I FIGLI NON SONO PROPRIETA’ DELLO STATO.

 

di Roberto Pecchioli

Matteo Renzi, nel recente duello televisivo con l’altro Matteo, il leghista Salvini, ha pronunciato una frase che lo situa nella categoria dei nemici, non in quella degli avversari. Secondo il Buffalmacco fiorentino, “tutti devono mandare i figli all’asilo nido, anche coloro che non lavorano”. I bambini, dunque, sono proprietà dello Stato, legittimato a educarli fin dalla prima infanzia, sottraendoli ai genitori, svuotando ulteriormente quel che resta della famiglia, il ruolo dei nonni, dei fratelli, quando ci sono, e dei parenti. No. L’affermazione, grave e sinistra, deve essere rigettata in radice.

I figli non sono una proprietà di chi la generati, ma ad essi incombe il diritto e il dovere di accoglierli, educarli, avviarli al mondo della vita. A loro e a nessun altro. Sequestrare gli infanti per riunirli negli asili significa spogliare i genitori di responsabilità e soprattutto iniziare a manipolare le generazioni sin dalla culla. Non siamo proprietà statale, nessuno metta le mani sui bambini, già costretti a vaccinazioni di dubbia utilità, sballottati fuori di casa dal ritmo frenetico, innaturale del nostro tempo, lontani dalla madre, dal calore domestico.

Ogni Stato è una dittatura, affermava Antonio Gramsci; i cosiddetti democratici e progressisti si incaricano di dargli ragione. La definizione di Ezra Pound è più pregnante: controllo sociale attraverso la sistematica applicazione della forza di una società politicamente organizzata. Temiamo che la proposta renziana sia musica per le orecchie di qualche genitore postmoderno, interessato, per fastidio o magari per difficoltà pratiche di un sistema disumanizzante, a parcheggiare i figli in luoghi “sicuri”. A noi invece spaventa, come ogni passo nella direzione del controllo, dell’indottrinamento generalizzato, della cancellazione del valore cruciale dell’istituto familiare.

Chiediamo scusa al lettore se insistiamo con alcune citazioni. Emile Durkheim, uno dei padri della sociologia, riconobbe indirettamente il ruolo del sangue, oggi denigrato se non deriso, come fondamento della famiglia, nucleo della comunità. “La famiglia non è unicamente un gruppo di consanguinei. E’ un gruppo di individui che si sono trovati uniti all’interno di una società per una più stretta comunanza di idee, di sentimenti e di interessi.” Anche il comunismo sovietico, uscito dalla fase rivoluzionaria, dette a suo modo rilievo all’istituto familiare. Un documento del 1939 del Commissariato Sovietico della Giustizia è illuminante: “lo Stato non può esistere senza la famiglia. Il matrimonio è un valore positivo per lo Stato socialista sovietico solo se la coppia lo considera un’unione per la vita. Il cosiddetto amore libero è un’invenzione borghese e non ha niente a vedere con i principi della condotta di un cittadino sovietico. In più, il matrimonio ha il suo pieno valore per lo Stato solo se c’è la prole e i coniugi sperimentano la piena felicità dell’essere genitori”.

Un brano siffatto non potrebbe essere diffuso oggi senza essere accusato di cripto fascismo e, perché no, di sessismo eteropatriarcale. Dal punto di vista etico, il progressismo a cui si è convertita la nostra società, guidata dalla cultura “di sinistra” ma con le redini saldamente in mano al capitalismo assoluto, è ben peggiore del comunismo. In Italia, ne abbiamo prove schiaccianti: l’oscura vicenda di Bibbiano ha squarciato il velo su soperchierie, ricatti, autentici crimini contro i bambini, sottratti alle famiglie, e contro genitori privati dei diritti da un coacervo di “esperti” e burocrati ideologicamente orientati.

Il loro potere deve essere colpito senza indulgenza e intanto fatto conoscere alla cittadinanza come uno degli elementi più rivoltanti di una sedicente democrazia malata, sempre più proclive a praticare violenza di Stato legalizzata. Proteggere l’infanzia dalle fauci del potere diventa un gesto di libertà, autodifesa, apertura verso il futuro. Siamo entrati a vele spiegate nel sonno della ragione che genera mostri. Perfino il comunismo, che considerava l’intera società una sua proprietà, rispettava, sia pure per interesse, i genitori e il loro ruolo assai più della società falsamente libertaria post 1968 e post 1989.

