IL LIBRO DELL’EX TOGA CHE VOLEVA PROCESSARE ZONIN – E MONORCHIO CHE CI STA A FARE?

 

Torna alla ribalta mediatica l’ex magistrato Cecilia Carreri, il cui nome è legato al processo che non si fece mai a Gianni Zonin e ad altri ex dirigenti della Banca Popolare di Vicenza. Lo fa con un libro in uscita il 29 giugno dal titolo “Non c’è spazio per quel giudice“, in cui ha voluto – come ha detto lei stessa ad Andrea Priante sul Corriere del Veneto del 21 giugno a pagina 21 – «tracciare un bilancio conclusivo del mio lavoro di magistrato, comprese le nuove indagini sul crack della Popolare di cui ebbi a occuparmi anni fa». Sull’inchiesta in corso sulla BpVi e i suoi ex vertici, la Carreri commenta: «per un crack bancario di così grandi dimensioni, avremmo eseguito misure cautelari del carcere, intercettazioni telefoniche e rogatorie, sequestri e perquisizioni a sorpresa. Ma anche il tema delle indagini sarebbe stato più esteso, non limitato ai risparmiatori truffati. Così si faceva ai miei tempi»

«La procura di Milano ha un elevato livello di specializzazione ma anche la guardia di finanza ha nuclei specializzati che però non vedo a Vicenza – continua l’ex magistrato -. Dietro il crack della banca ci sono state per anni operazioni finanziarie complesse, collegate anche a società private ed estere, un quadro che richiederebbe un impegno investigativo di notevole livello tecnico. Mi sorprende infine lo scollamento delle indagini di Vicenza con Banca Nuova presente in Sicilia e Calabria, una realtà che poteva aprire scenari nuovi».

Riprendiamo alcuni stralci del libro della Carreri pubblicati dal Corriere del Veneto: «Quando nel 1997 arrivò Antonio Fojadelli come nuovo procuratore di Vicenza iniziò subito a prendermi di mira. S’intrometteva di continuo nell’organizzazione dell’Ufficio indagini preliminari»; «Nel 2001 la procura di Vicenza aprì un fascicolo a carico di Zonin e altri, scaturito da alcune segnalazioni e da un’ispezione di Bankitalia. Le accuse andavano dal falso in bilancio alla truffa. (…) Balzava evidente l’assoluta mancanza di controlli istituzionali su quella gestione: un collegio sindacale completamente asservito, un Cda che non faceva che recepire le decisioni di quell’imprenditore, padrone incontrastato della banca. Nessuno si opponeva a Zonin, nessuno osava avanzare critiche, contestazioni»;

«Si capiva perfettamente, leggendo gli atti, che il procuratore (di Vicenza, ndr) non aveva voluto approfondire. Avrebbe dovuto procedere con intercettazioni, sequestri, verifiche bancarie, rogatorie, ordini di cattura. Il materiale poteva consentire indagini di alto livello. I reati balzavano agli occhi»;
«La procura (…) chiese l’archiviazione. Nelle scorse settimane, Fojadelli ha difeso il suo operato: “La magistratura fece il suo dovere. Semplicemente, all’epoca non furono evidenziati comportamenti illegali”»;

«Il gup che alla fine aveva celebrato l’udienza, Stefano Furlani, anziché limitarsi a valutare se disporre il rinvio a giudizio, aveva subito prosciolto Gianni Zonin e il consigliere delegato Glauco Zaniolo. Decisione impugnata dalla procura generale, secondo la quale “il gup Furlani ha palesemente travalicato i limiti delle sue funzioni appropriandosi in modo non consentito del ruolo e dei compiti del giudice del dibattimento”. Ma non cambiò nulla e Zonin alla fine ne uscì “pulito”. Nel 2005 un nuovo rivolo dell’indagine finì in Corte d’appello “dove all’epoca vi erano diverse conoscenze, come il famoso pg Ennio Fortuna, Gian Nico Rodighiero, quello che mi aveva giurato vendetta e che si diceva andasse a caccia con Gianni Zonin, e Manuela Romei Pasetti, diventata presidente della Corte e che nel 2012 sarebbe stata cooptata nel Cda della siciliana Banca Nuova del Gruppo Popolare di Vicenza»;

«I fatti erano chiari: in un modo o nell’altro ero fuori dalla magistratura. Se volevano eliminarmi, ci erano riusciti facendo in modo che fossi io, disperata, a dare le dimissioni. Il linciaggio mediatico mi aveva dato il colpo di grazia e poteva aver avuto una regia occulta».

