Già 70 banchieri d’affari sono stati suicidati….

di Alessandro Plateroti

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Il 13 marzo del 2014, nel pieno della crisi bancaria, i media americani diedero grande risalto al suicidio di Edmund Reilly, 47 anni, banchiere di punta del Vertical Group, super hedge fund speculativo di Wall Street: si era gettato sotto un treno senza spiegazioni. Ma la vera notizia era un’altra: quello di Reilly era l’undicesimo suicidio di un banchiere di Wall Street in 3 mesi. Tre indizi fanno prova. Settanta cosa fanno? Senza contare il «giallo» di David Rossi e lo strano suicidio, pochi mesi dopo, del banchiere londinese che aveva «firmato» Santorini, il derivato su cui saltò Mps.

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Ma nessuno poteva ancora immaginare che cosa sarebbe accaduto nei tre anni seguenti: la lista delle morti misteriose dei banchieri coinvolti o travolti dagli scandali diventarono quasi un centinaio. E forse anche per questo, una spessa cortina di silenzio ha circondato il fenomeno più controverso ma meno discusso dei 10 anni della grande crisi.

Una lunga scia di sangue e di misteri sembra essere rimasta finora sepolta sotto le macerie della crisi finanziaria: è un elenco con i nomi di oltre 70 banchieri eccellenti – tutti al servizio delle grandi cattedrali della finanza internazionale – scomparsi senza motivo apparente, alcuni vittime di suicidi “anomali”, altri di omicidi senza movente e di incidenti inverosimili o inspiegabili. Al confronto con quanto avvenuto negli ultimi 10 anni, i grandi gialli finanziari italiani come il crack del Banco Ambrosiano, l’omicidio di Sindona e il suicidio di Roberto Calvi, diventano storie da giallo tascabile.

Nel lato oscuro degli scandali non c’è solo il suicidio di David Rossi, l’ex braccio destro di Giuseppe Mussari nel tracollo del Monte dei Paschi di Sienama anche quello ancor più misterioso (e sconosciuto) di William Broeksmit , il banchiere londinese responsabile del famigerato derivato Santorini su cui affondò la banca senese: Broeksmit fu trovato impiccato il 26 gennaio 2014, pochi mesi dopo la morte di Rossi e alla vigilia di una convocazione degli inquirenti sullo scandalo del Libor e dei titoli derivati. Con lui, sparirono misteriosamente i documenti riservati che il banchiere custodiva in casa e che avrebbe dovuto consegnare agli inquirenti. Dove siano finiti e che cosa sia accaduto davvero intorno a quel derivato-truffa, resta ancora un mistero.

L’altra faccia della crisi è dunque una sorta di albo nero degli scandali finanziari, con le storie di decine e decine di banchieri, trader e analisti le cui morti misteriose sono rimaste come tali: eppure, erano 70 dirigenti di grado superiore al servizio delle più importanti istituzioni finanziarie del mondo, da JP Morgan a Bank of America, da Abn Amro a Merrill Lynch, da Deutsche Bank a Goldman Sachs. Le stesse banche che tra il 2008 e il 2017 sono state sotto inchiesta (e molte lo sono ancora) non solo per lo scandalo dei mutui subprime, ma per un elenco di reati che va dalla manipolazione dei tassi interbancari ai cambi valutari, dalla truffa sul fixing dell’oro a quella sui derivati. Dieci anni di scandali che non solo sono costati alle banche (e ai loro azionisti) sanzioni per oltre 320 miliardi di dollari, ma che hanno soprattutto messo a nudo tutte le distorsioni e gli abusi favoriti dalla cultura del profitto e della speculazione selvaggia che ha portato l’economia mondiale sull’orlo del baratro.