Abbiamo tutti imparato a guardare il mondo attraverso lo sguardo di chi ci amava e aveva il nostro sangue. Riconosciamo i guasti di famiglie eccessivamente chiuse, ma vediamo i drammi esistenziali di figli cresciuti senza genitori o con genitori assenti. La perdita del padre, della sua autorità naturale, del suo ruolo di prima legge, nonché di protezione e garanzia, è una delle storiche tragedie dell’ultimo mezzo secolo. Lo Stato non è una madre e tanto meno un padre, ma un organismo interessato a riprodurre se stesso manomettendo la libertà, manipolando i cervelli in formazione dei bambini, futuri soldatini del sistema costituito, addestrati al conformismo, scoraggiati al libero pensiero.

Tutto questo, per il dominus del nuovo governo Matteo Renzi, proconsole dei poteri forti transnazionali, è un bene e deve essere realizzato sin dall’infanzia, sottraendo i figli alle loro famiglie. Esperimenti della specie, da Platone a Sparta sino al maoismo e alla follia di Pol Pot sono rapidamente degenerati in distopia, tirannia, buio culturale, asfissia morale.

Non vogliamo fanciulli di Stato – di uno Stato privo di autorevolezza, servo di poteri esterni – ma generazioni formate dalla e nella famiglia. Contemporaneamente a Renzi, ci è toccato ascoltare altre castronerie. Beppe Grillo, dimentico della sua stessa carta d’identità, ha lanciato la boutade di togliere il voto agli anziani, probabilmente per riguadagnare credito presso i giovanissimi, a cui si fa balenare la possibilità di votare a 16 anni. Giusto l’età di Greta Thunberg, e non deve essere un caso. Manipolate, indottrinate, qualcosa resterà.

Sfidiamo l’impopolarità, ma osiamo affermare che la maggiore età a 18 anni si è rivelata un errore epocale. I giovani vivono esperienze di ogni tipo, specie le peggiori, fin dalla pubertà, ma questo non li ha resi più maturi o responsabili. La maggior parte di loro è dipendente da genitori iperprotettivi, prigioniera di idee preconfezionate assorbite dall’esterno (scuola, amici, cinema, musica), e vive nella fase adolescenziale dell’uniformità. Un gregge da pascolare nei prati indicati dal potere e tenere al riparo da pensieri non conformisti. Vogliono iniziare dai lattanti, ignara carne da cannone del mercato, del consumo, del desiderio, bestiame umano senza identità.

Michel Houellebecq, nel suo sulfureo romanzo Sottomissione, immagina che il partito islamico entrato in un governo di coalizione, voglia per sé due soli ministeri, l’Interno e l’Istruzione. Controllo del presente, costruzione del futuro. Non sono diversi i nostri autodefiniti democratici. Il ministro del governo Gentiloni Valeria Fedeli (nessuno ci farà mai scrivere ministra!) presentò un progetto intitolato, nel più plumbeo burocratese, “piano pluriennale di azione per la promozione del sistema integrato di istruzione da 0 a 6 anni “.

Una sinistra, minacciosa, ulteriore picconata all’educazione nazionale volta all’espulsione della famiglia e al maggior potere di categorie di falsi esperti, veri manipolatori dell’infanzia, nello stile dei piani quinquennali sovietici, i cui fallimenti travolsero l’esperimento collettivista. In Svezia, in ossequio alle follie del gender e ai postulati del politicamente corretto, la scuola pubblica ha inventato un pronome neutro per chiamare i bambini senza riguardo al loro sesso. L’ insegnamento di teorie folli sull’identità sessuale, sulla normalità delle relazioni omosessuali e persino lezioni pratiche di masturbazione sono diventate materie di insegnamento in vari paesi.

La parte dominante della sottocultura contemporanea, promossa dalle centrali tecnocratiche, veicolata dal sistema di comunicazione e concretizzata dai governi di servizio, ha un unico obiettivo: ricostruire, rimodellare la personalità umana in un progetto disgustoso il cui esito è la nascita dell’uomo nuovo, il perfetto servo, consumatore entusiasta, precario della vita, nomade dell’anima, sradicato da se stesso e, innanzitutto, dalle proprie origini, dedito a capricci ribattezzati diritti. Fu Augusto Del Noce a comprendere per primo la deriva in atto, che chiamò “perfettismo”, riconoscendo nella sinistra politica e culturale il vettore di un inedito radicalismo di massa capace di svuotare la dimensione comunitaria, la naturale socialità umana, formattata in un individualismo di tipo nuovo, conformista e gregario.

