La dissonanza cognitiva

di Roberto PECCHIOLI

Siamo circondati da concetti complicati che pretendono di spiegare senza risolvere. Uno è la dissonanza cognitiva, ossia, in parole semplici, l’abitudine di mentire a se stessi, il disagio che si avverte quando si cerca di sostenere idee opposte e incompatibili o le nostre convinzioni sono in contrasto con i comportamenti concreti. Fu teorizzata nel 1957 dal sociologo e psicologo americano Leo Festinger. Se le nostre convinzioni entrano in conflitto con le azioni o se abbiamo idee in contraddizione tra di loro, avvertiamo disagio e tensione. L’esempio è la favola di Esopo sulla volpe e l’uva. La volpe voleva l’uva ma non la raggiunse, così elaborò la menzogna che il frutto era acerbo. Mentì a se stessa per giustificare di non aver ottenuto ciò che voleva.

Uguale è la condizione dell’uomo contemporaneo, scisso tra volontà e possibilità, tra la realtà che vede e la rappresentazione che ne dà il potere. Il “politicamente corretto” si fonda sulla capacità di modificare la percezione delle cose attraverso le parole usate per definirle. La dissonanza è clamorosa: non crediamo più ai nostri occhi, ci stropicciamo le palpebre e cambiamo la nostra visione in linea con i dettami del potere. Nuova è la tecnica, non il principio. Vogliamo la libertà, rivendichiamo diritti con energia e talvolta violenza, ma intanto la rete della censura, della sorveglianza, della perdita di libertà e diritti quotidiani si fa più soffocante. Il potere conosce da sempre gli uomini. Sa che siamo esseri sociali e lavora affinché diventiamo animali da branco. Attorno a ogni gregge ci sono pastori, servi, cani e padroni. L’obiettivo dei pastori e dei padroni del gregge è che i capi siano grassi e in salute per vendere la carne al miglior prezzo. Nelle società umane, come nelle mandrie, chi governa tende ad abusare del potere e a disporre del tempo, del lavoro, dei beni e spesso della vita dei sudditi.

Un paio di secoli or sono, qualcuno prese coscienza di sé e proclamò i diritti di ogni individuo contro chi dirige la società. Furono definiti alcuni diritti fondamentali che ora stiamo perdendo in quanto mentiamo a noi stessi. Meglio la sicurezza della libertà, meglio essere servi che morti, meglio controllati, sorvegliati che navigare nell’ alto mare aperto. Proclamiamo una cosa, pratichiamo quella contraria: dissonanza cognitiva.

Il dominio contemporanea ha due forme, la dittatura comunista e il potere del denaro, cioè l’imperialismo capitalista. Il primo è un totalitarismo senza complessi, il secondo è più sofisticato, si veste di democrazia, diritti, liberalismo, sebbene in realtà sia il potere di una élite con complici politici. La tecnica è stata appropriarsi dei media, delle banche centrali, delle organizzazioni sovranazionali, della tecnologia. Vestiti di pelle di pecora, fanno tutto per il nostro bene. Ci conducono al mattatoio e noi accarezziamo la mano dell’aguzzino. Il personaggio di Fracchia nei film di Paolo Villaggio partiva deciso a farsi le proprie ragioni e finiva invariabilmente per sottomettersi. Come è buono lei, esclamava il povero Fracchia, cornuto e mazziato, vittima di dissonanza cognitiva.

Il controllo sarà totale quando verrà eliminato il denaro contante – non più padroni dei nostri soldi – e ci impianteranno un chip per tenerci sorvegliati in qualsiasi momento. Nel frattempo, si sono portati avanti imponendoci il passaporto verde, un mezzo di controllo sociale. La maggioranza dei cittadini è costituita da bravi agnelli che non vogliono rischi né responsabilità, amano seguire le istruzioni e conformarsi a tutto ciò che viene loro detto. Il pastore è buono e vuole il bene del gregge: questo, disgraziatamente, pensa la gente e poco vale l’esperienza quotidiana di ingiustizie, arroganza e autoritarismo. Le pecore nere –coloro che non soffrono di dissonanza cognitiva e chiamano le cose con il loro vero nome – sono una minoranza facile da criminalizzare e ritenere responsabile di qualsiasi problema. Il meccanismo è antico: si individua il capro espiatorio, lo si colpisce nel tripudio della folla e la comunità si ricompatta attorno ai suoi capi. Capitò al povero Renzo nei Promessi Sposi durante la rivolta di Milano: gli spagnoli cercavano “un reo buon uomo” a cui attribuire le responsabilità e fa dimenticare la mancanza di pane contro cui la popolazione si era rivoltata.

