PIANISTA EBREO CONVERTITO DAL SANTISSIMO SACRAMENTO La storia di Hermann Cohen, allievo di Liszt, musicista di successo, che dopo le dissolutezze cambia la sua vita e anche quella dei suoi cari PIANISTA EBREO CONVERTITO DAL SANTISSIMO SACRAMENTO

La storia di Hermann Cohen, allievo di Liszt, musicista di successo, che dopo le dissolutezze cambia la sua vita e anche quella dei suoi cari

di Rino Cammilleri

Se andate su Wikipedia scoprirete che di Hermann Cohen ce ne sono due. Uno era un filosofo kantiano, nato nel 1842 e morto a Berlino nel 1918. L’altro era un pianista di vent’anni più vecchio, ed è quello che qui ci interessa. Hermann Cohen era ebreo figlio di ebrei, padre e madre. Era uno dei quattro figli di David Abraham Cohen e Rosalie Benjamin. Cognome classico: Cohen, in ebraico «sacerdote».  Suo padre – altro classico – era un ricco banchiere. Lui nacque ad Amburgo nel 1821, appena dopo la bufera napoleonica. Fu messo in uno dei migliori collegi, come da tradizione delle famiglie facoltose. Eccelleva nelle lingue, ma si accorsero subito che era un prodigio al pianoforte. A sette anni già teneva concerti a Altona e Francoforte.

UN TALENTO, TANTI VIZI
Hermann Cohen, portato in palmo di mano quale promessa, appena dodicenne si trasferì in quella che allora, grazie anche a Napoleone, era la capitale culturale del mondo: Parigi. Fu sua madre a prendere l’iniziativa: gli affari dei Cohen declinavano e lei puntò le sue carte su quel figlio prodigio. Si trasferì coi figli a Parigi. Il piccolo Hermann fu messo alla sua scuola dell’ungherese Franz Liszt. Non tardò a diventare il migliore allievo di cotanto maestro, che prese a considerarlo il suo pupillo e, addirittura, ad affibbiargli il vezzeggiativo Putzig, che in tedesco vuol dire «carino». Il Cohen in poco tempo divenne un concertista affermato e conteso. Il suo maestro frequentava il bel mondo, e pure il giovanotto tedesco era sempre presente nei migliori salotti, vezzeggiato dalle dame della nobiltà e perfino da scrittrici affermate come George Sand. Quando Liszt andò a Ginevra con la sua ultima fiamma, la contessa Marie d’Agoult, il giovane fu della partita. Qui nel 1835 la principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso gli organizzò un concerto. Esibizioni, applausi, ricevimenti, la stella del giovane Cohen era in ascesa e ascese senza interruzioni fino a finire nella spirale del vizio. In questo caso, quello del gioco, che portò l’astro nascente a non sapere come ripianare i debiti che in pochi anni aveva accumulato. Fu a Londra, dove suonò più volte, poi ad Amburgo per cercare prestiti. A Parigi strinse una relazione con una donna sposata. Insomma, non si faceva mancare nulla.

