea culpa: dovevo precisare il livello  in cui intendevo porre l’osservazione.  Ovvio, secondo me: oggi che l’Islam entra e si  mescola con le nostre vite, e   per giunta nella sua forma più rozza e ostile (wahabismo),  guardiamoci dall’interpretarlo secondo le nostre categorie: che sono “cristiane” anche se siamo dei mangiapreti.   Perché, come aveva notato un diplomatico indiano (che avevo riportato in un precedente articolo):

L’Islam è morto, il cristianesimo anche, ma le due religioni non hanno voluto morire nello stesso modo.  La morte dell’Islam è molto musulmana, la morte del cristianesimo  molto cristiana. L’Islam ha voluto la morte nella necrosi, il terrorismo. Il cristianesimo,ha trovato la morte nella secolarizzazione, in una follia che chiama ’libertà’.  Le nozze gay, esemplifica, “sono in questo senso una iniziativa tipicamente cristiana”.

Le nozze gay  non potevano essere legittimate se non in ambiente “cristiano”, questo  vuol dire l’acuto diplomatico. Un cristianesimo divenuto certo cancro a se stesso, ma – fateci caso – tutte le leggi che i militanti della secolarizzazione riescono ad imporci, sono – come notò Chesterton –   “idee cristiane impazzite”, un residuo cristiano divenuto folle: persino l’aborto legale  i diritti LGBT, l’umanitarismo  estensione demente della carità,  la globalizzazione come contraffazione dell’universalità ‘cattolica’, “nessuno tocchi Caino”. I musulmani, per loro fortuna, nemmeno riescono a concepire simili “diritti”, simili “bontà”, simili buonismi, simili “politicamente corretto”.  E saranno loro, a farsene i carnefici.

Questo e solo questo volevo dire. Volevo avvertire   di non far confusioni:   la parola “religione”  ha  un senso radicalmente diverso qui da noi e fra i musulmani.. E i laicisti più aperti alla “accoglienza senza limiti”,  che non  a caso adorano Francesco, preparano a se stessi sgradevoli sorprese se si aspettano misericordia e gratitudine, e credono che i nuovo arrivati comprendano il nostro sistema di “diritti”, o anche solo il diritto.  Sorprese consistenti nel taglio delle gole, questo diceva Brague.

brague

Ora, siccome la cultura generale è ormai  così scarsa, occorre dire perché Rémi Brague è un  intellettuale importante  proprio nel nostro tempo.

Anzitutto è grande ammiratore di Roma antica, che continua a proporre come “modello per la salvezza d’Europa”.  La grandezza di Roma  – questa è la sua scoperta – sta nella sua “secondarietà”. Che cosa vuol dire? Che all’apice della potenza, Roma avrebbe potuto dire: “La civiltà comincia con noi, tutti gli altri sono barbari oscuri”. Farsi, insomma, civiltà “primaria”, che non doveva nulla a nessuno, apice della storia

I Romani non lo fecero. Sapevano, riconoscevano, di essere venuti in un mondo già colto e civile; ammettevano di essere “secondi”  rispetto alla Grecia. Non furono mai tentati dal cancellarla; anzi, mandavano i figli ad Atene a imparare  Platone e Aristotile, Omero era la lettura obbligatoria  delle scuole elementari – e in greco. Si facevano fare  copie di statue greche di Fidia,  era bon ton scriversi fra loro in greco; non erano particolarmente coscienti della originalità assoluta delle  loro due arti maggiori – arti radicalmente politiche, pubbliche – che furono il Diritto e l’Architettura (i romani inventarono  gli interni  monumentali, ignoti a greci) anzi nel praticarle si riferivano volentieri all’Ellenismo per nobilitarle.

Orbene questo fenomeno – la secondarietà – è rarissimo nella storia, dice Brague.  Specie in un popolo dominatore e imperiale.

Sarebbe stato facile cercare di preservare intatta la “autenticità” etnica, esaltare le “prische virtù” repubblicane e guerriere del Lazio primitivo, e giudicare “decadenza” la raffinatezza ellenica. Catone e il suo circolo ci provarono anche. Ma, in verità, il romano si sentì sempre un po’ barbaro rispetto al Greco; un “complesso d’inferiorità” a cui diede uno sbocco improbabile: la decisione di “andare ad imparare” dai greci.

Dice Brague: Essere ‘romano’ significa avere alle spalle un classicismo da imitare, e davanti a sé  una barbarie da sottomettere. 

