“DISTRUGGERE LA RAZZA BIANCA” ( sue conseguenze)

Un manifestino in giro per la città con  la scritta: “Essere bianchi è OK”:  qualche congiurato l’ha incollato. La polizia di Oklahoma City sta cercando il colpevole, passibile di crimine d’odio.

Troppo tardi dunque il canadese Christopher Dummitt, professore associato di storia presso la Trent University di Peterborough, autore di in fluentissimi saggi con cui “dimostrava” che i sessi, come le razze, non hanno nulla di biologico ma sono “costrutti culturali”  –  confessa che le sue teorie erano dettate da ideologia e politicamente corretto e senza fondamento scientifico.

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/studioso-gender-ammette-mi-sono-inventato-tutto-1779566.html

Troppo tardi. Ormai non sono più “gli attivisti” fanatici delle università e snowflakes ad adottare l’idea che “dire  che il sesso è una realtà biologica è crimine d’odio”, perché discrimina i trans. Ormai è la polizia che bracca chi, clandestinamente, sostiene che non c’è niente di male ad essere bianchi. Ciò equivale a odiare i negri, a farli sentire inferiori. Ormai l’aberrazione ideologica è diventata “ordine costituito”.

Non si è infatti pentito Noel Ignatiev, il teorico di questa ideologia:  anche la  razza (ancor più del sesso)  non  è biologica, ma un “costrutto culturale”: Ignatiev ha scritto un libro famoso – Come gli  irlandesi sono diventati bianchi  –   in cui “dimostra” come gli immigrati irlandesi, dapprima non accettati  come “bianchi” dagli americani  wasp –  lo sono “diventati”  mettendosi a fare violenze ai poveri negri e  sostenendo la schiavitù. In tal modo gli irlandesi sono  stati ammessi nella “bianchezza”, che non è  una razza – sottolinea Ignatiev  – ma “un privilegio” che dà accesso al potere. Essere bianco significa essere complice dell’attuale “società di competizione e sfruttamento”. Occorre dunque affermare, anzi imporre nella società, l’idea che la “razza bianca” non è biologica ma un “costrutto culturale”, acquisito e acquisibile.

A questo punto avrete capito che Ignatiev è ebreo, marxista, e molto influente fra “gli attivisti antirazzisti”, un suo saggio è  apparso sulla rivista di Harvard: “Distruggere la razza bianca”. Non “decostruire”, ma proprio “distruggere”, precisa Ignatiev: “Continueremo a colpire i “maschi bianchi morti” ed anche i vivi e  le  femmine fino a quando il costrutto sociale noto come “la razza  bianca” non sarà distrutto”.

https://harvardmagazine.com/2002/09/abolish-the-white-race.html

L’accenno ai “maschi  bianchi morti”  allude  a un’altra “lotta ideologica” adottata da “progressisti” neri e dai loro docenti nelle università più avanzate: un rifiuto, da parte degli studenti di colore,  di Shakespeare come di Platone, di Raffaello come di Picasso, di Kant e di Cézanne  e Bach  – di fatto  l’intero canone della cultura occidentale –  perché sono tutti “bianchi”, antichi (morti)  e con l’aggravante – offensiva per il femminismo – di essere “maschi”.
Una follia ideologica  molto americana  (dove il tema del “color”  della pelle è scottante) che finisce di avere una strana assonanza con l’ideologia di Boko Haram,  affermata nella zona musulmana della Nigeria: che significa appunto che studiare all’occidentale (Boko da Book libro) è “haram”, islamicamente  non buono.

 

Africa: il sottosviluppo è questione di QI?

Purtroppo, non  è  una convergenza casuale. I neri americani, come i neri africani, non eccellono in nessun campo di studi  – al contrario per esempio degli asiatici anche di recente immigrazione –  e  detestano i “maschi bianchi morti” per un triste e concreto  motivo: il QI. Il quoziente intellettivo insufficiente.

Un numero crescente di studiosi  – nonostante a comprensibile ostilità che suscitano le loro ricerche  – concludono univocamente che il Q.I. degli africani sub-sahariani è sui 75-80, quello degli europei 100, degli asiatici 107.

Si  citano gli studi pionieristici di Richard Lynn e Tatu Vanhanen (inglese il primo, finlandese il secondo) che   nel 2002 e nel 2006 hanno scritto “IQ and the Wealth of   Nations” e “IQ  and Global Inequality”, dove concludono che il sottosviluppo africano ha una causa determinate nel basso   QI.  David Reich, docente di  genetica ad Harvard; David Becker, dell’università di Chemnitz in Germania  col collega   Heiner Rindermann   ( African cognitive ability: Research, results, divergences and recommendations https://www.researchgate.net/publication/257045611_African_cognitive_ability_Research_ )  concordano.

