Riforma Fondo Salva Stati: la grande beffa passa al Parlamento o…alla Corte Costituzionale

 

Avv. Gianluigi Mucciaccio

Ora sarà il Parlamento (sembrerebbe l’11 dicembre) a pronunciarsi sulla sua ratifica sul Fondo Salva Stati e, considerata l’aria che tira, sperare in un colpo di coda è un esercizio che lascio volentieri a coloro che ancora immaginano un disperato cambiamento di rotta che forse rimarrà una pia illusione.

Ebbene, al fine di dissipare qualsiasi perplessità sull’argomento, occorre evidenziare quelli che sono i capisaldi su cui trova la sua ratio questa rinnovata trappola finanziaria in cui si rischia di rimanere impigliati e che mortificherà ovvero si abbatterà, in modo devastante, sulla nostra residuale economia con particolare riguardo ai risparmi degli italiani a cui la finanza internazionale guarda con particolare bramosia e con l’obiettivo subdolo di risanare i bilanci delle banche tedesche e non di certo quelle italiane per il quale si applicherà noto il bail-in sui già cotti risparmiatori.

Di certo, non ci si può più stupire di nulla riguardo questa classe politica deficitaria al servizio dell’Alta Finanza (il buon Auriti li definiva camerieri dei banchieri) in quanto è palese la sua assoluta inconsistenza in quanto sfugge sistematicamente alla proprie responsabilità verso quello che era un tempo lo Stato Nazione e, nel contempo, lascia che il nostro paese sia costantemente dilaniato dalle politiche di recessione e di mortale austerità che sono, guardacaso, tutte condizioni sottese a questo meccanismo di “tortura finanziaria”.

Fatta questa breve premessa entriamo nel merito della questione: il MES (Meccanismo europeo di stabilità) trova per la prima volta il suo “esordio ufficiale” al Consiglio Europeo nelle giornate del 24 e 25 marzo 2011 a cui partecipò l’allora capo del Governo Silvio Berlusconi e successivamente approvato, sotto il governo Monti, con “ampie maggioranze” dai due rami del Parlamento e segnatamente dal Senato il 12 luglio 2012 (191 si, 15 astenuti e 21 no) e dalla Camera il 19 luglio 2012 (380 si, 36 astenuti e 59 no) ed infine promulgato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 27 luglio 2012.

Ebbene detto Fondo di cui l’Italia ne è, dopo Germania e Francia, il terzo contributore e paradossalmente, nei fatti, senza diritti avendo stanziato, ad oggi, per lo stesso la quota di oltre 14 miliardi di Euro, nella sostanza, è un’organizzazione internazionale a cui le istituzioni europee hanno praticamente delegato tutti i provvedimenti riguardanti la stabilità finanziaria dei paesi membri ed è stato ed istituito da una apposita modifica dell’art. 136 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) meglio noto come “Trattato di Lisbona” approvata dal Parlamento Europeo il 23 marzo 2011 e ratificato come innanzi accennato dal predetto Consiglio Europeo la quale enunciava sin dal principio che “la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”.

Difatti, nell’analizzare nei suoi tratti salienti il funzionamento di questo meccanismo integrato con le ultime novità trapelate in questi giorni e presentate dal tedesco Klaus Regling in qualità di amministratore delegato del Fondo e che vede nel servizievole Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri il più convinto sostenitore, emergono con chiarezza tutte le anomalie che ne caratterizzano il modo di operare delle consorterie bancocentriche di stampo teutonico le quali, da sempre, agiscono al di fuori di qualsiasi canone democratico e al di sopra dei parlamenti nazionali tanto da erigersi senza se e senza ma ad entità sovraistituzionale con tanto di spudorate immunità che appresso vedremo.

Nel leggere il testo della riforma all’art. 1 si legge che oltre al “rigoroso rispetto del quadro giuridico dell’Unione Europea …con particolare riguardo al patto di stabilità e crescita, del quadro degli squilibri macroeconomici” nel medesimo articolo al comma 5 bis si scopre che già nel vertice del 29 giugno 2018 del Consiglio Europeo a margine dello stesso si è tenuto un Euro Summit in cui i capi di stato e di governo dei 27  stati membri (per l’Italia “l’avvocato” Giuseppe Conte) “hanno dichiarato che il Mes avrebbe fornito il dispositivo di sostegno comune al Fondo di Risoluzione unico (“Srf”)” in sintonia con quanto indicato nella lettera del 25 giugno 2018 recapitata agli stessi firmata dal presidente dell’Eurogruppo il portoghese Mario Centeno. Successivamente nel vertice Euro del 14 dicembre 2018hanno approvato i termini di riferimento per il dispositivo di sostegno comune che sarà fornito dal MES e il prospetto per la riforma del Mes”. In detta circostanza i capi di stato e i rappresentanti di governo, nei fatti, hanno demandato all’Eurogruppo formato dai 19 ministri delle finanze dei paesi membri di preparare le necessarie modifiche del Trattato il cui prospetto “prevede il potenziamento dell’efficacia degli strumenti di assistenza finanziaria precauzionale”. Pertanto il presidente Conte nei fatti in quella sede, senza battere ciglio, ha approvato sia il mandato per il sostegno comune al Fondo di risoluzione unico (SRF) sia la lista di condizioni per la riforma del mes. Tutto questo è come si suol dire agli atti.