La difficoltà maggiore per la pecora nera è l’impossibilità di convincere gli agnelli del loro destino, perché il problema da superare è la dissonanza cognitiva. Quando qualcuno ha una convinzione radicata (poco importa se manipolata ed eterodiretta) a pochissimo vale che gli siano esibite prove contro di essa. Anche se sono inoppugnabili, non vengono accettate. Provate a convincere gli utenti compulsivi delle carte di credito che non sono più padroni dei loro quattrini, che qualcuno detiene il potere sul loro stipendio, che potrà- per i motivi più vari- bloccarle e che attraverso le card sorveglia, controlla e determina i nostri consumi. I più educati opporranno la comodità d’uso, gli altri vi guarderanno con commiserazione, dopo aver scacciato con fastidio i dubbi insinuati.

Per il green pass è lo stesso: i nemici delle vaccinazioni sono pochissimi, più numerosi quelli che hanno compreso la vera natura di un documento in assenza del quale non si vive, non si lavora, non si viaggia e non si può nemmeno bere il caffè. Ciononostante, la maggioranza è fiera di esibire il foglietto – meglio se in forma digitale-  e diventare parte del gregge unito dal rancore per i recalcitranti. Hanno fatto credere, nell’ordine: che la vaccinazione immunizzasse; che chi la rifiuta sia un nemico; che sia un “untore”, anche se i dati medici lo smentiscono; che il “passi” non sia un mezzo di controllo sociale, bensì una misura di buon senso.  Le tesi avverse, quando affiorano, suscitano aperta indignazione o un aggrottare di sopracciglia: le idee dissonanti vengono scacciate e la pecora dubbiosa rientra soddisfatta nel gregge, alla debita distanza “sociale”. Molti avvertono disagio quando vengono attaccati nelle loro convinzioni (opinioni posticce insinuate dal potere), tuttavia tendono a negare l’evidenza poiché mette a rischio il loro modo di pensare. Per di più, facile transitur ad plures, scriveva Seneca, è facile passare alla maggioranza.

La dissonanza cognitiva è il grande nemico dei ribelli. Il gregge è condotto al macello, ma le pecore non lo vogliono sapere né vedere. Nel caso dell’epidemia, la gente non si avvede del terrore che le è stato inculcato. Le psicosi collettive sono facili da scatenare: basta seguire la natura umana e agire sulle paure, che per essere credute devono avere una base di verità. Gli antidoti? L’abitudine al dubbio, l’adozione del pensiero critico e la tenuta morale, difficilissima se non è sostenuta da una visione spirituale. Un aiuto viene da grandi personalità del passato.

Fedor Dostoevskij, ad esempio, ebbe sempre grande compassione per gli uomini e le loro sofferenze, ma sapeva che l’uomo non è buono per natura. Lasciato a se stesso, privato della trascendenza, perde il rispetto verso gli altri e torna animale da preda. Al suo tempo, avanzavano il positivismo e lo scientismo, che trattano l’uomo come un oggetto, una macchina da analizzare e ridurre in termini strettamente biologici. La conseguenza è il potere smisurato degli esperti e la fede infantile – spacciata per razionale- che esista per tutto una soluzione tecnica e scientifica. Oggi è il vaccino, domani il robot, dopodomani l’uomo “aumentato”, ibridato con la macchina. Il gregge guarda incantato nella penombra che si fa buio fitto e applaude: è tracciata la via del totalitarismo.

L’uomo, ci convincono, è un essere semplice e buono. Dostoevskij sperimentò nei maltrattamenti della prigionia in Siberia quanto fosse falso. La qualità morale di ciascuno viene messa alla prova quando può esercitare un po’ di potere. La disumanità della guerra di tutti contro tutti dispiega la sua velenosa potenza. Divide et impera: vecchio vino per nuove botti. In nome della “comodità” hanno preso il controllo dei nostri soldi – in attesa dell’esproprio finale per cui “non avremo nulla e saremo felici”, un esempio formidabile di dissonanza cognitiva.