La barbarie da sottomettere non è solo la barbarie esterna; è anche la barbarie interiore. Quella che il Romano sa di avere in sé. Il Romano sa che deve diventare “classico”, con uno sforzo di apprendimento, di approfondimento e di “conquista”  continuo.

Grazie a questa particolare umiltà, Roma è quella a  cui dobbiamo se ha trasmesso il passato classico ai barbari d’Europa;  è a Roma che dobbiamo  se la cultura d’Europa può rivendicare a sé Socrate e Platone, i tragici e Policleto  – un continuum di tremila anni –  e non – poniamo – Asterix.

Il trionfo in Europa del Cristianesimo avrebbe potuto  essere la  cesura  in questo continuum di tremila anni. Non lo è stato, perché anche la religione cristiana ebbe il carattere di “secondarietà”.  I cristiani sanno di avere una religione  non “originale”, bensì “derivata”: caso unico, una religione che si riconosce  seconda rispetto all’Ebraismo – e invece di cancellare  anche le tracce di quella religione  superata e  (spesso) imbarazzante, per mostrare la sua “primarietà”, va’ a studiare l’ebraico, va’ continuamente alle fonti.  Del resto non può fare altrimenti: il suo Gesù è il Messia, non si può staccarlo dalla sua origine.

Lo stesso atteggiamento  dunque  il cristianesimo assume davanti a Roma. Quando trionfa, resiste alla tentazione di cancellarne le vestigia ( ammesso che ci sia stata): è tipico che i monaci amanuensi nell’altissimo Medio Evo copiano i testi latini, anche dei poeti licenziosi e ultra-pagani –  tale è il prestigio di quella cultura,  di quella lingua, che nemmeno ci pensano a cancellarla.

Perché il Cattolicesimo è Romano

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Nel Pantheon, il sereno e possente dominio dello spazio che sarà anche della politica romana

Anche per questo la Chiesa è, profondissimamente, Romana: nel sapersi apparsa in un mondo culturale che già esisteva ed era grandioso, nel sapersi in parte barbara e bisognosa di recuperare la classicità.  Brague rileva come nel Medio Evo la lingua latina, che  era  lo strumento universale delle persone di cultura, sia segnato triplice secondarietà: 1- Non era la lingua materna di nessuno, ma che andava appresa. 2 – Non era la lingua cristiana, anzi portava con sé tutte le suggestioni e i valori del classicismo  pagano; 3 – Non era la lingua originale della Scrittura,  che era o l’aramaico o il greco; non poteva essere elevata a “lingua sacra”, mantenne sempre un fondo laico, era usata dai notai come dai preti e dagli scienziati.

Spero si intuisca che da  qui nasce la “laicità”, la “separazione fra Stato e Chiesa”, anticipata  dal conflitto fra papato ed impero. Non è possibile, al cristiano, essere davvero “integralista”. Non può dire: tutto ciò che mi serve è nei Vangeli, dunque brucerò tutti gli altri libri anteriori, che sono falsi o inutili.  Non può, il cristiano, desumere un diritto direttamente  dal Vangelo; la Chiesa adotterà senza alcuna esitazione il Diritto Romano.

Spero si intuisca, a questo punto, come la “secondarietà” della religione, innestata sulla “secondarietà” di Roma,  faccia nascere – per esempio – umanesimo e Rinascimento. Già nel benedettino che nell’ottavo secolo copiava Lucrezio e Orazio e Ovidio, invece di bruciarli, cova il letterato quattrocentesco che “riscopre” quegli autori e li scaglia, magari, contro la religione dei monaci. Anche i grandi filosofi della cristianità, anche Tomaso d’Aquino, han sofferto di  non conoscere il greco, e di dover studiare Aristotile su testi di arabi; appena è stato possibile, l’Europa cristiana si è gettata sugli  originali ellenici, ha voluto riscoprire il “vero” Platone, il vero Aristotile, incurante dal pericolo per la fede  ha imparato di nuovo il greco: e il greco ha cambiato l’esser cristiano , rispetto a quello medievale, in modo decisivo.

Perché  anche il  cristiano sapeva di avere una classicità alle spalle, da apprendere, e una barbarie davanti, da sottomettere  –   in sé.