In tal senso, gli obiettivi di detto meccanismo di stabilizzazione pardon di destabilizzazione finanziaria secondo l’art. 3 sarà “quello di mobilizzare risorse finanziarie […] secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto, a beneficio dei membri del MES che già si trovino o rischino di trovarsi in gravi problemi finanziari”. Il medesimo articolo puntualizza che “il MES può seguire o valutare la situazione macroeconomica e finanziaria dei suoi membri compresa la sostenibilità del debito pubblico, e analizzare le informazioni e i dati pertinenti”. In ultimo al terzo comma si riferisce che “è conferito al MES il potere di raccogliere fondi con l’emissione di strumenti finanziari o la conclusione di intese o accordi finanziari o di altro tipo con propri membri, istituzioni finanziarie o terzi”.

Ebbene, il citato articolo, accenna a quelle che saranno gli obiettivi su cui poggerà la riforma del MES le cui linee operative trovano spazio all’art. 14 in merito all’assistenza finanziaria precauzionale che, in buona sostanza, si muoverà su due specifici interventi: l’una sotto l’acronimo di PCCL (Linea di credito condizionata precauzionale) e l’altra la ECCL (Linea di credito a condizioni rafforzate) che sono indicate nell’allegato 3 della riforma la cui concessione, a seconda dei casi, sarà stabilita de imperio dal consiglio dei governatori ovverosia dai ministri delle finanze dell’area euro che, in tutto questo, hanno assoluto arbitrio nel decidere di variare i criteri di ammissibilità applicabili all’assistenza finanziaria precauzionale del MES sottoforma di prestiti e di versamenti tramite il dispositivo di sostegno di cui all’allegato 4 (cfr. artt. 14 comma 1 e art. 18 bis comma 1).

Il membro del MES, per accedere alla prima (PCCL), attraverso la sottoscrizione di una lettera d’intenti che deve contenere le principali linee politiche che intende perseguire, dovrà possedere requisiti economico finanziari e di sostenibilità del debito nel lungo periodo e, nel contempo, rispettare le seguenti rigidissime condizioni disciplinate dall’allegato III: 1) un deficit pubblico inferiore al 3% del PIL ed un deficit strutturale in linea con le disposizioni del Fiscal Compact; 2) un rapporto debito/pil inferiore al 60% ovvero una riduzione del debito in rapporto al 60% nei due anni precedenti ad un tasso medio di 1/20 l’anno; 3) assenza di squilibri eccessivi; 4) accesso ai mercati internazionali dei capitali a condizioni ragionevoli; 4) una posizione sotto il profilo del debito sostenibile verso l’estero; 5) assenza nel settore finanziario di gravi vulnerabilità che mettano a rischio la stabilità finanziaria del membro MES.

Dalla lettura di queste condizioni imposte dal Fondo, appare evidente, come il nostro paese alla stato attuale non avrebbe i requisiti di rispettarle poiché a detta di lorsignori l’Italia non sta riducendo il fantomatico debito pubblico in ottemperanza ai criteri iniqui disposti dal Fiscal Compact e pertanto si vedrebbe negare, nonostante i cospicui contributi elargiti a detto Fondo, la linea di credito precauzionale condizionata (PCCL).

A questo punto per il nostro paese si aprirebbe uno scenario a dir poco devastante in quanto qualora intendesse rivolgersi al Fondo lo potrebbe fare solo alle condizioni imposte dall’altra misura quella riferita alla linea di credito precauzionale rafforzata (ECCL) (cfr. allegato III paragrafo 3) che prevede, in buona sostanza, una severissima disciplina di bilancio che avrebbe, de facto, gravissime ripercussioni sulla stabilità finanziaria del nostro paese e che comunemente va sotto il nome di “ristrutturazione del debito” attraverso l’attivazione di clausole di azione collettiva (CAC) introdotte da una norma (art. 12 comma 3) del Trattato istitutivo del MES che sono inserite, praticamente nei titoli di stato dell’area euro con scadenza superiore ad un anno la cui funzionalità è stata già recepita dal nostro paese con il governo Monti con il Decreto legge del 7 dicembre 2012 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 294 del 18 dicembre 2012) ed entrata in vigore dal 1 gennaio 2013.