La deputata democratica Cirinnà, non paga della legge sulle unioni civili, fu una delle più attive a gettare discredito sul Forum delle famiglie di Verona, inalberando in piazza un cartello in cui Dio, Patria e famiglia erano considerati “una vita di merda”. Espropriare i bambini ai genitori – 1 e 2, mi raccomando- avviati a un premilitare postmoderno h.24, è, al contrario, il paradiso in terra, Alice nel paese delle meraviglie, tra Stregatti e Bianconigli.

Certo, dare in carico alla burocrazia pubblica i piccolissimi renderà più comoda la vita di qualche genitore per caso o suo malgrado, a cui si attaglia un verso del Giusti, uno che non fu mai gradito ai potenti: “i figli, dicono/ non basta farli;/ v’è la seccaggine dell’educarli”. Ci pensano Renzi, la Cirinnà, gli “esperti” di Bibbiano e mille altre strutture burocratiche, educative, sanitarie che la magistratura dovrebbe indagare e la politica smantellare. Sono una pesante minaccia per il presente e il futuro della nazione. O forse no, giacché ogni accenno a principi non in linea con il verbo nuovo, progressista, libertario e politicamente corretto, è istantaneamente considerato delitto di odio. Lo psichiatra sinistrissimo Luigi Cancrini, già deputato e consulente di governi, ha chiesto l’incriminazione di Giorgia Meloni per aver difeso Dio, Patria e famiglia.

Per il culturame progre diffondere idee diverse dalle sue è segno di malvagità. I princìpi sgraditi sono odio, dunque vanno repressi penalmente, altro che discussi argomentando. Quello è l’orizzonte che intendono imporre ai nostri figli fin dalla più tenera età. Il corpo dei piccoli non deve essere sotto il controllo di chi li ha messi al mondo, poiché l’obbligo è quello di consegnarli di buon mattino agli “educatori” pubblici per conto del sistema di dominio privato, il Gatto e la Volpe. “Siamo in società, di noi ti puoi fidar”, come canta Edoardo Bennato. Il risultato è sotto gli occhi di ancora ha il coraggio di vedere: polli di allevamento ingozzati di cibo, diritti, consumo e narcisismo, irresponsabili e fragili, piume al vento soffiato da un Eolo maggiordomo del potere.

Meglio, si diceva una volta, un cattivo genitore che nessuna famiglia. Al tempo di Bibbiano, Renzi e Cirinnà, meglio un nonno, una zia o chiunque ami un bambino che lasciarlo nelle grinfie dei lupi travestiti da agnelli, con i protocolli delle istruzioni, le linee guida, le riunioni multidisciplinari, gli obiettivi da conseguire per il bonus sullo stipendio, i paroloni inventati dalla lingua di legno che celano l’inganno. Dai frutti riconoscerete l’albero, lo diceva Gesù Cristo, un agitatore del trapassato remoto. Non ci sono neppure più frutti, nel deserto istruito, pedagogicamente e politicamente corretto che avanza.

Tocca rifugiarci in un brano indimenticabile dell’Iliade, un pilastro di tre millenni di civiltà. Ettore è un padre amorevole, oltreché un guerriero coraggioso. Nel dire addio alla moglie Andromaca prima della battaglia, non si rivolge al ministero dell’istruzione o all’amministratore di sostegno, ma prende in braccio il figlioletto Astianatte, lo solleva sopra di sé e prega: “Giove pietoso/ e voi tutti, o Celesti, ah concedete/ che di me degno un dì questo figlio/ sia splendor della patria e de’ Troiani. / Forte e possente regnator. Deh/ Fate che il veggendo tornar dalla battaglia/ dell’armi onusto de’ nemici uccisi/ dica talun: non fu sì forte il padre. / E il cor materno nell’udirlo esulti. “

Sia proscritto Omero: incitamento all’odio! Il poeta cieco era un arcaico reazionario, o, per dirla con Umberto Eco, un Ur- fascista.