Hanno assunto il controllo del nostro corpo e completato quello sulle nostre menti, diventate megafoni del Dominio. Su tutto, una dea spuria e fallibile, la Scienza, i cui confini sono mobili e le cui conclusioni variano secondo gli interessi. I governi non sanno imporre l’obbligo vaccinale, quindi hanno creato un contesto che costringe le persone all’iniezione o ad essere condannate alla versione moderna del campanello che annunciava i lebbrosi. Lo stesso vale per tutto ciò che il potere vuole: con irrisoria facilità riesce a farci credere il contrario di ciò che vediamo e subiamo sulla pelle. La dissonanza cognitiva dello schiavo che vede la catene e non cerca di spezzarle.

Un ulteriore esempio è la capacità del potere di farci accettare un sistema di norme per cui alcune idee, preferenze, intenzioni, sentimenti – decisi da loro, giudicati da loro – diventano illegali, titoli di reato. Pensiamo all’incredibile categoria di “discorso di odio”, assai utile per criminalizzare il dissenso. Ci sarebbe bisogno di un nuovo Catone, il fiero senatore romano custode dello spirito repubblicano e del mos maiorum, la morale tradizionale. I costumi erano il fondamento dell’etica: il senso civico, la pietas, il valore militare, l’austerità e il rispetto delle norme sperimentate nel tempo. Nel 167 a.C. pronunciò in Senato un’orazione, “Pro Rodiensibus”, a favore dei rodiesi. Roma voleva dichiarare guerra all’isola greca, che aveva firmato un trattato di amicizia con la Macedonia. Rodi non faceva nulla contro Roma né aiutava la Macedonia: Catone intervenne in sua difesa affermando che si possono punire le azioni, non i pensieri.

L’ intenzione non trasformata in azione, il semplice desiderio, la volontà nuda non possono essere puniti. Dovrebbe essere un fondamento del diritto, del senso comune e della politica. Il repubblicano Catone è ancora una voce potente in tempi in cui le persone non sono giudicate per le loro azioni e opere, ma dal loro sesso, la loro razza, la loro ideologia: il politicamente corretto prevale sui principi della democrazia. Vediamo con chiarezza l’assurdità delle nuove divisioni, ma tacciamo o mentiamo a noi stessi, finendo per credere che la neve è nera, se lo dice il potere. Non siamo più figli delle nostre azioni ma di categorie e identità in gran parte false. Vediamo bianco e diciamo nero. Peggio, finiamo per crederci.

In regime di libertà, l’intenzione e il sentimento sottostante non possono essere sanzionati. Non può essere giusto punire qualcuno accusato di avere pessimi sentimenti e cattive intenzioni.  Un’ulteriore dissonanza cognitiva è quella che alimenta il discorso sul cosiddetto femminicidio. Praticare la violenza e uccidere è un delitto indipendentemente dal sesso di chi agisce e di chi subisce. Nessun problema se si inaspriscono le pene per condotte odiose, ma il pensiero sottostante è che l’esemplare maschio della specie umana è strutturalmente violento contro la femmina. Portato alle estreme conseguenze, l’assunto nega l’uguaglianza di fronte alla legge, punendo non il fatto in sé, ma l’attitudine malvagia (che se fosse strutturale, paradossalmente dovrebbe costituire un’attenuante o un’esimente!) non di una persona contro un’altra, ma di un sesso verso l’altro. Nascere uomo non induce alla commissione di delitti: mentiamo a noi stessi perché diversamente saremmo a disagio, controcorrente. La corrente di oggi, domani chissà.

Benjamin Constant, un maestro del pensiero liberale, affermò che se al governo è consentito svolgere funzioni speculative o preventive, cioè agire in base a sospetti, intenzioni o possibilità, finirà per vietare tutto per evitare problemi. Il suo ruolo deve essere “positivo”, punire i delitti commessi e riparare i mali causati. Ciò implica una minore protezione: la libertà comporta dei rischi e non coincide con l’ossessione della sicurezza. Il discorso di Catone serve anche per difendere la libertà di pensiero, che non è mai un crimine. E’ uno sproposito l’impero pedagogico del politicamente corretto che punisce il pensiero vietando, giudicando le parole secondo l’intenzione (vera o presunta) di chi le pronuncia.

Oggi, ogni dissidente è un abitante di Rodi senza la difesa di Catone. Il male si combatte con l’educazione e la cultura guardandolo in faccia, non cambiandogli nome. Invertire il bene e il male, il vizio e la virtù, definire libertà il divieto, chiamare odio ciò non ci piace, ovvero convincere che la neve è nera non è dissonanza cognitiva, ma un delitto contro l’essere umano. La volpe di Esiodo mentiva; mentono e insegnano a mentire le volpi al potere.