L’Islam è “primario”

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(In realtà questo è un interno romano, ma Islam non lo sa)

Ora, l’Islam è invece una religione che si è voluta “primaria”. Ciò, in modo radicale: prima della comparsa del Profeta e della “discesa” del Corano, proclama, non c’era civiltà. Non c’erano che oscurità e ignoranza  (gahiliyya): i libri di prima, o sono inutili – perché tutta la scienza che serve al  fedele è nel Corano – o sono dannosi perché contengono solo falsità: si brucino.  Non c’è niente da imparare dai miscredenti.

Direte che esagero. Perché naturalmente, saprete che gli islamici hanno tradotto una quantità di  testi greci in arabo, e per secoli i nostri medievali  hanno letto i greci nelle traduzioni dall’arabo al latino che ne fecero eruditi ebrei. Tutto vero, e non toglierò questo merito ai musulmani. Il punto però è questo: che una volta tradotto in arabo i greci, essi non hanno più  conservato gli originali. Perché avrebbero dovuto, visto che erano ormai nell’arabo, la lingua sacra, la lingua perfetta, la lingua di Allah?

Per questo Schlegel ha potuto dire: nel Medio Evo, “ i musulmani “furono infinitamente più colti, e  tuttavia più barbari degli europei medievali. Barbaro infatti è colui che insieme è anti-classico e anti-progressivo”

Così, si sono reso impossibile qualunque “Rinascimento”. Qualunque “recupero” culturale,  qualunque “umanesimo”. Nessuna curiosità delle altre culture, che già era così vivace in Erodoto, primo etnologo del 450 avanti Cristo.  Nessuna “laicità”, ovviamente,   ha potuto sorgere da questa religione “primaria” e beduina. Questo è il motivo per cui la loro conquista non ha portato un ampliamento  culturale, come   la conquista di Roma, bensì una cesura e una rottura.  Hanno avuto una grande cultura, sì. Ma  come notava  Schlegel, coltissimi e insieme barbari.

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Una wahabita de’ noantri

Naturalmente l’amico Galoppini, che è un convertito al sufismo,  dirà che ho voluto  asserire  propagandisticamente  la “superiorità” del Cristianesimo sull’Islam. Spero di placarlo facendo notare – come ho sempre fatto – che c’è qualcosa di malato, in questa pretesa “superiorità” cristiana è sboccata nei diritti  LGBT, animalismo, universalismo massonico, secolarizzazione edonistica, buonismo  di “Francesco”  e di Boldrini, –  orrori  che stanno provocando il suicidio della nostra civiltà, che tuttavia sono “cristiani”, come idee cristiane diventate folli – e non avrebbero potuto nascere nell’Islam.

Lo riconosco volentieri. Vorrei solo far notare un carattere di questo progressismo distruttivo che impone idee cristiane impazzite,    la forsennata Boldrini, la Cirinnà, e tanti post-moderni che quando leggono la parola “cattolico” sbavano di  rabbia e vogliono sopprimerlo (almeno dal discorso pubblico, per ora: la persecuzione segue a breve).  Questo progressismo della secolarizzazione compiuta si vive come “primario”.   Esso solo rappresenta la civiltà; non deve niente alla Tradizione;  per la Cirinnà come per Scalfari o il giornalista medio,  il passato è solo superstizione ed oscurità ‘integralista’, da cui non c’è  niente da imparare. Anzi di cui è  bene distruggere le ultime vestigia, siano il latino e il greco al liceo, siano le architetture, sia il diritto romano, ossia  “naturale”; si mettan da parte i preti “tradizionalisti” e i loro fedeli. La Chiesa “nuova” ha bisogno di aderire e confluire nell’umanitarismo e  universalismo dei “diritti umani”, abbandonando tutti i dogmi, perché “dividono” e  “non sono più adatti all’uomo d’oggi”. Anche la Chiesa post-conciliare si vive come “primaria”,  libera dal suo passato.

Naturalmente il trionfo di  una  tale  secolarizzazione  non produce un ampliamento della cultura – quell’ampliamento per cui Roma ci ha dato la Grecia –  bensì’ la sua frattura e cesura. Cirinnà, Boldrini e  Scalfari e tutti i progressisti  sono, in un senso radicale, i nostri wahabiti.   Devastatori di civiltà, non costruttori: precisamente, distrutori della nostra civiltà di tremila anni.   Non m’importa molto se verranno sgozzati dai wahabiti vostri, Galoppini. Anzi confesso un certo piacere.