IL SANTISSIMO GLI CAMBIA LA VITA
Ma il successo gli aveva dato alla testa, tanto che nel 1841 riuscì a litigare anche col suo maestro, Liszt, che lo accusò di essersi appropriato dei fondi dei concerti tenuti a Dresda. Non si parlarono più per vent’anni. Si distrasse con una artista di circo, Celeste Mogadar, ma la cosa finì presto. Aveva ventisette anni quando accadde . Chiamato a sostituire il direttore del coro in una chiesa parigina, aveva visto la cerimonia della benedizione col Santissimo. Lui, che prima del collegio aveva frequentato solo la scuola rabbinica, non capiva. Ma avvertì una particolare attrazione verso quell’oggetto. Ogni venerdì prese a tornare in quella chiesa per rivivere il singolare episodio. E lo riviveva, in effetti, tanto da cadere in ginocchio ogni volta. Ne parlò col prete e quello gli presentò Theodor Ratisbonne, ebreo convertito e ora prete cattolico, fratello di quel celebre Alphonse a cui era apparsa la Madonna nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte a Roma nel 1842. Era il 1847 e il Cohen dovette recarsi a Ems, in Germania, per un concerto. La domenica entrò in una chiesa cattolica e segui la messa. Gli amici che lo avevano accompagnato erano abituati, sì, alle stranezze d’artista, ma rimasero lo stesso di stucco quando videro il famoso Hermann Cohen, gagà, playboy, viveur, giocatore ed ebreo, sciogliersi in lacrime durante il rito. Tornato a Parigi si fece battezzare col nome di Augustin nella chiesa di Nostra Signora di Sion fondata dal Ratisbonne per gli ebrei convertiti. Poi, prima comunione e cresima dalle mani dell’arcivescovo Denis-Auguste Affre. Quest’ultimo morì l’anno dopo, colpito da una pallottola, mentre cercava di pacificare gli animi durante la rivoluzione che nel 1848 abbatté la Monarchia di luglio (quella liberale di Luigi Filippo d’Orléans, che nel 1830 aveva a sua volta detronizzato Carlo X, l’ultimo re «unto») e instaurò la Seconda Repubblica (poi fatta fuori da Napoleone III). Per i due anni seguenti la vita pubblica del Cohen non cambiò: doveva pagare i debiti e non poteva smettere di accettare ingaggi. Ma il tempo libero lo dedicava alla sua nuova passione: il Santissimo. Alla fine del 1848, passata l’ennesima rivoluzione francese e in attesa della successiva, insieme ad altri devoti ideò l’adorazione eucaristica notturna nella chiesa parigina di Notre Dame des Victoires. Scelta non casuale. La chiesa, oggi basilica, era stata fatta edificare da Luigi XIII come ex-voto. Quel re non riusciva a sconfiggere i calvinisti ugonotti, aiutati dall’Inghilterra, e chiudere per sempre la triste stagione delle guerre di religione in Francia. Nel 1628 finalmente cadde La Rochelle, ultima roccaforte protestante (all’assedio c’erano anche i letterari Tre Moschettieri) e il re fece costruire la chiesa dedicandola alla Madonna delle Vittorie. Liniziativa eucaristica notturna di Hermann Cohen si diffuse ben presto in altre chiese parigine e, da lì, in tutta la Francia. Ma il pianista aveva anche altro in mente, qualcosa di più radicale. Nel 1849 si fece frate carmelitano nel convento di Brussey col norne di Augustin du Très Sacré Sacrement. Nel 1851 venne ordinato sacerdote.

LE SCUSE E LA NUOVA VITA
Quando pronunciò la sua prima omelia, nella chiesa parigina di Saint-Sulpice, la platea era composta soprattutto da curiosi. Infatti, la conversione e addirittura l’entrata in convento con annesso sacerdozio di uno dei più celebri musicisti d’Europa (e, a quel tempo, del mondo) aveva fatto scalpore e molti erano quelli venuti da ogni dove per vedere l’ex damerino e stella dei concerti adesso con la chierica carmelitana e vestito da prete papista. Nella predica, esordì col chiedere scusa alla città per gli scandali della sua vita dissipata. Poi disse chiaro che aveva cercato la gioia nel successo, gli svaghi, le amicizie altolocate. Ma non l’aveva trovata. Solo Cristo era stato capace di procurargliela. Il suo esempio finì col contagiare la sorella Henriette, che nel 1852 volle farsi battezzare da lui. Intanto in Francia il regime cambiava per l’ennesima volta. Il 2 dicembre, con un colpo di Stato, il presidente della repubblica Luigi Napoleone prendeva il potere per sempre. Ancora barricate, ancora morti, ancora repressioni, liste di proscrizione, deportazioni alla Cajenne. Il Secondo Impero fu proclamato nello stesso giorno del Primo. Fu dunque sotto Napoleone III che Henriette Cohen volle far battezzare anche suo figlio Georges che aveva pochi anni. Ma il padre di quest’ultimo non la prese bene e per tutta risposta chiuse il figlioletto in un collegio protestante. L’ostinazione di questo ragazzino nel voler restare cattolico, però, convinse Albert, fratello di Hermann, a farsi battezzare pure lui. Intanto, fra Augustin si dava da fare. Nel 1859 fu lui a riaprire, dopo decenni di rivoluzioni, il Carmelo di Lione. Ebbe anche la fortuna di visitare Jean-Marie Vianney, il famoso Curato d’Ars, pochi mesi prima che questi morisse. Nel 1862 andò a inaugurare un convento a Londra, dopo che il governo inglese aveva finalmente allentato i divieti nei confronti dei «papisti». Nel 1864 fu ammirato dal Times per avere affrontato da solo la folla che inveiva contro sei marinai cattolici che stavano per essere impiccati a Newgate e ai quali stava dando gli ultimi sacramenti. Nel 1868, quasi cieco per un glaucoma, si portò a Lourdes, dove ottenne la grazia della guarigione. Nel 1870 la sconfitta della Francia nella guerra franco-prussiana lo costrinse, in qualità di tedesco, a emigrare in Svizzera, a Montreux. Nell’esilio svizzero fu il cappellano di quelli che, come lui, dalla Francia erano dovuti scappare. Ma c’era un altro gregge, e più numeroso, senza pastore. Così, passò a Spandau, dalle parti di Berlino. Qui c’erano migliaia di prigionieri di religione cattolica. Lui ne fu il pastore ma finì per essere contagiato di vaiolo, malattia che lo portò alla morte nel 1871.

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