Queste clausole dal carattere draconiano poco note ed introdotte dal 2013 nel nostro sistema finanziario e che rimarranno nell’occorsa riforma consentono, alla maggioranza singola degli investitori in obbligazioni di modificare unilateralmente i termini e le condizioni di pagamento di un titolo in maniera giuridicamente vincolante per tutti coloro che li detengono in modo da “agevolare” la ristrutturazione ordinata del debito. Nello specifico dette clausole autorizzano gli investitori di apportare modifiche sostanziali a tutti gli accordi che disciplinano l’emissione dei titoli da cui scaturiscono tutta una serie di effetti/conseguenze tali da provocare totale incertezza sull’investimento tra cui cito le più significative: a) il cambio della data in cui ogni ammontare è pagabile in relazione ai titoli; b) la riduzione di qualsiasi ammontare, compreso qualsiasi ammontare insoluto, pagabile in relazione ai titoli; c) il cambio di metodo utilizzato per calcolare qualsiasi ammontare pagabile in relazione ai titoli; d) l’imposizione di qualsiasi condizione o altrimenti la modifica degli obblighi di pagamento dell’Emittente in relazione ai titoli. Nella sostanza ed è qui il punto dolente della questione a danno ovviamente dei risparmiatori è che i titoli di stato non sono più garantiti e, nel contempo, si sbilancia in maniera più marcata il rapporto di forza tra il capitale finanziario e i risparmiatori violando palesemente la nostra costituzione che invece tutela ai sensi dell’art. 47 il risparmio in tutte le sue forme. Da qui sarebbe opportuno che la nostra Corte Costituzionale si pronunciasse sulla legittimità di questa riforma, come d’altronde avvenuto in Germania nel 2012, allorquando la medesima Corte teutonica aveva bloccato la sua ratifica e promulgazione fin quando non fossero stati chiariti due elementi essenziali: che il segreto professionale alla base del MES (art. 36) non fosse opponibile al Bundestag e che, nel contempo, lo stesso Parlamento avesse un potere di effettivo controllo sul modus operandi del MES anche in riferimento alle contribuzioni da versarsi a favore dello stesso. Senza contare che la sentenza della Corte tedesca ha persino stabilito che in base al “diritto internazionale consuetudinario” il Governo tedesco può decidere di terminare la propria partecipazione al MES in qualsiasi momento (1). Che dire i tedeschi riguardo i loro diritti dobbiamo ammetterlo sono di altra pasta, ciò che purtroppo non avviene dalle nostre parti.

Tuttavia, nel momento in cui si ratificasse questa scellerata riforma in sede parlamentare è evidente che quest’ultima avrebbe effetti devastanti sulla nostra già depauperata economia, poiché queste clausole che ci riguarderebbero da vicino consentirà ai creditori/emittenti di deliberare a maggioranza il taglio nominale dei titoli, un allungamento della scadenza dei titoli e persino di modificare altre condizioni come la scelta della valuta di rimborso. Da qui il famoso “colpo di pistola alla tempia dei risparmiatori” dichiarato da Giampaolo Galli che pagherebbero di tasca propria quella ristrutturazione del debito che non altro non è che un ulteriore mannaia a nocumento degli stessi.

Senza contare che questo organismo, come fin dalle sue origini, manterrà quelle immunità ad essa riconducibili nella tua totale autoreferenzialità in quanto come dettato dall’art. 35 “il presidente del consiglio dei governatori, i governatori e i governatori supplenti, gli amministratori, gli amministratori supplenti, nonché il direttore generale e gli altri membri del personale godono dell’immunità di giurisdizione per gli atti da loro compiuti nell’esercizio ufficiale delle loro funzioni e godono dell’inviolabilità per tutti gli atti scritti e documenti ufficiali redatti”.  A detta immunità, si aggiunge la beffa in quanto il Fondo ai sensi dell’art. 36 beneficia, tuttora, dell’esenzione fiscale “nell’ambito delle sue attività istituzionali, il MES, i suoi attivi, le sue entrate, i suoi beni nonché le operazioni e transazioni autorizzate dal presente trattato sono esenti da qualsiasi imposta diretta”. Tutto questo come si suol dire alla faccia di tutti coloro che sono costantemente aggrediti dall’erario pubblico (vedi ultimo decreto fiscale) divorati dalla spirale di quel debito che a detta del prof. Auriti conduce cittadini, famiglie ed imprese ad un terribile bivio ovverosia “tra il suicidio e la disperazione”.

Pertanto, invocare -probabilmente invano- oggi un minimo di senso di responsabilità da parte sia di questa classe dirigente nella sua interezza sia da parte dei nostri organi giurisdizionali (vedi Corte Costituzionale) servirebbe, quantomeno, a recuperare un minimo di dignità la cui latitanza ovvero costante assenza permane, purtroppo, da troppo tempo.