Onore al patriota sardo Salvatore Meloni!

Di Roberto PECCHIOLI

Salvatore Meloni, per tutti Doddore, è morto di fame prigioniero di uno Stato, il nostro, che considerava straniero. Settantaquattrenne, cinque figlie, una lunga militanza nelle file dell’indipendentismo sardo, era stato arrestato lo scorso 28 aprile, Die de sa Sardigna, festa del popolo sardo, dopo un grottesco inseguimento alla sua Panda rossa. Doveva scontare un cumulo di pene inferiore ai cinque anni per reati fiscali. Già in precarie condizioni di salute, ha iniziato, come il suo modello, l’irlandese Bobby Sands, uno sciopero della fame e della sete estremo, che lo ha portato alla morte. La famiglia e tanti amici avevano chiesto invano gli arresti domiciliari. Solo due giorni prima della fine è stato ricoverato in ospedale, dove, piantonato come un delinquente comune, ha concluso la sua agonia.

Onore al patriota sardo Doddore Meloni! Ha lottato tutta la vita per il suo ideale senza ammazzare o ferire nessuno. Ha accettato con fierezza isolana le condanne per evasione fiscale, dichiarando con semplicità: “Non si pagano le tasse agli stranieri! “. I suoi guai giudiziari iniziarono quasi quarant’anni fa, allorché tentò un improbabile avvicinamento al colonnello Gheddafi. Tentativo di colpo di Stato, disse la potentissima Repubblica Italiana. Successivamente, occupò la disabitata isola di Malu Entu, davanti ad Oristano, proclamandone l’indipendenza e comunicandola con atti “ufficiali” al nostro governo. Come capita in questo tempo di bottegai e pubblicani, senza piegarlo lo hanno spezzato con le leggi fiscali. Per lui, nessuna mobilitazione di intellettuali come per gli assassini del commissario Calabresi o per terroristi assassini, e neanche il braccialetto elettronico, come per l’attore drogato Diele, nessun “differimento della pena”, ipotizzata per capimafia assassini non pentiti alla Totò Riina. Poiché non era membro di assemblee elettive, nessun ricco vitalizio a spese del contribuente italiano, dalle cui tasche è uscita una ricca liquidazione alla tirolese Eva Klotz.

Questa dignità, quel coraggio feroce, quella coerenza delle idee portata sino alla tragedia ci fa essere ammiratori di Doddore. Non è morto “solo” un patriota sardo, ci ha lasciati un uomo vero. Non ci importa più se la sua causa fosse giusta o sbagliata, se la Sardegna sia o meno una nazione. Probabilmente lo è, e ha trovato un martire, pur se dubitiamo che la sua bandiera sia raccolta da uomini e donne altrettanto coraggiosi e determinati. La figura peggiore, come sempre, tocca allo Stato italiano ed alla sua burocrazia. Debole sino alla viltà con i forti, violento, arrogante, implacabile con i profeti disarmati. Del resto, non pagare le tasse agli stranieri dovrebbe essere un’ovvietà, ma noi tutti italiani manteniamo oltre cento basi straniere sul nostro territorio.

Come poteva Doddore pensare che l’avrebbe fatta franca proprio lui, che considerava la Repubblica italiana uno Stato estero occupante? Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi, cioè i quattrini. La sua splendida terra, che per lui era la Patria, è stata espropriata, nel tempo, persino della sua lingua. Pensate che l’isola occupata dal povero Meloni, Malu Entu, cattivo vento, è tradotta nella nostra lingua come Mal di Ventre.  In compenso, passa sotto silenzio la richiesta di 140 milioni di euro di danni erariali avanzata agli amministratori della Regione Autonoma Valle d’Aosta nell’ambito dell’attività del casinò di Saint Vincent, massima e assai dubbia risorsa di un’istituzione pletorica per 120 mila abitanti, tanti quanti Bergamo. Sede Rai, sezione di Corte dei Conti e tutto l’armamentario burocratico in due lingue, pur se nessuno ad Aosta usa il francese. Viva l’Italia, e viva anche la Regione Autonoma della Sardegna, carrozzone pletorico, sinecura per troppi privilegiati che giustamente gli indipendentisti detestano.

Intanto un vecchio è morto senza che gli fosse concesso di scontare la sua condanna – formalmente ineccepibile – a casa sua, mentre un ergastolano assassino come Johnny lo Zingaro scorrazza dopo essere evaso dal regime di semilibertà di cui godeva e decine di buoni italiani devono difendersi dall’accusa di essersi difesi da ladri, rapinatori, assassini. Taciamo per carità di patria il caso di Igor il Russo, altro reduce dagli sconti di pena. Doddore no, lui aveva messo in dubbio il sacro dogma non della patria, ma dell’autorità di uno Stato che fa solo piangere. Lacrime di rabbia di chi lo vorrebbe forte e presente contro crimine e malaffare, lacrime di dolore per amici e familiari di Meloni che non lo considerano un suicida, ma la vittima di una legalità ottusa, nemica, intermittente.

Hannah Arendt, in Vita activa, scrisse pagine decisive sul conformismo e la violenza insite in tutte le forme di governo burocratico: “questo nessuno – il preteso interesse comune della società (…) da un punto di vista economico, così come la pretesa opinione comune della buona società nei salotti – non cessa di dominare (…). Come sappiamo dalla burocrazia, il governo di nessuno non è necessariamente un non-governo; esso può anzi, sotto certe circostanze, volgersi in una delle sue più crudeli e tiranniche versioni “.

Non ha pagato le imposte perché ci riteneva stranieri, Doddore. Può morire, che importa, il principio di potere è salvo, ma che dire di Facebook, Google, Amazon, delle entità finanziarie e delle multinazionali che pagano (poco) dove più conviene loro, e lo Stato italiano insegue, contentandosi di transazioni al ribasso. Quelli non possono morire, sono persone giuridiche, “personae fictae “, finte, come già sapeva il diritto romano. Anche chi ha distrutto le banche italiane gira libero, e comunque non si lascerà certo morire di fame. Non lo prevede l’etica del mercante, solo quella del cavaliere.

Per questo ammiriamo Salvatore Meloni senza condividerne il sogno indipendentista. Da uomo d’onore, da “balente” è andato sino in fondo contro mezzi uomini e quaquaraquà. Da oggi, amiamo di più la Sardegna, se ha saputo allevare un combattente come Doddore. Non ci resta che salutarlo con rispetto, ricordando l’inno dei patrioti sardi di fine Settecento contro i feudatari scritto da Ignazio Mannu, che prima Maria Carta e poi i Tazenda fecero conoscere a tutti gli italiani: Procurade moderare, barones, sa tirannia!  “Cercate di moderare, baroni, la tirannia, perché sennò, per la vita mia! Tornate con i piedi in terra! Dichiarata è già la guerra contro la prepotenza, e comincia la pazienza nel popolo a mancare.”

ROBERTO PECCHIOLI