L’archivio Bankers Death

Nella migliore delle ipotesi, questo lato oscuro della crisi è rimasto schiacciato prima dal frastuono dei fallimenti bancari e delle inchieste poi dall’euforia speculativa creata dal denaro gratis e dai tassi a zero. Per riportarlo alla luce – e soprattutto per non dimenticare che i danni di una crisi non si misurano solo col denaro – il Sole24Ore ha passato al setaccio 10 anni di articoli di stampa su fatti di cronaca apparentemente scollegati, e soprattutto i dati raccolti ed elaborati da Michael Tyler, docente inglese di finanza digitale che ha lasciato casa e docenza a Cambridge, in Inghilterra, per insegnare negli Stati Uniti e in Cina. L’opera di Tyler si chiama «Bankers Death», un archivio lascia basiti: in appena 36 mesi – da febbraio 2013 – c’è stata una media di due suicidi di banchieri al mese. Sommandoli agli incidenti mortali sospetti e agli omicidi senza movente, la crisi finanziaria è costata più in termini di vite umane che di banche fallite.

Non solo. Tra l’avvio dei grandi processi contro le banche nel 2011 fino all’aprile del 2018, sono state censite quasi 100 morti di operatori e alti dirigenti del credito e della finanza per cause non definibili «naturali»: sono banchieri, analisti e trader con profili professionali tutt’altro che di secondo piano nelle banche per cui lavoravano (generalmente senior executive). Di questi, circa 20 sono i casi archiviati come «suicidi da depressione», 15 come «incidenti inspiegabili» e ben 68 come «omicidio in circostanze misteriose». Parliamo di casi come quello di Omar Meza, top executive del gruppo Aig ed ex campione di nuoto, trovato affogato nella piscina di un Hotel Marriott il 9 gennaio del 2015, o come quello delle sorelle Korkki, Annie e Robin, trovate entrambe morte nel settembre 2016 sul loro letto in un resort caraibico da 1.800 dollari a notte: una lavorava per JP Morgan e l’altra era trader alla Borsa dei derivati di Chicago. A distanza di due anni, le cause della morte non sono ancora state accertate.

Ma c’è anche il caso del banchiere che ha perso la vita dopo aver misteriosamente deciso di ubriacarsi con un’intera bottiglia di antigelo per auto pensando fosse whisky: il caso fu archiviato come un incidente. Ma il “suicidio” meno credibile è stato quello di Thomas Hughes, 29 anni, banchiere d’investimento di Wall Street sotto inchiesta della Sec: precipitò dal ventottesimo piano del palazzo in cui viveva, arrivando però a terra decapitato (sul rapporto, la polizia scrisse che la testa si era staccata colpendo il davanzale della finestra…). Ma il caso più misterioso è quello di due aerei privati in cui volavano due dirigenti della stessa banca newyorkese: precipitarono lo stesso giorno per «guasto tecnico» mentre volano su rotte diverse.

La realtà supera la fantasia

Suggestioni, sospetti, teorie cospirazioniste, drammi umani e personali: il confine tra realtà e fantasia è molto sottile quando ci sono di mezzo ambizioni, denaro e potere. Ma un fatto è certo: dietro ogni episodio di cronaca nera, ci sono quasi sempre personaggi che erano in prima linea negli anni ruggenti di Wall Street e che si sono poi trovati spesso da soli davanti ai giudici e alle inchieste interne, ma soprattutto nei processi mediatici e di piazza, dove le condanne di massa sono quasi sempre scritte in anticipo. «È un mosaico di storie opache e di sospetti – spiega Tyler – di inchieste senza colpevoli o rei confessi, di processi che perdono per strada troppi testimoni. Ed è quindi una storia di famiglie che ancora chiedono giustizia». Non tutti i personaggi scomparsi erano coinvolti nelle inchieste sugli scandali, e non sempre si è trattato di morti misteriose: ma il denominatore comune a tutti è che lavoravano nelle grandi banche americane ed europee protagoniste della crisi. Ed è proprio seguendo questo filo rosso della speculazione selvaggia che emerge una grottesca (ma significativa) correlazione tra processi alle banche e decessi dei loro ex super-banchieri caduti in disgrazia dopo aver macinato per anni miliardi di profitti. A cominciare da colossi come Bank of America e JP Morgan, le due banche americane più processate e multate da giudici e vigilanza: insieme, hanno pagato più di un terzo dei 320 miliardi di dollari di multe inflitte alle banche di Wall Street. Oltre 76 miliardi di dollari sono le sanzioni pagate da Bank of America, mentre il conto di JP Morgan viaggia oltre i 44 miliardi di dollari: hanno sempre pagato senza mai ammettere in tribunale alcuna colpa. Anche Deutsche Bank e Goldman Sachs, che sono nella parte alta delle sanzioni, hanno sempre preferito chiudere i conti con la giustizia senza mai arrivare a una sentenza: le testimonianze pubbliche dei loro banchieri avrebbero potuto esporre le banche a danni maggiori delle sanzioni.