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma in compenso la Sinistra ci  ha dato  le nozze gay.”Finlmente siamo civili”,  come ha detto Cirinnà. Ci ha fatto entrare nella Modernità.

 

BpVi, ma Monorchio che ci stava a fare?

Le indagini procedono placide, tutto sembra immobile. Mentre ci sono inconfutabilmente responsabilità oggettive

Indagini sugli ex vertici della Banca Popolare di Vicenza: si sta procedendo lentamente? No, siamo fermi. La bonaccia che si respira è fastidiosa, vorrei ricordare la quiete dopo la tempesta, ma non mi sembra corretto. La tempesta c’è stata , ma la quiete proprio non c’è. Gli animi , tantissimi, sono esasperati, alcuni lacerati dalla situazione in cui si trovano immersi. C’era una banca, fino a non molto tempo fa gabbata per solida, che ora non c’è più. Oppure, c’è ma solo come logo.

Sere fa parlavo con un signore cui non manca una profonda saggezza e buone competenze in materia bancaria. Sai – mi ha detto – abbiamo il reato, il corpo di reato, ma non il colpevole. Chissà se lo o li avremo mai. E con i mezzi e documenti a disposizione degli investigatori mi sembra una cosa incredibile. Cercai di spiegargli che io, nonostante un robusto pessimismo, covavo ancora la speranza che da qualche parte la verità potesse uscir fuori. Fui, invece, d’accordo con lui sul panorama desolante. Credo che il cataclisma riversatosi sugli azionisti della banca, aggiunto a quello che sarà il destino dell’istituto, influenzerà negativamente pure le spese dei vicentini coinvolti e di riflesso anche il bilancio nazionale.

Come si sa dalla stampa, gli azionisti che hanno iniziato una causa verso la Popolare sono una modesta percentuale dei salassati. Loro ed i legali cui si sono rivolti, non sanno bene a che santi votarsi visto il pressocché totale silenzio della Procura sugli eventuali responsabili del tracollo. C’è anche un altro motivo di preoccupazione. Oltre a non aver ancora individuato i responsabili, non c’è stato alcun sequestro, pur cautelativo, sui beni dei presunti colpevoli. Ci sono fior di legali che ipotizzano come il fumus sia evidente oltre che pronunciato, ma non sembra la Procura la pensi allo stesso modo. Singolare e preoccupante.

Quando si parla di fumus bonis iuris ci si riferisce alla probabile sussistenza del diritto che deve essere tutelato e questo è un dato obiettivo, costituito dalle centinaia di denunce di soci vittime di truffe ed estorsioni. La giurisprudenza ribadisce che per l’esistenza del presupposto fondante del fumus è sufficiente la “probabile sussistenza” del diritto di chi deve essere tutelato. A questo si dovrebbe aggiungere anche il periculum in mora che si esplicita nella probabilità che il danneggiante, nell’attesa del giudizio, sottragga i propri beni alla disponibilità dei creditori. Ma tutto sembra, invece, fermo, immobile. Chi è stato duramente, in relazione alle sue possibilità, colpito da questi accadimenti, avrebbe invece bisogno, non dico di vedere, ma almeno intravedere un traguardo.

Parliamo sempre di Zonin, ma ci sono altre figure le cui responsabilità sono oggettive: Sorato, già direttore generale, il comitato esecutivo della banca, il colleggio dei revisori e, non ultimo, i due vicepresidenti uno dei quali è stato alto dirigente della Banca d’Italia e, per dodici anni, Ragioniere Generale dello Stato: Andrea Monorchio (in foto). Se questo signore non è un tecnico, non so chi lo sia. Ha avuto, almeno per un triennio, sotto gli occhi la vita di una banca e non ha capito che si stava sgretolando in modo irreparabile. Perché non ha fatto sentire la sua voce? Non sarebbe certo accettabile la risposta che non sapeva. Le sue qualifiche non glielo consentono. La stampa nazionale ha ampiamente illustrato la cessione di tanti beni effettuata da Zonin, ma non si è occupata di quelli di tutti i signori summenzionati. Chissà se avranno provveduto pure loro. A volte sembra proprio di narrare fabellam surdo.

(Monorchio ex ragioniere generale dello Stato strapagatissimo vice di Zonin)..