La carte del quoziente intellettivo.

Il QI  degli africani sub-sahariani è attorno a 75.  Aggiungono, gli studi, che “quando vivono  per più generazioni in un paese europeo  che offre un  buon sistema educativo e un buon livello di vita, gli africani di origine sub-sahariana raggiungono un QI di 85”.

Il  QI medio dei neri abitanti in Gran Bretagna è 86

(Qui lo studio relativo: “Race Differences in Intelligence An Evolutionary Analysis https://intelligence-humaine.com/Documents/Race%20Differences%20In%20Intelligence.pdf )

Quelli abitanti nei Paesi Bassi hanno QI  85

(Race Differences in Intelligence An Evolutionary Analysis https://intelligence-humaine.com/Documents/Race%20Differences%20In%20Intelligence.pdf )

Il QI medio dei negri americani è  85

(Vedasi:  Ethnic group differences in cognitive ability: a meta-analysis https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/j.1744-6570.2001.tb00094.)

http://www.unz.com/jthompson/the-worlds-iq-86/

E  per il 69  per cento dei genetisti e psicometristi interpellati, questa differenza è “genetica” al 70 per cento e “culturale” al  30. Hanno anche, in media, cento grammi in meno di materia cerebrale e un numero inferiore di neuroni.

Attenzione:  si può relativizzare  il QI e la sua misurazione, che è la capacità di rispondere a certi test standardizzati. Non è una prova d’intelligenza assoluta,  e  avere un QI di 130 non fa necessariamente un  genio, essendoci persone che  disperdono le loro qualità.  Però  a livello statistico di massa,  intere popolazioni che hanno  un QI  di 75 pongono un problema significativo  allo sviluppo di quella popolazione. Per esempio, gli africani non depositano alcun brevetto,  mentre gli asiatici, i giapponesi  –  o i cinesi   appena usciti dal sottosviluppo  – ne sfornano a  migliaia.  Per quanto sia misura imperfetta, un basso QI riflette l’incapacità di un popolo a  innovare e partecipare al progresso dell’umanità. Non è un caso sfortunato se l’Africa, ricchissimo continente sul piano naturale, produce solo il 3% della ricchezza mondiale  – e ciò, nonostante i grandi programmi infrastrutturali realizzati  lì dalla Cina.

Negli ultimi 50 anni,  il reddito africano per abitante è cresciuto del 240% mentre paesi come Cina, Brasile, Russia sono cresciuti   del 950  per cento, e anche i paesi già sviluppati,  sono cresciuti del 410% .

Il peggio è che da quando hanno avuto l’indipendenza, questi paesi regrediscono.

E ad affermarlo non è un razzista  bianco: è Kofi  Yamgmane:  un politico francese originario del Togo,  nato nel 1943,  che è stato parlamentare in Francia,  segretario di Stato all’integrazione, sindaco di un paesino di Finistère. Yamgmane   ha condotto varie missioni in Togo,  e conosce bene i problemi del paese.

In una recente intervista,  al giornalista che gli ha chiesto: cosa ha fatto l’Africa dopo 50 anni dalla fine della colonizzazione?  Ha risposto:  “Il Togo, in ogni caso, niente.  Oggi gli  anziani dei villaggi dicono che era meglio al tempo dei bianchi. Non ci  sono più strade, scuole, vaccinazioni…C’è da piangere”.

Kofi Yamgnane

I tecnici cinesi che lavorano in Africa dicono lo stesso, con crescente esasperazione. C’è un video dove uno di questi  parla con “Eddy”, un katanghese che è stato educato a Pechino e parla mandarin, e gli dice:  Avevate delle ferrovie, che noi in Cina non avevamo, le avete trascurate ed  ecco sono distrutte. Siete stati diretti dagli europei così a lungo, avreste dovuto imparare. Invece di avanzare fate marcia indietro”.

https://vk.com/video537996194_456239069

https://twitter.com/tprincedelamour/status/1171349100727549953

Il materiale regalato da Europa e Cina come sostegno allo sviluppo, viene guastato e  lasciato decadere per mancanza di manutenzione,  è  una constatazione costante sia dei  cinesi che dei coadiutori occidentali.

Ora, politicamente corretto a parte, e  in attesa di essere incriminato per “odio”  dalla Kommissaria Segre,  non si può fare a meno di segnalare questo tema dato l’enorme numero di “immigrati” dell’Africa sub sahariana che accogliamo a braccia  aperte, nel calcolo che rinsanguino la nostra demografia in calo con la mescolanza razziale.

Il peggio è che  l’Africa è  il continente più prolifico:  da qui al 2030 essa darà  il 22% della popolazione mondiale e il 200%  della crescita annuale di popolazione in grado di procreare, sarà produttrice del 38%  delle nascite nel mondo.