Ciò che coglie di sorpresa è invece la relazione tra processi e decessi in ogni singola banca: JP Morgan e Bank of America sono infatti le banche più colpite in assoluto dai decessi di banchieri eccellenti. Nel caso di JP Morgan, sarebbe interessante sapere se il board della banca si sia mai accorto di avere più dirigenti usciti di scena per morte violenta che per limiti di età. Il 20% di tutti i decessi per «cause non naturali» registrate a Wall Street riguarda infatti banchieri e trader professionisti che lavoravano nelle aree a più alta tensione speculativa del gruppo finanziario newyorkese: in particolare, a JP Morgan fanno capo ben 13 suicidi nell’arco di due anni.

Tra pressione e depressione

Tra i tanti casi, dunque, è quello di JP Morgan il più controverso e misterioso. Basti pensare che il 28 gennaio 2014, appena due giorni dopo il suicidio di Broeksmit a Londra e 13 mesi dopo la morte di Rossi a Siena, a lanciarsi dal tetto della sede londinese di JP Morgan è Gabriel Magee, banchiere al servizio del colosso americano chiamato in causa per le manipolazioni del Libor. Il caso fu subito archiviato come suicidio, ma il giorno successivo, il 29 gennaio, dall’altro lato dell’Atlantico, è Mike Dueker, 50 anni, economista capo presso la Russell Investments a togliersi la vita gettandosi da un ponte nei pressi di Washington. Anche questa società era sotto inchiesta. Cinque giorni dopo il suicidio di Duecker, Ryane Crane, di soli 37 anni, direttore esecutivo della JP Morgan Chase di New York, sede sotto inchiesta, viene trovato morto nella sua casa di Stamford, nel Connecticut: anche in questo caso, il decesso fu subito liquidato come suicidio da depressione. Fatto sta che poche settimane dopo, la stessa “depressione” spinge fuori dal tetto di un grattacielo di Hong Kong un trader di 33 anni della JP Morgan Charter House Asia: anche questo caso fu chiuso come «suicidio da depressione».

Ma che cosa provano, o significano, queste morti eccellenti e controverse? Nessuno lo può dire con certezza. C’è chi parla di complotti, chi di sindrome depressiva post-traumatica da crisi finanziaria ed eccesso di rischio, ma anche chi accusa le banche e il sistema finanziario di aver scaricato su trader e banchieri tutto il peso della pressione competitiva. Sopportare una tale tensione fa parte dei requisiti necessari per lavorare in una grande banca internazionale. Ben più difficile è affrontare e superare con freddezza l’accusa – a volte personale – di aver provocato con i propri comportamenti la peggiore crisi finanziaria globale della storia. Come per i banchieri che nel 1929 si gettavano dai grattacieli di Wall Street, la vergogna e l’isolamento non sono facili da sopportare. Per nessuno. O quasi per nessuno: dopo 10 anni dal crack, nessun caso di morte sospetta o di suicidio ha coinvolto Lehman Brothers e i suoi banchieri.

alessandro.plateroti@ilsole24ore.com